Dum inspiro, spero

POST A CONTENUTO FETICISTICO

Sto bevendo tè Hojicha[1]. Ha un odore fantastico. Ogni volta che apro il barattolo, avvicino il naso e chiudo gli occhi mentre inspiro. Ho la sensazione di essere investito da un’onda di colori caldi e pupazzi di stoffa, bottoni, legno e magie. Sì, sono molto lisergico nelle mie sensazioni, per questo i miei sogni notturni sono sempre un misto tra un quadro di Dalí, un film di Miyazaki e le comiche di Benny Hill. Stanotte, per fare un esempio, ho sognato che camminavo scalzo in una città che sembrava austriaca/ceca/della bassa Germania, dopo che in un aeroporto avevo sbagliato ascensore e mi ero ritrovato in una sorta di “dietro le quinte”: delle simpatiche vecchine mi indicano la strada per tornare indietro e io, dopo aver attraversato un piccolo giardinetto rustico, m’incammino scendendo da una strada collinare fino in città. Sempre scalzo, tra cosplayers, famigliole con bambini e soldati asburgici,  ascoltando Sono un ragazzo di strada nelle cuffiette. Roba da far impazzire persino Freud.

Tornando alle questioni di naso, ho un rapporto molto stretto col mio olfatto. È il senso sul quale faccio più affidamento.

Annuso molte cose. Come ho scritto nella mia presentazione, mi piace annusare i libri, ad esempio. Quando compravo ancora cd, appena aperta la custodia ne annusavo l’interno. L’odore degli inchiostri per le stampe dei libretti e delle copertine mi attirava come una droga.

Mi piace annusare l’aria dopo la pioggia, purché non sia quella delle strade della mia città: sa di anguilla ancora viva nella busta.

A proposito di cibo. Da bambino avevo l’abitudine di annusarlo prima di mangiarlo. A forza di sentirmi dire che è un gesto scostumato, ho smesso. Ma, a volte, di nascosto, lo faccio ancora.

Ho delle difficoltà coi cibi con un odore molto forte e deciso, come baccalà e cavoli. Per carità, son sicuro che siano cose buonissime, ma ho un blocco psicologico al solo pensare di mangiarli.
E dire che sono il tipo che non si rifiuta mai di assaggiare cose nuove. A casa dei famosi amici dell’Umbria (quelli amici dei francesi), una volta a pranzo mi hanno servito delle fette di pane tostato spalmate di paté di fegatini di pollo. Sicuramente saranno una prelibatezza e una particolarità locale apprezzata e sono conscio di essere io quello anormale o incompetente. Ma per me quello era l’odore più disgustoso e rivoltante che avessi mai sentito in vita mia. Per non offendere i presenti, mi feci forza e li mandai giù senza respirare. Nel frattempo, provavo a visualizzare con la mente le cose più buone e profumate che avessi mai mangiato. E di tanto in tanto ci infilavo in mezzo anche a qualche donna nuda, che non fa mai male come incentivo.
Non potrò mai dimenticare Jennifer Aniston che usciva da una vasca ricolma di cioccolato fondente fuso aromatizzato alla cannella (era il 2000 su per giù e l’ex signora Pitt era in grande spolvero).
Terminata la titanica (per me) impresa, quando mi videro col piatto vuoto sentii dire:
Ehi, è avanzata una fetta ancora. Diamola al ragazzo!
Il mio karma non è mai stato positivo.

Le ragazze. Inconsciamente credo di selezionarle in base all’odore.

Amavo l’odore della Sua pelle. Che poi dipendeva anche dal sapone che usava. Ogni volta, mi divertivo a chiederle cosa fosse, solo per sentir rispondere che era al cocco, con quella sua “o” molto chiusa che mi faceva sempre sorridere.
È bello perdersi tra i profumi del corpo di una donna. Oserei dire che è bello fare l’amore col naso, se non fosse che, detta così, è un’affermazione che presa letteralmente suona veramente strana persino per me. Chissà se esiste una categoria simile nei portali porno: il nose sexing.

Annusare. Il collo. I capelli. Una sua maglietta: in sua presenza, ovviamente: non sono mai stato un annusatore seriale di capi di vestiario, chiariamoci!

Il tè è finito. Nella tazza, ne restano ancora tracce dell’odore. Svaniscono pian piano. Inspiro. Spero.

E voi? Su quale senso fate più affidamento (potete anche rispondermi: il sesto: vedo i blogger scemi. Ovviamente riferito a me :D)?

[1] Praticamente, è un tè verde fatto con foglie di Bancha tostate.

Il mondo di Dalí – L’eclissi (2)

La prima parte è presente qui. I racconti del Capitolo I sono pubblicati qui.
seconda parte

Le verità che mi furono rivelate mi disorientarono. Il mio desiderio di sapere era insaziabile ma la conversazione fu al tempo stesso fonte di rinnovata speranza e foriera di nuovi terrificanti eventi. Ebbi risposta al mio principale dubbio. Io non appartenevo a questa dimensione, ero a tutti gli effetti un normale essere umano vittima di uno scambio tra i due universi. È facile comprendere chi ne fosse l’autore. L’avevo osservato per un attimo nello specchio mentre si aggirava nel mio appartamento. Un essere diverso dagli altri e dotato della necessaria intelligenza e consapevolezza per perpetrare l’inganno. Sotto le mie sembianze, che ne celavano la natura diabolica, è probabile che vivesse la vita che una volta era stata mia. Conscio di tutto questo adesso avrei potuto ristabilire l’ordine naturale delle cose, anche se in ogni caso avevo poco margine per lasciarmi cullare dall’ottimismo. Se esisteva una qualche speranza di tornare nel mondo che mi apparteneva, il tempo concessomi era limitato.
___L’Orologiaio aveva preannunciato la minaccia rappresentata da un’eclissi. Sulla Terra tali fenomeni sono vissuti come un evento spettacolare e nulla in più. L’epoca in cui l’oscuramento del Sole era considerato presagio di sfortuna e sciagure è parte di una storia lontana in cui la superstizione aveva la meglio sulla ragione. Vorrei poter raccontare che anche qui sia lo stesso ma non è così. In questo mondo surreale un’eclissi rappresenta una calamità.
___Ho avuto modo di accennare alla singolare esperienza dell’alternanza tra notte e giorno. Qui non esistono astri luminosi ma zone in uno stato perenne di luce o di buio rischiarato soltanto da un pallido chiarore. Spostandosi è possibile passare dall’una all’altra mentre le aree di contatto presentano livelli graduali di luminosità paragonabili alle nostre alba e tramonto.
___Qualunque ne fosse l’origine e la natura, quella luce era soggetta a occasionali periodi di oscurità. Le Eclissi. Il verificarsi di questi eventi era paragonabile a una catastrofe biblica, avendo come esito finale l’estinzione totale delle forme di vita presenti in quel mondo. Ogni volta le creature – delle quali avevo conosciuto un variegato assortimento -, investite dalle tenebre profonde, sparivano del tutto. Il surreale universo rimaneva spopolato per un breve periodo, fino al momento in cui comparivano altri nuovi e stravaganti esseri destinati a vivere il medesimo ciclo di vita e morte.
___Immuni a tutto questo erano soltanto le entità come l’Orologiaio. Esseri senzienti privi di reali forme e corpi, esistenti in uno stato che per me era quello di una semplice illusione ottica. Una razza superiore evolutasi in uno stadio intermedio tra la materialità e l’incorporeità che svolgeva il ruolo di Guardiana del Tempo e dello Spazio, rappresentando l’elemento di continuità in un mondo dove non vi era una coerenza. Seppur disciplinati da un Ordine e uno Scopo, la loro specie non era scevra di schegge libere o eresiarchi, come mi era stato accennato.
__Questo è ciò che mi fa concesso di apprendere. Quel che fu chiaro dal primo momento è che non essendo io dello stesso rango di tali semi-divinità, sarei stato cancellato dall’Eclissi come una qualsiasi altra creatura inferiore.

Enigma senza fine (1938)

___Al più presto sarei dovuto tornare nel mio universo. Sollecitato dalla mia richiesta di maggiori delucidazioni, il mio interlocutore si rivelò alquanto enigmatico.
“Quanto mi resta prima dell’Eclissi?” chiesi.
“Potrebbe essere già troppo tardi – rispose con il consueto tono flemmatico – o rivelarsi ancora presto. Il tessuto dimensionale è increspato, anche se tu potresti non osservarlo come tale. Considera il mondo dal quale provieni. È sferico ma a un suo abitante appare piatto”
“Non riesco a comprenderti. Dimmi cosa dovrei fare per tornare indietro”
“Non seguire la simmetria, I25-8. Recupera i due specchi che si guardano l’un l’altro. Elimina il tuo doppio”
___Non rammento se mi fosse stato detto altro o se la conversazione si fosse interrotta così. I miei ricordi sfumano in quel punto come evaporati. Ero finito preda di un sonno profondo e vischioso, dal quale mi risvegliai a fatica sentendomi come menomato delle mie capacità percettive. Qualcuno mi osservava ma non riuscivo a mettere a fuoco l’immagine. La presenza si fece sempre più incombente. Non si trattava dell’Orologiaio. Sentivo uno sguardo penetrante su di me. Un volto bianco emergeva dal nulla deformando l’aria intorno a sé.

Apparizione di volto e fruttiera (1938)

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Parcheggio, Area H7
Una porta a vetri elettrica si apre. Ne esce un uomo di quarantacinque anni al massimo. Capelli e baffi argentei gli donano un’aria distinta. Indossa un completo antracite e regge con la mano sinistra una borsa in pelle color cuoio.  Attraversa il piazzale illuminato da fari alogeni e si dirige spedito verso un’automobile, una berlina tedesca blu cobalto. A un tocco sul telecomando la vettura risponde con una breve segnalazione acustica.
___Un uomo, accanto un’altra vettura, si volta attirato da quel suono. È giovane, all’incirca sulla trentina. Indossa anch’egli un completo grigio, ma di una tonalità più chiara. La fattura appare meno curata, l’abito non è realizzato su misura.
“Quest’oggi non c’eravamo ancora incontrati” esclama rivolto verso l’uomo antracite.
“Problemi al livello D” risponde mentre apre lo sportello e sistema la borsa dietro al sedile del guidatore “sono stato impegnato tutto il giorno”.
“Il tuo amico?” replica il giovane, marcando l’ultima parola con un tono differente.
“No, lui va bene. Mi ha anche rivolto la parola di sua spontanea volontà”
“Cosa ti ha detto?”
“Solo di poter aver del materiale da disegno. Sostiene di avere un quadro da completare” detto questo l’uomo antracite sale in auto e si congeda dal collega “A lunedì” esclama accompagnando il saluto con un cenno del capo.
“A lunedì” risponde il giovane.

fine seconda parte

Il mondo di Dalí – L’eclissi (1)

I racconti del Capitolo I si trovano qui.
Ringrazio stephymafy  e i suoi “scarabocchi telefonici” che mi hanno ispirato lo scenario della Città del Tempo.

___Negli abissi dell’animo seppelliamo il nostro Io ancestrale per adattarci a regole e convenzioni della società civile. In rari casi avviene tuttavia che sia necessario per la propria stessa sopravvivenza immergersi in quel mare in cui è affondato l’Ego e riportarne a galla la primordiale dirompente forza.
___Mi chiamo C.. Ho 35 anni e sono, anzi ero, un agente assicurativo. Nessun mutuo da pagare, né una moglie o un animale domestico da mantenere, il sabato torneo di tennis coi colleghi e la domenica a pranzo dai genitori. Niente antifurti alle finestre e sempre un saluto cordiale per i vicini. Adesso sono l’uomo che ucciderà sé stesso.

__La scioccante visione allo specchio mi aveva gettato nello sconforto e nella disperazione. Sulla soglia della pazzia ho urlato e mi sono percosso come un ossesso per spegnere l’allucinante immagine che pulsava nella mia testa. Io, il demone. Ricordi, vita, solo mendaci realtà che mi ero costruito? Vagavo. Se la ricerca di un passaggio tra quella che credevo fosse la casa cui tornare e questo assurdo mondo mi aveva dato una ragione di vita, ora la verità mi aveva privato di qualsiasi scopo. Il mio unico desiderio era quello di spegnermi e porre fine ai tormenti.
___Avevo appena poggiato il piede su un basamento solido ondulato che mi accorsi di una singolare anomalia. Sporgendomi da un lato ero perfettamente allineato con il terreno circostante mentre spostando lo sguardo al lato opposto mi ritrovavo in alto di qualche metro rispetto al suolo. Senza rendermene conto ero incorso in un’altra illusione prospettica. Non diedi alcuna importanza alla cosa – a malapena ormai mi stupivo di quelle stranezze e nello stato in cui ero nulla poteva scuotermi – e mi avventurai a passeggiare nel cielo attraverso strane formazioni solide rette all’apparenza dal nulla. Guardando in basso constatai di quanto mi trovassi in alto, il paesaggio sottostante era soltanto una tavolozza di colori informi e privi di particolari. Un’idea malsana prese in modo rapido il possesso della mia mente. Avrei potuto gettarmi di sotto e porre fine alle mie sofferenze una volta per tutte.
___Immerso in tali pensieri di morte camminavo su uno stretto passaggio in discesa sospeso sul vuoto. Una cappa di nuvole sul mio capo mi faceva da soffitto. All’estremo opposto rispetto al punto in cui mi trovavo l’inusitato ponte del cielo si ampliava in una enorme formazione a conca. Il velo d’ombra che la rivestiva ne impediva di cogliere i particolari. Esploravo la vallata interna percependo al di sotto dei piedi solchi e canali come scavati da un corso d’acqua. Non so perché ma pensai a un paesaggio marziano che da bambino avevo visto su un libro. Un ricordo fittizio, probabilmente.
___Un enorme arco aperto incorniciava l’intero panorama alla mia sinistra, una conformazione che mi atterriva e affascinava nel medesimo istante. La propaggine partiva da un promontorio alle mie spalle per descrivere una volta sospesa in aria, mancando un appoggio che ne chiudesse la figura. Mentre lo attraversavo mi sentivo inquieto.
___Raggiunto il bordo esterno mi sporsi a osservare sotto di me. Notai qualcosa che non avevo colto prima o che in modo più probabile era apparso in quel preciso momento. Nel nulla di quella pianura emergeva una composizione di strane forme in bianco e nero. Era come ammirare un insieme di cristalli. Mentre tentavo di cogliere maggiori particolari socchiudendo gli occhi, la superficie sotto i miei piedi cominciò a tremare per poi inclinarsi. Voltandomi in cerca di un appiglio vidi ciò che non avevo potuto notare in precedenza: il volto di un vecchio uomo dalle enormi proporzioni che emergeva tra le nuvole che si diradavano. Stavo cadendo. Annaspavo in aria cercando di aggrapparmi a qualcosa, con il gigantesco essere che rivolse verso di me uno sguardo sadico. Quel che mi provocò maggior stupore e terrore fu il rendermi conto di cosa i miei piedi avevano calpestato sino a quel momento: era la sua mano!

La mano (1930)

____Precipitai nel vuoto. Dopo lo spavento iniziale cominciai a sentirmi sollevato. La fine di tutto, l’oblio, la pace. Questo mi attendeva in pochi attimi.
___Chiusi gli occhi. Speravo di perdere i sensi, ma non fu così. La caduta si fece angosciante, aprii gli occhi e sotto di me potevo distinguere i contorni sempre più nitidi di quella che avevo scambiato per una conformazione minerale e invece sembrava essere una città bicromatica. Forse svenni per qualche istante. Ricordo soltanto di aver percepito all’improvviso l’impatto sempre più vicino. Ho pregato ma solo di non soffrire, non per i miei peccati. Se ero un mostro speravo di esserlo al punto tale che anche l’Inferno mi avrebbe rifiutato.
___Non ebbi il coraggio di guardare. A occhi chiusi avvertii la sensazione di scivolare su di un piano inclinato. Guardai ma tutto ciò che vidi di fronte a me fu una enorme parete bianca contro la quale mi scontrai, seppur a velocità moderata. Qualcosa aveva smorzato il mio moto. Caddi. Questa volta verso l’alto, almeno credo. Sensazione di capovolgimento. Le tempie pulsavano, avevo la nausea ma non riuscii a vomitare.
___Quando mi rialzai potei ammirare uno spettacolo incredibile. Bianchi e neri come in una scacchiera si ergevano e si aggrovigliavano edifici e strutture squadrate, contornati da quelli che apparivano come alberi. Le strutture esplodevano da un unico punto per poi separarsi ed esprimersi in forme sempre più ardite e contrarie a qualsiasi logica di gravità e stabilità. Strade e percorsi si insinuavano tra pieghe e contorni delle costruzioni partendo dal suolo sino a perdersi nel cielo in mille circonvoluzioni. Tutto si dipanava senza interruzioni, come un immenso disegno tracciato senza staccare la punta della penna. Ero caduto in un ghirigoro tridimensionale.
___“Benvenuto, I25-8” la voce di un uomo calma e priva di alcuna inflessione tonale mi riportò alla realtà.
“Chi sei? Dove sei?” intorno a me non vedevo nessuno.
“Il Dove è un concetto non appropriato. Sarebbe corretto usare il Quando, I25-8” la risposta mi parve indisponente.
“Forse sono pazzo” pensai a voce alta.
“La pazzia vive agli estremi positivi o negativi. Contemplare la possibilità del dubbio espressa dai forse non è dato. Dunque, I25-8, dimmi: sei tu pazzo o non lo sei?”
“Smettila con i sofismi. E cosa vuol dire I258? Fatti vedere!” urlai stizzito.
“Non mi è concesso negarmi allo sguardo ma non sono padrone degli occhi altrui. Se tu non mi vedi come posso io farmi vedere da te pur essendoti davanti?”.
___Pensai di essere vittima di una presa in giro. Di fronte a me non c’era nulla. Uno spiazzale tra due edifici ricurvi circondati da alberi che facevano da contorno a uno squarcio su una piana senza fine che defluiva nel cielo. Nessun essere vivente.
___Stavo per andarmene per smettere di dialogare con i fantasmi, quando non potei credere a ciò di cui mi accorsi. Edifici e alberi incorniciavano la fenditura sull’infinito delineando il contorno di una testa umana. Enorme, si stagliava dinanzi a me. Uno scherzo della vista o era proprio l’uomo che mi stava parlando, non ne ero certo.
“Ti vedo” mi lasciai sfuggire.
“Mi vedevi anche prima ma la tua mente si rifiutava di guardarmi” disse la voce, adesso dotata anche di una figura.
Stavo parlando con una illusione ottica. La situazione mi sembrava normale tanto da proseguire la conversazione.
“Non mi hai detto ancora dove siamo”.
“Stai persistendo nel porre una domanda non congrua. È mio dovere avvertirti che l’ultimo a diffondere simili questioni è stato considerato un eresiarca”. La voce, o meglio, l’uomo, sembrava infastidito pur non avendo mutato tono.
“E cosa gli è successo?”
“Gli è stato negato il Tempo” la frase suonò come una sentenza.
“In che senso negare il tempo? Come è possibile fare una cosa del genere?”.
“Noi siamo la Città del Tempo. Produciamo, gestiamo e amministriamo il Tempo. Siamo ciò che scorre e quel che si ferma, siamo il battito del principio e il suono della fine. Siamo il regno del Quando e non abbiamo Dove perché quello è dominio della Città dello Spazio. Spazio è a Noi lontano e a Noi vicino, ne siamo in modo indissolubile legati e al contempo diversi, perché Quando e Dove non hanno forma in Assoluto. Per contemplare l’Assoluto è necessario trovarsi in una posizione da Assoluto. Ma come può esistere una condizione simile se il punto dal quale osservi può far variare i medesimi criteri di Quando e Dove?” detto questo, tacque.
“Sei per caso Einstein?” domandai schioccando la lingua, non mancando di inserire una punta di sarcasmo.
“Io sono l’Orologiaio” pronunciò ignorando la provocazione.
“Orologiaio, dunque, mi conosci? Prima mi hai chiamato I-qualcosa”.
“I25-8. Sei l’individuo al quale il Tempo sta cessando”.
“Mi sta finendo il tempo? In che senso?” chiesi turbato.
“L’Eclissi. Sta per arrivare”.

fine prima parte

Uomo con la testa piena di nuvole (1936)

Il mondo di Dalí (3)

prima parteseconda parte

Terza parte

___Da bambino ero spesso vittima di un incubo ricorrente. Nella mia sequenza onirica, una marachella venuta allo scoperto mi aveva attirato il biasimo dei familiari, divenuti severi oltre misura come preda di precedenti rancori. Logorato dai sensi di colpa, mi allontanavo indietreggiando verso un buio corridoio, senza perdere di vista la stanza illuminata dove i miei genitori, dagli sguardi carichi di riprovazione nei miei confronti, rimanevano immobili. Mentre l’oscurità intorno cresceva, delle eteree braccia provenienti dalle ombre si allungavano verso di me. Le mani mi sfioravano, parevano tentare di tirar via qualcosa da me, forse spogliarmi dell’onta e del rimorso, senza successo. Infine, quando anche l’ultimo barlume di luce si era spento, avevo la sensazione di precipitare. Guardando in basso potevo vedere un oceano blu, profondo e gonfio come sul punto di esplodere, ad attendermi. I flutti in collera si alzavano in enormi creste, cigli spumosi in procinto di separarsi in due parti rivelando immense fauci pronte a richiudersi su di me, seppellendomi nell’abisso. È a quel punto che finivo per destarmi dal sonno, con la sensazione di essere precipitato sul materasso.
___Dopo tanti anni l’incubo si ripresentò, con le medesime sensazioni e paure culminate con la caduta verso la bocca oceanica. Svegliatomi prima di essere divorato dai marosi, questa volta mi ritrovai realmente sott’acqua. Annaspai e mi agitai prima di rendermi conto che non avevo alcun bisogno di respirare: credetti di vivere ancora un sogno, ma specchi sul fondo e strani esseri che vi fluttuavano intorno mi rammentarono il surreale mondo in cui mi trovavo. Era proprio un meraviglioso spettacolo, volatili dai colori sgargianti agitavano le ali come fosse l’acqua e non l’aria il proprio elemento naturale, qualche creatura metà pesce e metà altro di indefinito di tanto in tanto faceva la sua comparsa tra rocce e alghe multiformi, più in là, invece, un anziano nudo apriva e chiudeva il suo torace come fossero le ante di credenza, rivelando un corpo privo di visceri, mentre una donna-tigre graffiava con ira la superficie di uno specchio.
___Uscii dall’acqua arrampicandomi su una robusta alga che mi fece da scala. La presenza di specchi anche sott’acqua non mi stupiva più di tanto, ne esistevano alcuni disposti in modo casuale persino tra i cieli, poggiati su maestosi archi di pietra o imprigionati in solide conformazioni rocciose sospese nell’aria senza alcun sostegno. Realizzai che anche la prospettiva era coartabile alla legge del caso che dominava questo universo. Così come, osservandolo dalla giusta angolazione, un alberello in primo piano può sembrare più alto di una montagna, allo stesso modo era possibile unire gli artefatti in aria sino a congiungerli con il suolo semplicemente guardandoli da una determinata posizione. Svelata l’illusione, potei anche concedermi una passeggiata tra le nuvole.

Morbida costruzione con fagioli bolliti

___Le creature di questo mondo non cessavano di stupirmi. Non mi era ancora ben chiaro se esistesse una suddivisione tra esseri umani – o presunti tali – e animali, mentre potevo azzardare nel credere a una distinzione tra i sessi, seppur in molti casi fosse impossibile discernere le differenze. Vagare per terre desolate o esibirsi davanti agli specchi sembravano le uniche loro occupazioni, senza premura alcuna di soddisfare altre necessità, come alimentarsi o trovare ristoro nel sonno. Un altro arcano era rappresentato dagli specchi, che io continuavo a identificare come tali ma che sarebbe stato più corretto definire come delle finestre sul mondo reale; è solo dall’altro lato che lo specchio assolveva la sua semplice funzione di riflettere la luce.
___Il funzionamento della connessione con il nostro universo mi era chiaro parzialmente, il modo in cui fosse possibile sintonizzarsi sul proprio alter ego rimaneva un mistero. Gli specchi liberi mostravano luoghi casuali, grazie a ciò posso dire che col mio vagabondare avevo visto interni di abitazioni da qualsiasi angolo del mondo. Un dubbio qui mi inquietava, come fosse possibile, con le infinite combinazioni possibili, che io fossi riuscito a vedere – anche se ne avrei fatto a meno – un luogo a me familiare come era la stanza di N.? I ricordi potevano essere vaghi e sbiaditi, magari avrò viaggiato per l’equivalente di secoli prima di incontrare per caso quello specchio, ma non ne ero certo. Un incontro fortuito, può darsi, ma ricordo che in me in precedenza si agitava il pensiero di quella donna, tra nostalgia e malinconia e il desiderio di raggiungerla. E che dire dei miei esperimenti con il tempo? Possibile che la mia fortuna fosse tale da essermi imbattuto facilmente in finestre aperte su degli orologi? Fino a quel momento, preso dalla suggestione dei luoghi che visitavo, non ci avevo riflettuto, ma qualcosa ora poteva cominciare a quadrare. Sì! Forse era il pensiero la chiave di tutto, in qualche modo lo specchio era in grado di entrare in risonanza con le onde mentali di chi vi si poneva di fronte.
___Animato da nuovo impeto, intravedevo una flebile fiamma di speranza. Tra il camminare senza meta e il segreto desiderio di trovare il mio alter ego, non avevo mai rivolto un pensiero verso casa mia, la rassegnazione o un desiderio di fuga dal reale mi avevano distratto. Ma ora, sì, potevo compiere un tentativo, magari una volta sintonizzato su quel luogo familiare – da cui, non ne ero sicuro, probabilmente il mio viaggio aveva avuto inizio –  potevo ritrovare la via del ritorno o, anche, attirare il mio doppio di questo mondo e attendere lo sviluppo degli eventi.
___Non fu semplice, nella furia dell’eccitazione mi concentravo a fatica, cambiavo specchio di frequente, fuggendo da quelli occupati. Poi, finalmente, mi sentii attratto verso un vetro informe incastonato nel terreno. Dall’altra parte, in penombra, potevo riconoscere in un corridoio un vecchio mobile sul quale erano poggiati, in razionale disordine, una rivista, le chiavi di un’auto, delle bollette ancora da pagare e un soprammobile di dubbio gusto. Lo avevo trovato, era lo specchio aperto sull’ingresso del mio appartamento. Forse una lacrima di commozione fece la sua comparsa.
___La porta all’improvviso si aprì e una mano sull’interruttore accese la luce. Qualcuno violava il mio domicilio? Una persona dalle sembianze familiari, di spalle, passò davanti lo specchio, gettando le chiavi sul mobile. Nulla poté descrivere l’orrore che provai mentre il presunto intruso si girava, mostrandosi a me.
Lui era me!
Il mostro di là dello specchio, dunque, ero io!

Destro o sinistro?

Non so che validità scientifica abbia, comunque chi volesse spendere un minuto giocando a capire quale sia il proprio emisfero del cervello dominante (o se ci sia un perfetto equilibro), c’è questo test: http://sommer-sommer.com/braintest/

Secondo il risultato sono una persona irrazionale (secondo la convenzione classica, lo scienziato tra i due emisferi è il sinistro. Ho detto “convenzione classica” perché magari hanno scoperto che è tutta una balla).

Immagine

A proposito di irrazionalità, Il mondo di Dalì torna domani con l’ultimo episodio. Forse.

Il mondo di Dalí (2)

(prima parte)
Seconda parte

___Il tempo non è l’unica cosa qui che non segue le regole convenzionali. Lo spazio e la fisica degli oggetti sembrano ordinati in base a parametri puramente casuali, privi di una qualsiasi logica comune. Dopo l’episodio dell’orologio, camminai per quelle che mi sembrarono ore, ma con la sensazione di non essermi mai spostato dallo stesso punto, come avessi percorso un nastro di Möbius. In altri momenti, invece, mi bastarono pochi passi per cambiare completamente scenario, passando anche dal giorno alla notte. Nel luogo in cui mi trovo non esiste un alternarsi degli astri, considerando anche che questi ultimi non sembrano affatto presenti; l’ambiente è illuminato, ma non esiste un Sole, così come l’oscurità notturna, priva di stelle, è rischiarata da un lontano chiarore non prodotto da alcuna Luna. I due momenti del giorno non si susseguono, luce e buio si raggiungono spostandosi a piedi.
___Le ombre rappresentano un altro mistero. Ho notato di avere la mia sempre alle spalle, in qualsiasi posizione io mi trovi; se mi girassi sul posto lei si sposterebbe, risistemandosi a guardia della mia schiena. Ho lasciato perdere questa stranezza dopo poco, attratto da altre curiosità. Una volta diedi con noncuranza un calcio a un ciottolo, che rotolò via per diversi metri. L’ombra, però, non si mosse via dal punto in cui il sasso in precedenza giaceva. Provai a calciare un’altra piccola pietra, ma questa invece non si spostò affatto, né io riuscii ad afferrarla con le mani. In compenso, con un paio di dita potei trascinare via l’ombra che proiettava.
___Il mondo è densamente popolato da strane creature, più bizzarre e inquietanti dei demoni mostruosi che imitavano gli amplessi di N. e del suo ex, ma totalmente indifferenti alla mia presenza. Accertatomi che non rappresentassero una minaccia, tentai più volte di stabilire un contatto, senza mai riuscire ad attirare la loro attenzione, quasi la mia presenza qui fosse insignificante. Tentai di stuzzicare con un ramo un enorme essere equino, dalla cui schiena spuntava un busto maschile – privo di testa – fuso all’altezza del ventre con il suo corpo. Lento, il cavallo si spostava su sei zampe lunghe e sottili, simili a quelle di un fasmide. Appena lo punzecchiai, l’insetto-cavallo si scompose davanti ai miei occhi in tanti piccoli cubi, via via sempre più minuscoli, fino a smaterializzarsi nell’aria.

Alla ricerca della quarta dimensione

___La prima reazione la ottenni quando mi avvicinai a uno specchio davanti al quale si muoveva, rimirandosi, una donna. Esile e alta, aveva il volto coperto da una maschera bianca, incorniciata da boccoli di capelli oro che le scendevano dalla testa. Braccia scheletriche e lunghe terminavano con dita appuntite e colorate, che faceva scorrere in modo alternato sulla maschera, tracciando scie ora cremisi, ora violetto, ora blu. Ricordava una bambina che si trastulla con i trucchi della madre per giocare a fare l’adulta. Insoddisfatta del risultato, scuoteva la testa e i segni delle dita-rossetto  in un attimo sparivano, permettendole di ricominciare il gioco della vanità. Un serpente le cingeva il busto a mo’ di corpetto, lasciando le spalle scoperte e facendosi via via più sottile intorno al collo, a formare una collana. Il fiocco di una fusciacca che le cingeva la vita si estendeva sino ad avvolgerle una coscia, per poi scendere giù a spirale sino al piede, fasciato anch’esso; guardando meglio tra le pieghe, però, non intravidi nessuna gamba al di sotto, era la stoffa stessa a farle da arto. L’altra gamba, nuda, era percorsa in lungo sino alla caviglia da una cicatrice i cui lembi non sembravano uniti.
___Mi avvicinai sino a poter sbirciare nello specchio, notando una giovane donna, di spalle, intenta a vestirsi. Un abito elegante, forse per un’occasione da celebrare. Stavo per sporgermi di più, ma la creatura smise di giocare voltandosi verso di me, mostrando due occhi luminosi tra i fori della maschera. Il serpente si slanciò per mordermi, mentre lo sfregio lungo la gamba si apriva lanciando un sibilo infernale accompagnato da vapori che non mi soffermai a inalare. Fuggii.
___Impiegai tempo – se avesse ancora un senso tale concetto – a riprendermi, scosso e sconfortato vagai tenendomi a distanza dagli specchi, per poi abbandonarmi lungo disteso a riva di un piccolo lago in cui nuotavano degli strani uccelli. Ebbe modo di riflettere. Rammentai: se esisteva un mondo di mostruosi alter ego di noi stessi, da qualche parte avrei dovuto trovare anche il mio. Dare un senso alla mia presenza in questo universo, camminare alla ricerca di me stesso e dei miei lati oscuri, una strada che potevo percorrere.
Due interrogativi spegnevano i miei entusiasmi: come avrei trovato il mio doppio in questo spazio in apparenza senza fine? E come l’avrei riconosciuto?

fine seconda parte

Donna con testa di rose (1935)

 

Il mondo di Dalì

«È l’ultima volta».
Forse N. lo avrà detto a se stessa, mentre le sue mani scivolavano sulla schiena dell’ex di una vita. La relazione tra i due poteva dirsi finita da qualche anno, ma occasionali appuntamenti di letto non erano mai cessati. Inconsciamente, era il pretesto di N. per fuggire ogni altra relazione, evitare di sentirsi legata a qualcuno che le si potesse stringere troppo.
Mentre lui indugiava sui segreti intimi di lei, il senso del rimorso si fece evanescente, sopraffatto dal demone della passione. Mi allontanai da quelle scene per pudore, e anche per rabbia, considerato che la verità sulle persone che si conosce non fa mai del bene.
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Qualsiasi spettatore indiscreto avrebbe visto due corpi nudi stretti su un letto, ma, in fondo la stanza, lo specchio mostrava tutte altre immagini: esseri mostruosi stretti in un animalesco amplesso, zanne e artigli che incidevano le carni in un’orgasmatica estasi, versi inumani da bocche grondanti ulcerose bave. Nessuno sa ciò che gli specchi proiettano quando non sono osservati, pur essendo a portata di sguardo. Nella beata indifferenza, si apre la finestra sul mondo di noi stessi, con i nostri diabolici corrispettivi, portatori delle nature occulte di ogni essere umano, inconsapevoli abitanti di una Terra al di là di un vetro.

La disintegrazione della persistenza della memoria (1952)

___Non ricordo di preciso quando io abbia effettivamente varcato la soglia, né da quanto io mi trovi qui. In questo mondo non esistono meccanismi per scandire il tempo, né è disponibile un qualsiasi riferimento allo scorrere degli eventi. Tentare di cogliere qualche indicazione scrutando l’altro lato è speranza vana, le mie ricerche sono terminate senza successo.
___Un giorno, uno specchio che si apriva su una stanza provvista di un orologio a muro con datario mi diede modo di iniziare il mio esperimento. Senza smettere di guardare dall’altra parte, sincronizzai il mio orologio da polso, lasciando poi trascorrere un minuto. Il tempo passò in maniera uguale e con precisione simmetrica per tutte le lancette, dandomi modo di procedere con il test successivo. Memorizzate ora e data, mi allontanai tenendo d’occhio il mio orologio anche questa volta per un solo minuto. Rimasi basito nello scoprire che per il calendario dell’orologio a muro erano invece passati due giorni, quando andai a controllare. Pensai che quella fosse l’equivalenza base tra i due mondi in assenza di un osservatore, ma per sicurezza ritentai l’esperimento con la stessa modalità. Scaduti i 60 secondi, al di là dello specchio vidi che era trascorsa una settimana! Dopo l’iniziale smarrimento, mi allontanai da lì pensando che si trattasse di uno scherzo o di un malfunzionamento dell’oggetto. Trovai altre finestre aperte su calendari automatici, orologi o altri apparecchi per segnare il tempo, ma ogni esperimento finì col restituirmi risultati ogni volta diversi, un minuto dal mio lato poteva valere da un secondo a un intero mese dall’altra parte del vetro. Affranto e nervoso, gettai il mio orologio in un fossato. Pochi secondi dopo, un rumore attirò la mia attenzione: col quadrante in pezzi, l’orologio giaceva al suolo come piovuto dal cielo.

fine prima parte

seconda parte