Insalata mista di nulla

Oggi è stata una giornata in cui non mi è successo nulla di particolare ma in cui ho raccolto tante piccole cose che messe insieme possono costituire il tipico miscuglio che realizzi quando non hai l’occorrente per un vero pasto e allora sbatti un uovo e ci butti dentro degli avanzi vegetali o animali per una frittata, oppure hai mezza salsiccia nel congelatore e mezza cipolla sul tavolo e le metti insieme coi borlotti per un leggero e fresco piatto estivo.

Gli ingredienti di oggi sono:

  • L’autobus in cui sono tornato puzzava di alito a fine giornata. Avrete presente l’alito da fine giornata di lavoro, ebbene, l’autobus aveva quell’afrore lì. Ed era vuoto. Il che, considerando che era fine giornata, potrebbe significare che anche gli autobus sviluppino l’alito da fine giornata. Oppure che in precedenza un gruppo di persone con l’alito da fine giornata era salito respirando a bocca aperta.

  • Il karma può colpire non solo vendicandosi ma anche facendoti venire i sensi di colpa. Al supermercato mentre ero in coda alla cassa ho finto di ignorare una signora, con in mano soltanto una bottiglia di latte, posizionata quasi di fianco a me, come a farsi vedere sperando di passare avanti. Dato che in precedenza ero stato vittima di un torto (una signora mi aveva spinto senza manco chiedere scusa) volevo vendicarmi dell’universo non usando cortesia. Se non che nel posare il carrellino vicino la cassa stavo per far cadere gli altri carrellini perché non riuscivo a incastrare il mio e la signora che non avevo fatto passare avanti mi ha aiutato. E mi sono sentito in colpa.
  • Ho visto una ragazza con in mano una rosa che aveva strappato da un’aiuola e ho provato disprezzo per lei.
  • Ho visto una signora vestita stile loli.

    DIDASCALIA D’ABBIGLIAMENTO
    Lo stile lolita è una moda nata in Giappone e che trae spunto dall’abbigliamento vittoriano: gonne ampie e lunghe, calze, sottovesti, corsetti, cappellini. Nel tempo poi sono nati vari stili e quindi dal lolita classico si possono trovare poi varie interpretazioni. La signora che ho visto non so a che corrente appartenesse, dalle scarpe al cappellino era tutta in bianco quindi forse sarà stata – invento – una white loli.


  • Non riesco più a seguire W. e il suo inglese. Ho il terrore di trovarmi da solo con lui perché attacca a parlare col suo americano Yo man ‘cuz I don’t give a fuck of this shit it was totally crazy e io vado in difficoltà perché invece comprendo uno se mi parla come il Doctor Who o come Ian McKellen o come la Regina Elisabetta (in ordine di importanza). Sono vittima di un equivoco che io stesso ho contribuito a creare perché in 4 mesi ho sempre dato l’impressione di capirlo perfettamente, del resto mi basta afferrare una parola e io mi attacco a quella per dare una risposta pertinente col discorso in una percentuale tra il 50 e il 75% (perché piuttosto che scendere sotto il 50% di pertinenza preferisco tacere).
  • Guardando su fb delle immagini riguardanti l’ennesima fiera del fumetto in corso in non so che posto d’Italia ho riflettuto sul fatto che le fiere del fumetto negli ultimi due anni mi stanno venendo molto a noia. Ma non per il fumetto in sé né per l’animazione, anzi lunga vita, ma per tutto il carrozzone che di solito le accompagna. A cominciare dai videogiochi, che poco c’entrano col fumetto anche se possiamo dire che ci sono videogiochi tratti da fumetti: devono però spiegarmi perché poi al Comicon trovo uno stand su FIFA o su PES che attira uno stuolo di tamarri vogliosi di farsi una partita gratis? Ma posso anche comprendere che rientri tutto nell’insieme del nerdismo, quindi lunga vita anche ai videogiochi. Sono quelli che fanno i video su youtube e che la gente chiama youtuber che mi stanno proprio sui coglioni e che non ne posso più di sentire nominare, figuriamoci di vederli a una fiera del fumetto.

La trascurabile importanza del condividere

Ho appreso che fosse cominciato Sanremo aprendo la home di Facebook. Non è per fare finto snobismo che affermo che non lo sapessi. È ovvio che sono a conoscenza del fatto che ci sia in televisione questo momento aggregatore nazionalpopolare che è una via di mezzo tra il giorno della marmotta negli Stati Uniti e il discorso della Regina Elisabetta nel Regno Unito. Non ero a conoscenza dell’inizio effettivo e l’ho scoperto dagli aggiornamenti dei miei contatti su Fb, divisi, nell’ordine, in:
– commenti sul Festival di Sanremo
– commenti su quanto faccia schifo il Festival di Sanremo
– commenti sprezzanti su quelli che dicono quanto faccia schifo il Festival di Sanremo
– commenti di quelli che dicono di non guardare il Festival di Sanremo
– tette, culi, frasi retoriche e ridondanti sull’amore, link che vorrebbero essere spiritosi ma avevano già smesso di far ridere quando furono creati, rivelazioni a caso su complotti in corso del NWO e tanto altro da parte dei più irriducibili che ci tengono a seguire una linea editoriale costante.

Ormai quando piove corro a verificare su Facebook per esserne certo, perché la finestra potrebbe ingannarmi.  Io sto scherzando, ovviamente, ma ho come l’impressione che per alcune persone il vero risieda nel condiviso.

Coincidenza, ieri sera sono andato a vedere Birdman (O l’imprevedibile virtù dell’ignoranza). Due parole: finalmente credo di aver visto un film che (probabilmente) vincerà l’Oscar e che mi piace. Accadde anche col Signore degli Anelli, ma lì è scontato, come avrebbe fatto a non piacere?!

Ci sono due cose che mi eccitano in senso artistico: il cinema quando parla di cinema (penso a tal proposito di essere uno dei pochi estimatori di Holy Motors) e il piano sequenza. Nel film ci sono entrambe le cose, anche se l’ultima è posticcia: nel senso, le scene sono in piano sequenza, fuse insieme per poi dare l’impressione che tutta la pellicola sia interamente un piano sequenza.

C’è un passaggio significativo – tra i tanti – in tutto il film, o meglio, in realtà più che un passaggio è una sottotrama che viene a galla nei momenti salienti: la notorietà e l’essere qualcuno. Riggan Thomson (Michael Keaton) è un uomo vecchio. Odia i blogger, Twitter, non ha una pagina Facebook, non compare su Youtube (come la figlia, con la quale è in pieno conflitto generazionale – cliché sul quale non mi soffermerei – gli urla contro): in poche parole non esiste (tra l’altro, “non esisto” è la battuta che dice il personaggio che R. T. interpreta a teatro nella rappresentazione basata su What we talk about when we talk about love di Raymond Carver). I suoi sforzi di costruirsi una identità artistica sono vani, basti pensare che il picco di fama che raggiunge lo deve a una passeggiata in mutande in Times Square, il cui video raggiunge centinaia di migliaia di visualizzazioni in rete. Non svelo il finale, ma il gesto sul palco, oltre a essere l’azione di un uomo preda dei propri deliri schizoidi, è anche la risposta definitiva al pubblico: se è ciò che bramate, ve lo darò.

Illuminante il commento dell’arcigna e severa critica teatrale di fronte allo sfogo del povero Riggan: “Voi non siete attori, siete celebrità”.

Sono uscito dal multisala (a proposito, vorrei esprimere tutto il mio odio per i multisala: supermercati dell’intrattenimento, dove sono costretto a condividere la fila con coloro che sgomitano per l’ultimo film di Siani, il quale non mi ha mai fatto ridere così come non mi fanno ridere gli odierni comici by Zelig, Colorado, Made in Sud e compagnia, contornato da una puzza di pop corn acido e dal rumore delle mascelle di quelli che li mangiano durante la proiezione) riflettendo sulla schiavitù numerica della condivisione e sul rapporto che hanno la fama e la notorietà coi contenuti, un rapporto che vede questi ultimi a mio avviso – ahimé – spesso soccombere.

Ho in passato pubblicizzato la mini serie Black Mirror: l’episodio che mi ha inquietato di più, perché è quello che percepisco come più icastico, è The Waldo Moment. Invito a vedere tutta la serie (sono sei episodi + uno special uscito due mesi fa) ma in particolare questo qui che, pur essendo qualitativamente inferiore agli altri, lascia riflettere sulle dinamiche che si creano tra opinione pubblica e la realtà che si replica e diffonde in rete.