Anche se fai il parrucchiere non è detto tu ci sappia fare con la frizione

Salve, sono Gintoki.
Forse vi ricorderete di me per post come “Il tifo è una brutta malattia“, oppure “Studio culturale sul popolo delle trentenni“, o ancora “Animali da concerto“.

Oggi prenderemo in esame una specie diffusa in qualunque parte del globo: l’automobilista.

Esistono diversi generi di automobilista, ognuna con caratteristiche diverse.

Il cappellaio matto – Tutti ne incontrano uno, prima o poi. Il motivo per cui un individuo senta il bisogno di tenere il cappello in testa anche all’interno del veicolo, è ignoto. Pare che alcune persone ingiuste e tendenziose dicano che un simile guidatore sia un imbranato: ebbene, è sbagliato. Non sono ingiuste e tendenziose. L’uomo col cappello è una fonte di perdite di tempo incommensurabili. Con la sua 127 color verde carroarmato dell’Unione Sovietica viaggia veloce quanto un piccione che accelera il passo. Come il tonno, è insuperabile: guida a centrostrada rendendo impossibile il sorpasso. Dopo aver svoltato, dimentica immancabilmente la freccia inserita. Attenzione alla combo: uomo col cappello + donna col cappello di fianco: ne sono stati avvistati esemplari sulle strade.

Il finto distratto – Quello che da lontano vede una colonna di auto e, con molta nonchalance, le sorpassa tutte fingendo di dover andare a sinistra/destra. Poi, con l’aria di chi casca dal pero, mette la freccia per rientrare avanti perché, oh cielo, si è accorto di essersi sbagliato.

Il segugio – Il segugio è colui che quando ha un’altra auto davanti sente l’irrefrenabile bisogno di stargli addosso, come a volergli annusare il sedere. È ancora ignoto il motivo di tale comportamento: è possibile che il guidatore-cane riconosca le altre vetture non a vista ma dal tubo di scappamento. L’ipotesi non è ancora confermata.

Vittorio Sgarbi – Guidare lo rende leggermente nervoso, tanto da costringerlo a proferire improperi e contumelie verso gli altri automobilisti a ogni minimo fastidio. Quando qualcuno sente ciò che dice e ferma l’auto minacciando di scendere, lui sgomma via più veloce di Speedy Gonzales.

Il maldestro (e anche malsinistro) – Gli dicono di girare a destra e lui svolta a sinistra, accende i fari e partono i tergicristalli, mette la retro e l’auto parte in quarta. Chiede comprensione perché non guida molto: ha la patente soltanto da 20 anni.

Il suonatore Jones – Quello che il resto del mondo chiama rottura di palle, lui la definisce sinfonia, diceva Lao Tse. Il suonatore è evidente che ami la musica proveniente dal proprio clacson (altrimenti non lo userebbe così spesso) e, da musicista professionale quale è, si tiene in allenamento pigiando il pulsante più volte al giorno per non perdere il ritmo. Per avvistare un suonatore Jones in azione, basterà appostarsi a un semaforo. Ce ne sarà sicuramente uno annidato nel branco. Tu che lo suoni, che cosa ascolti di migliore?

Il pellerossa – Colui che ha sotterrato ascia di guerra e, soprattutto, frecce: ne ignora l’utilizzo quale strumento direzionale. È l’uomo della svolta improvvisa non segnalata.

Un modesto impianto audio

Il tamarro – Era una notte buia e silenziosa…fino a quando con una sgommata non è sbucato dalla curva accompagnato dal suono della techno music. Il tamarro viaggia su Golf, Mito e, ultimamente, sulla nuova 500, decorate con spoiler, alette e luci a led sotto il paraurti. Ha fatto asportare il finestrino perché tanto non gli serve: qualunque sia la stagione, viaggia col braccio fuori e la musica che si diffonde all’esterno dall’impianto audio rubato in una discoteca di Riccione. Il tamarro guida con gli occhiali da sole anche di notte, perché tanto la strada non la guarda. Cieco e anche oramai sordo, si orienta come un pipistrello utilizzando le onde sonore di M2O come radar.

Il genio delle lampade – Colui che appena compra l’auto ne smonta le lampade per montare i riflettori di uno stadio di serie A. Particolarmente apprezzati sono i fari allo xeno, che causano attacchi di xenofobia negli automobilisti che lo incontrano. Incrociarlo può causare cecità momentanea, ma averlo riflesso nello specchietto retrovisore è un’esperienza psichedelica: alcuni giurano di aver visto la Madonna, dopo averla a lungo invocata.

Speed – 20 anni usciva il film con Keanu Reeves e Sandra Bullock, ambientato su un autobus che non poteva rallentare pena lo scoppio di una bomba. Nessuno sa che è tratto da una storia vera: ogni giorno viaggiano sulle nostre autostrade automobili che non possono rallentare: il tipo Speed comincia a lampeggiare già dal proprio garage per segnalare di dover avere pista libera. Alcuni lampeggiano anche a casa con l’interruttore della luce del soggiorno. Se avesse un cannone montato sul paraurti anteriore lo userebbe per far saltare in aria gli altri. Se a 200 metri di distanza vede un’auto davanti intenta a sorpassare, lui non rallenta ma con i fari invia un messaggio morse: sparisci.

Microcosmo – Forse intenzionato a ricreare la scoperta della Penicillina di Fleming o dimostrare la teoria del brodo primordiale, l’automobilista microcosmo fa della propria auto un ambiente atto a ospitare nuove forme di vita. Pezzi di cibo sparsi sui sedili anteriori, bottiglie di plastica ammaccate e deformate dal sole, terreno, residui di verdure della spesa e, ovviamente, scontrini in quantità industriale, perché la carta chimica è la scintilla necessaria a mettere in modo i processi fermentativi.

Il multitasking – Con una mano regge la sigaretta, con l’altra parla al cellulare, se è una donna poi bada al figlio di fianco sul sedile passeggero, se è un uomo carezza il cane (sempre sul sedile di fianco). Google li sta studiando per mettere a punto l’auto senza conducente, per capire come sia possibile procedere senza tenere il volante.

“Cogito, ergo Suv” – I possessori di Suv sono la categoria più odiata delle altre. Le malelingue dicono che sia solo invidia per il mezzo. Potrebbe anche darsi, ma utilizzare un’auto delle dimensioni di un Monster Truck per andare al bar a prendere un caffè forse è un tantino esagerato. La donna col Suv invece guida per un nobile scopo: andar a prendere il proprio pargolo a scuola, gareggiando con altre mamme col Suv per riuscire a posizionarsi il più possibile vicino all’entrata, perché il piccolo non deve camminare troppo.

Teoria della relatività – Per i relativisti al volante il tempo scorre in modo diverso a seconda che un osservatore si trovi all’interno del veicolo o all’interno degli altri veicoli. Il relativista guida col braccio fuori, l’aria spensierata e l’andatura da bradipo addormentato perché non ha alcuna fretta, al contrario di quelli che gli stan dietro. Un esemplare tipico è quello che si incontra la domenica mattina, è colui che esce per comprare un paio di pasticcini per il pranzo domenicale e che impiega tre ore per farlo, perché attende si faccia ora di mettersi a tavola (non sia mai che debba contribuire ad apparecchiare).

Se avete segnalazioni di altri animali automobilisti sono ben accette.

Obbligo dopo il semaforo. Doveri? Dov’eri?

In auto fermo al semaforo ieri mi si è avvicinato il lavavetri/vendi fazzoletti-arbre magique. Tra parentesi, perché i fazzoletti che vendono sono sempre della stessa marca? È un brand che ha sviluppato una strategia di marketing face to face, direttamente dal produttore al cliente?

Di lavavetri lungo la strada c’è un’intera squadra, anche se stanno diminuendo di numero perché stanno “rotondizzando” il tutto. Sarò sincero, alcuni hanno un atteggiamento fastidioso: si lanciano sul vetro prima che tu possa dire no. I più furbi, seguendo la tecnica del buscar el levante por el poniente attaccano invece il vetro posteriore cogliendoti di sorpresa prima che tu possa attivare il tergicristallo.

Altri invece sono più discreti e cauti. Ieri uno di questi si è avvicinato al finestrino e si è messo a parlare con me:
– Ciao amico. Vai al lavoro?
– Eh sì.
– Casa come va, figli come stanno?
(rido) Non ho figli e non sono nemmeno sposato.
– No, perché tu non fare matrimonio? Tu sposare, sei grande, hai trent’anni.

Il semaforo intanto si era fatto verde e son dovuto ripartire, ma prima gli ho lasciato qualche spicciolo, che tanto non avrei consumato mai. Avete notato? Le banconote subito spariscono dal portafogli mentre le monete si accumulano lì una dopo l’altra finché non ti viene un ematoma alla chiappa a forza di sedertici sopra.

Proseguendo mi son chiesto che ne sapesse mai lui che io ho trent’anni.  A parte che sono 29, vorrei precisare. Poi, di pomeriggio, davanti lo specchio ho notato una cosa: mi è spuntato un capello bianco. Ecco, ho capito: il lavavetri l’avrà notato.

Ho riflettuto su questa cosa del “doversi sposare”, come fosse una cosa indipendente dalla tua volontà: un obbligo, una tappa da raggiungere.

Certo, potrebbe essere così nelle zone di provenienza del mio simpatico interlocutore, dove ci si sposa molto giovani e, delle volte, proprio per imposizione. Ma anche dalle nostre parti sussiste una sorta di obbligo morale da dover assolvere.

Mi ha fatto tornare in mente un episodio della mia infanzia, legato a un altro sacramento. Un giorno in famiglia mi dissero che dalla settimana successiva avrei iniziato il catechismo. Io chiesi perché mai dovessi andarci per forza se non volevo farlo. La risposta che mi sentii dire fu questa:
“Un bambino alla tua età deve fare la comunione”. Tradotto: non hai capito il perché ma non ci interessa, l’importante è che tu lo faccia. Io non sono molto d’accordo su tale impostazione educativa. Comunque, ovviamente poi andai al catechismo e alla fine mi sono comunionato. E ho dato anche una festa. In realtà anche questa è stata organizzata dalla famiglia, perché anche in questo caso mi sfuggiva il senso di dover dare una festa. Però ero contento perché alla fine ho ricevuto dei regali.

Tornando all’argomento matrimonio, voglio condividere un piccolo aneddoto nuovo nuovo, fragrante come i biscotti di Antonio Banderas fatti con le sue mani (leggere con la voce di Antonio Banderas).

Stamattina Tizio si sposa. L’altra sera è andato a fare la serenata sotto la finestra della sua bella. Sì, perché vige ancora l’usanza che alla vigilia delle nozze lo sposo si improvvisi menestrello sotto la finestra di lei. Non so bene che pensare di questa tradizione, ai poster attaccati al muro l’ardua sentenza.

Se io dovessi fare una serenata canterei questa

Sì, ok, dice You’ll always be my whore, ma è un amore un po’ rock, dai.

Tornando a noi, uno potrebbe pensare che questa tradizione canora che dal milleduecentosettordici produce imbarazzi distillati sia una cosa spontanea e sentita. Se non che:
– Lui non sa cantare. In realtà due tizi che ha ingaggiato hanno cantato per lui, che accompagnava al massimo suonando il campanello di casa.
– Lui non voleva manco farla questa cosa, non era d’accordo. Ma la madre di lei ha insistito tanto, dicendo che doveva farlo .

Com’è come non è, Tizio si è quindi presentato sotto casa, con l’intera famiglia di lei ad assistere alla performance a mo’ di curva da stadio o da pubblico imbalsamato di Sanremo.

Perché è una cosa che si deve fare. Io avrei voluto chiedere a Tizio: scusa, ma alla fine, tu sposi lei o sposi sua madre?

Mi ha fatto tornare in mente una considerazione fatta sui giapponesi durante la visita al Tempio Senso-ji per assistere all’Hatsumode (la prima visita dell’anno al tempio). Si potrebbe pensare che i giapponesi ci tengano tanto a queste cose per motivi religiosi. In realtà gliene frega poco e niente della religione. Semplicemente, riguardo le loro usanze pensano: le facciamo da secoli, quindi sarà giusto continuare a farle. Non fa una piega, come dissero riferendosi al motociclista scarso.

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Lo sport nazionale giapponese è fare la fila. Si allenano tutto l’anno per il 31 dicembre. E per i saldi nei negozi di elettronica

Non so, ma io invece ho sempre un problema con gli obblighi. Sarà per questo motivo che in fondo sono un disastro nelle gestione delle incombenze sociali: il lobo del cervello che trasmette il senso del dovere deve aver interrotto le comunicazioni con il resto del corpo. Non che io non soffra di un accentuato doverismo, anzi, al contrario ho proprio una sindrome: ma si tratta di doveri interni, nel senso che sono io stesso giudice e imputato di me stesso. È per questo che poi non accetto doveri esterni, se arriva un altro giudice mi si solleva un conflitto di competenze nel lobo frontale e poi devo farmi una legge ad personam: il Lobo Alfano.

Tutto questo post era per concludere con questa battuta, quindi tu che hai letto hai sprecato minuti preziosi della tua vita per questo, sappilo. Gh gh gh (sghignazzo malefico).

Trovo molto interessante la mia parte intollerante #2

Questa settimana, non avendo idee per scrivere qualcosa di originale, riprendo un post di qualche settimana fa e lo integro con qualche altra cosa che trovo faticoso sopportare. Ovviamente, parliamo di amenità, sciocchezzuole, beninteso.

  • Non sopporto vedere unghie mangiucchiate e a maggior ragione non amo che si mangiucchino in mia presenza: sentire il “clac” dell’unghia sotto i denti mi fa rabbrividire. Ah, mi presento: io mangio la pelle intorno i pollici.
  • Non sopporto le prefazioni e le introduzioni dei libri, in modo particolare quelle troppo lunghe: mi sento obbligato a leggerle per rispetto di chi le ha scritte e poi non si sa mai contengano informazioni utili. Peccato che quest’ultima cosa sia vera in pochi casi.
  • Non sopporto chi non ti fa completare una frase tempestandoti di domande. Es.:
    Sai, ieri sera ho mangiato una pizza particolare…
    Dove sei andato?
    In quella pizzeria a Vergate sul Membro, cmq c’era questa pizza…
    Ah, quella pizzeria di fronte il benzinaio?
    Sì…comunque…
    Sei andato per la strada normale o la superstrada?
    La strada all’interno…non avevo fretta…dicevo…
    Era buona la pizza?
    Sì, ti stavo appunto dicendo che…
    Quanto si paga?
    (e poi va avanti va avanti va avanti…)
  • Non sopporto quelli che suonano il clacson quando scatta il verde al semaforo. Puoi anche riuscire a partire come Fernando Alonso e bruciare sul tempo tutti quelli dietro, ci sarà sempre chi sarà più veloce di te nel suonare il clacson per dirti di muoverti.
  • Non sopporto i genitori che fuori casa lasciano i figli allo stato brado, incapaci di fargli capire come comportarsi. Caro bambino che nel 2010 su un intercity Napoli – Pisa mi desti un calcio sul ginocchio – con tua madre che assisteva con calma zen – che sarebbe valso l’espulsione immediata e una squalifica per 2 giornate, sto aspettando che tu diventi maggiorenne per restituirtelo.
  • Non sopporto le canzoni che non ti piacciono ma che all’improvviso iniziano a suonarti in testa. Ieri mattina mi sono svegliato con Antonio Maggio che mi ripeteva mi piacerebbe sapere…e farmi male farmi male farmi male
  • Non sopporto i suggerimenti sballati di Spotify o Youtube per la musica. Hai ascoltato Nick Cave? Ehi, prova Anna Tatangelo!
  • Non sopporto quelli che quando ti parlano ti toccano. Ne esistono diverse categorie:
    il pugile, che ti dà colpetti come per logorarti;
    il doganiere, che ti tocca un po’ ovunque come per perquisirti;
    l’intimidatore, che ti stringe il braccio come se ti dovesse chiedere il pizzo;
    Zidane: questo in realtà non ti tocca ma avvicina la testa come se volesse darti una testata.
  • Non sopporto la domanda Sei solo tu? quando sei arrivato puntuale a un appuntamento e il primo dei ritardatari che arriva, vedendoti, domanda ciò.
    Risposta: no, c’è anche l’uomo invisibile qui con me. Scusalo, è un po’ timido.
  • Non sopporto la domanda Tanto che hai da fare? Qualche volta vorrei avere la prontezza di spirito e il fiato per dare una risposta stile Dottor Cox:
    Cosa ho da fare? Qualsiasi cosa che ritengo più interessante di ciò che mi chiedi, ad esempio vedere tutti i film di Bela Tarr in lingua originale cioè l’ungherese compreso Sátántangó che dura più di 7 ore, andare a un comizio di Scilipoti, iniziare a collezionare la lanetta che si forma nell’ombelico, girare le edicole per recuperare i numeri mancanti della raccolta a fascicoli delle targhe automobilistiche degli Stati Uniti, guardare i Festival di Sanremo dal 1955 a oggi, convincere un complottista che non esistono le scie chimiche, convincere un debunker che esistono le scie chimiche, far incontrare l’ex complottista e l’ex debunker e assistere alla conversazione…
    …e, ovviamente, i film con Hugh Jackman!

Come l’altra volta, se avete altre proposte, sfogatevi! 😀 (potete pure scrivere: non sopporto i blogger che fanno liste di cose che non sopportano…)