Mi è sempre difficile comunicare quale sia il mio rapporto con Budapest.
Esordisco sempre con “Tutto sommato non mi manca niente”, che è un po’ come assaggiare un piatto e dire Sì, non è insipido. Non vuol dire che però abbia quel tocco speciale che gli dà corpo e lo rende un qualcosa degno di nota.
Cosa mancherà? Sarà il cumino? Il croccante? Il cumino croccante? Sembra che nella cucina moderna contino soltanto queste due cose.
Ad essere sincero dove vivo ora non mi manca davvero nulla. Ho tutto il necessario a 5 minuti massimo di imprecazione.
Le distanze delle necessità le misuro in imprecazioni. Ad esempio, mi sveglio la mattina con la sensazione di avere della carta vetrata in gola e in casa non ho ovviamente lo spray alla propoli. Oppure se ce l’avevo è da buttare, perché i preparati farmaceutici sono sempre in confezioni maxi che vengono utilizzate al massimo per una settimana. Tutto il resto poi va a male.
La farmacia è a 4 minuti a piedi di imprecazioni.
Eppure, questa città non mi appassiona.
Sento di dirlo con cognizione di causa, facendo un confronto rispetto al periodo che ho trascorso a Roma.
La Capitale, premettiamo, al confronto con Budapest è un disagio continuo. La città sembra essere basata sulle emergenze.
Se piove, è un disagio. La città affonda, annega, sprofonda.
Se nevica 1 centimetro ogni 30 anni, sarà un disagio. La municipale chiede l’acquisto di motoslitte. Se non gliele comprano, saranno a disagio.
L’esistenza della municipale è un disagio per i Romani.
Se c’è vento, è un disagio perché qualcosa viene giù.
Se non c’è vento è un disagio perché lo smog ristagna.
Se passano gli uccelli migratori è un disagio perché la città si riempie di guano.
Se c’è il derby è un disagio. Quando non c’è il derby, la gente è a disagio.
La gente di Roma è disagiante.
Ma oltre al disagio la città ha anche degli aspetti negativi, su cui non mi soffermo perché occuperebbero troppo spazio.
Eppure Roma aveva per me un fascino particolare. La guardavo da ogni angolo incantandomi sempre. La osservavo da sopra e da sotto i suoi vestiti. Non ha la biancheria pulitissima, siamo onesti. Però ha un bel corpo.
Roma era bella, col caldo e col freddo, col sole e con la pioggia.
E questi apprezzamenti li dico con disinteresse: non ho nessun parente o amico nell’amministrazione comunale!
Io non so dove andrò a vivere in futuro. So che la mancanza di passione per la capitale ungherese sta un po’ tediando questo rapporto di convivenza. A volte mi accorgo di non guardarla più neanche. E lei forse ci rimane male. Si è appena rifatta un marciapiede dietro casa e io manco me ne sono accorto.
La verità è che sto vedendo un’altra città.
Non Roma, perché è una storia chiusa e non credo nelle minestre riscaldate. E poi non ho capito oggi come funzioni, se prima di voler andare a Roma bisogna dirlo a Peppe.
Penso che per la fine di quest’anno lascerò Budapest per fuggir da un’altra.