Obbligo dopo il semaforo. Doveri? Dov’eri?

In auto fermo al semaforo ieri mi si è avvicinato il lavavetri/vendi fazzoletti-arbre magique. Tra parentesi, perché i fazzoletti che vendono sono sempre della stessa marca? È un brand che ha sviluppato una strategia di marketing face to face, direttamente dal produttore al cliente?

Di lavavetri lungo la strada c’è un’intera squadra, anche se stanno diminuendo di numero perché stanno “rotondizzando” il tutto. Sarò sincero, alcuni hanno un atteggiamento fastidioso: si lanciano sul vetro prima che tu possa dire no. I più furbi, seguendo la tecnica del buscar el levante por el poniente attaccano invece il vetro posteriore cogliendoti di sorpresa prima che tu possa attivare il tergicristallo.

Altri invece sono più discreti e cauti. Ieri uno di questi si è avvicinato al finestrino e si è messo a parlare con me:
– Ciao amico. Vai al lavoro?
– Eh sì.
– Casa come va, figli come stanno?
(rido) Non ho figli e non sono nemmeno sposato.
– No, perché tu non fare matrimonio? Tu sposare, sei grande, hai trent’anni.

Il semaforo intanto si era fatto verde e son dovuto ripartire, ma prima gli ho lasciato qualche spicciolo, che tanto non avrei consumato mai. Avete notato? Le banconote subito spariscono dal portafogli mentre le monete si accumulano lì una dopo l’altra finché non ti viene un ematoma alla chiappa a forza di sedertici sopra.

Proseguendo mi son chiesto che ne sapesse mai lui che io ho trent’anni.  A parte che sono 29, vorrei precisare. Poi, di pomeriggio, davanti lo specchio ho notato una cosa: mi è spuntato un capello bianco. Ecco, ho capito: il lavavetri l’avrà notato.

Ho riflettuto su questa cosa del “doversi sposare”, come fosse una cosa indipendente dalla tua volontà: un obbligo, una tappa da raggiungere.

Certo, potrebbe essere così nelle zone di provenienza del mio simpatico interlocutore, dove ci si sposa molto giovani e, delle volte, proprio per imposizione. Ma anche dalle nostre parti sussiste una sorta di obbligo morale da dover assolvere.

Mi ha fatto tornare in mente un episodio della mia infanzia, legato a un altro sacramento. Un giorno in famiglia mi dissero che dalla settimana successiva avrei iniziato il catechismo. Io chiesi perché mai dovessi andarci per forza se non volevo farlo. La risposta che mi sentii dire fu questa:
“Un bambino alla tua età deve fare la comunione”. Tradotto: non hai capito il perché ma non ci interessa, l’importante è che tu lo faccia. Io non sono molto d’accordo su tale impostazione educativa. Comunque, ovviamente poi andai al catechismo e alla fine mi sono comunionato. E ho dato anche una festa. In realtà anche questa è stata organizzata dalla famiglia, perché anche in questo caso mi sfuggiva il senso di dover dare una festa. Però ero contento perché alla fine ho ricevuto dei regali.

Tornando all’argomento matrimonio, voglio condividere un piccolo aneddoto nuovo nuovo, fragrante come i biscotti di Antonio Banderas fatti con le sue mani (leggere con la voce di Antonio Banderas).

Stamattina Tizio si sposa. L’altra sera è andato a fare la serenata sotto la finestra della sua bella. Sì, perché vige ancora l’usanza che alla vigilia delle nozze lo sposo si improvvisi menestrello sotto la finestra di lei. Non so bene che pensare di questa tradizione, ai poster attaccati al muro l’ardua sentenza.

Se io dovessi fare una serenata canterei questa

Sì, ok, dice You’ll always be my whore, ma è un amore un po’ rock, dai.

Tornando a noi, uno potrebbe pensare che questa tradizione canora che dal milleduecentosettordici produce imbarazzi distillati sia una cosa spontanea e sentita. Se non che:
– Lui non sa cantare. In realtà due tizi che ha ingaggiato hanno cantato per lui, che accompagnava al massimo suonando il campanello di casa.
– Lui non voleva manco farla questa cosa, non era d’accordo. Ma la madre di lei ha insistito tanto, dicendo che doveva farlo .

Com’è come non è, Tizio si è quindi presentato sotto casa, con l’intera famiglia di lei ad assistere alla performance a mo’ di curva da stadio o da pubblico imbalsamato di Sanremo.

Perché è una cosa che si deve fare. Io avrei voluto chiedere a Tizio: scusa, ma alla fine, tu sposi lei o sposi sua madre?

Mi ha fatto tornare in mente una considerazione fatta sui giapponesi durante la visita al Tempio Senso-ji per assistere all’Hatsumode (la prima visita dell’anno al tempio). Si potrebbe pensare che i giapponesi ci tengano tanto a queste cose per motivi religiosi. In realtà gliene frega poco e niente della religione. Semplicemente, riguardo le loro usanze pensano: le facciamo da secoli, quindi sarà giusto continuare a farle. Non fa una piega, come dissero riferendosi al motociclista scarso.

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Lo sport nazionale giapponese è fare la fila. Si allenano tutto l’anno per il 31 dicembre. E per i saldi nei negozi di elettronica

Non so, ma io invece ho sempre un problema con gli obblighi. Sarà per questo motivo che in fondo sono un disastro nelle gestione delle incombenze sociali: il lobo del cervello che trasmette il senso del dovere deve aver interrotto le comunicazioni con il resto del corpo. Non che io non soffra di un accentuato doverismo, anzi, al contrario ho proprio una sindrome: ma si tratta di doveri interni, nel senso che sono io stesso giudice e imputato di me stesso. È per questo che poi non accetto doveri esterni, se arriva un altro giudice mi si solleva un conflitto di competenze nel lobo frontale e poi devo farmi una legge ad personam: il Lobo Alfano.

Tutto questo post era per concludere con questa battuta, quindi tu che hai letto hai sprecato minuti preziosi della tua vita per questo, sappilo. Gh gh gh (sghignazzo malefico).