Non è che siccome suonano uguale “addetto vendita” e “ha detto vendita” siano la stessa cosa

Cerco di avere sempre la massima solidarietà verso chi lavora, soprattutto per coloro i quali non percepiscono stipendi eccezionali, magari anche sottopagati, faticosi e al contatto con il pubblico che, si sa, non è sempre la cosa più piacevole del mondo.

Ciò nonostante, le mia capacità di resistenza e di empatia a volte sono messe a dura prova dagli addetti vendita che hanno il costume di prendere d’assalto il cliente.

Sono conscio che certi atteggiamenti siano frutto di logiche e pressioni aziendali, che spingono per il vendere! fatturare! a ogni costo e che magari il povero dipendente ne farebbe volentieri a meno.

Però per tal motivo ci sono punti vendita in cui non entro mai e quella volta che ci entro mi ricordo perché non voglio mai entrarci. Su alcuni ho la croce nera da anni, ad esempio quello dove gli addetti vendita sono vestiti da arbitri.

L’altro giorno invece sono entrato, ed era più di un anno che non ci andavo (e poi ho ricordato il motivo), in un negozio di una nota catena di vendita console&videogiochi. Ero entrato per una console. Alla fine ne sono scappato e l’ho comprata nel negozio di elettrodomestici di fianco.

Sono stato preso d’assalto dalle due addette, che non mi hanno mai lasciato in pace proponendomi qualunque cosa. Sconti, offerte, tessere, promozioni. Quando ho preso il cellulare dalla tasca mi sono anche sentito proporre una custodia trasparente per sostituire quella che ho a libretto. “Così puoi goderti l’aspetto del tuo smartphone”, mi ha detto.

I famosi telefoni da contemplazione, immagino. Quante serate davanti al telefonetto mentre fuori piove e fa freddo!


È chiaro che si fa di tutto per vendere. Quando ho svolto volontariato per una onlus sui banchetti di fiori e uova le provavo tutte per avvicinare le persone. A un certo punto ho anche gridato, come slogan, rivolto a una coppia: Cioccolato? Migliora l’umore, fa bene all’amore!, facendo pubblicità ingannevole sulle presunte caratteristiche antidepressive e afrodisiache del cacao.

Per la cronaca: non si fermarono a comprare. Però hanno riso di gusto.


 

Non è che ti serva la colla per applicarti

In quanto figlio degli anni ’80 ho vissuto un’infanzia in cui supereroi e videogiochi erano qualcosa da sfigati. Raccontare di considerarli come propri hobby equivaleva a un’ammissione di scarsa vita sociale. Se dicevi di preferire startene a casa ti guardavano in modo strano. Oggi a vedere i film Marvel ci va chiunque e un qualsiasi ragazzino ti considererà uno sfigato se non sai cosa siano Fortnite, Minecraft o CoD.

Qualche settimana fa parlavo con un amico che organizza da quasi vent’anni una rassegna di cinema d’autore. Affermava che secondo lui il cinema sta andando verso la morte. Ha sempre la tendenza a parlare con toni apocalittici di qualunque cosa e credo l’ultima volta che abbia guardato alla vita con ottimismo sarà stato all’ultimo scudetto del Napoli.

Però questa volta mi sa che ragione ne ha. La pandemia ha accelerato un declino. Le sale non si riempiono più. Leggevo un commento, a caso, sotto un articolo sulla crisi dei cinema, di un tizio che diceva “Preferisco stare a casa sul divano”.

Ecco. Vent’anni fa “preferisco stare a casa sul divano”, come accennavo, era un atto coraggioso che andava incontro al giudizio altrui. Oggi, invece, è la normalità.

Certo, a casa ti puoi alzare quando vuoi, ti stendi, parli.

Due delle azioni che ho elencato sono a mio avviso sindromi di un deficit di attenzione. Non è più concepibile nell’homo applicans (cioè l’essere umano che si dedica a fare un sacco di cose, tutte male) l’idea di stare fermi e dedicarsi a una singola attività per un tempo prolungato. Magari anche in silenzio. Mi vengono in mente quelli che dicono «Non riesco a leggere». Apri il libro e mettitelo davanti agli occhi: è un buon inizio.

Anche io, già distratto di mio di natura, vivo saltando da una cosa all’altra. Con tutte le conseguenze del caso: per dire, ormai sono oltre l’entrare in una stanza e dimenticarmi il perché di averlo fatto. Mi dimentico proprio di entrare nella stanza.

Voglio provare a fermarmi. A tornare a ragionare di più sulle singole azioni. A fare esercizio di consapevolezza. E se magari il cinema non muore, pure sarei contento.

Non è che per sparare sentenze ti serva una pistola

Dicono che Red Dead Redemption II sia il videogioco più bello di quest’epoca. Io non lo so né tanto meno voglio gettarmi in analisi critiche. Internet già pullula di recensori o di censori che si sentono re.

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Io so soltanto che volevo sparare a un po’ di gente – nel gioco, intendo – per svagarmi.

Per carità. Non iniziamo a discettare sui videogiochi diseducativi e la violenza gratuita nell’intrattenimento: a parte che costa un bel po’ di cocuzze quindi direi gratuito Stockhausen, gioco da quando avevo 9 anni e il crimine più grave che io ho commesso in vita mia è il divieto di sosta (va detto che la depenalizzazione della blasfemia a semplice illecito amministrativo ha alleggerito la mia fedina penale).

Certo, poi non è che se non ammazzi nessuno sei una brava persona, lo sappiamo: infatti non mi sono mai definito “brava persona” e comunque dicevo che volevo ammazzare un po’ di gente in Read Dead Redemption II.

Se non che ho scoperto che andarsene in giro a caso nel gioco (oltre alle missioni obbligate è possibile infatti passare il tempo come meglio si crede andando a zonzo a farsi i fatti propri) a commettere crimini non è così semplice: basta un niente per ritrovarsi le guardie alle calcagna e una taglia sulla testa. Per esser andato involontariamente col cavallo addosso a un tale mi sono ritrovato lo sceriffo e altri tre bravacci che mi sparavano alla schiena. Rapinare un tizio in mezzo al nulla neanche è facile: c’è sempre qualche ficcanaso che ti nota e corre a spifferare il tutto al solito sceriffo che ti inseguirà di nuovo per spararti.

Insomma il selvaggio West non è poi così selvaggio se non puoi manco fare il selvaggio come ti pare. Ci hanno tolto tutto.

La mia birra preferita nel mio posto preferito dove vado il weekend (talvolta anche in settimana) ora da 5 euro la pinta è passata a 6. Al di là del rincaro, che nell’economia di un mese di bevuta ti porta via almeno un’altra birra, è quella cifra non tonda che disturba. Ci hanno tolto tutto.

Le regole sui bagagli delle compagnie low cost sono cambiate ancora (in peggio per i viaggiatori): adesso a bordo puoi portare gratuitamente poco più dell’equivalente di una borsa da pc. Il prossimo passo sarà restringere le dimensioni a quelle di una pochette. Poi a quelle del fodero degli occhiali. Poi inizieranno coi nostri corpi: in un futuro in cui saremo iperconnessi, potremo scegliere se viaggiare con la nostra coscienza scaricata in un dispositivo portatile o portandoci dietro – pagando un supplemento – anche il nostro corpo fisico. Ci hanno tolto tutto.

Devo parcheggiare l’auto. Posso scegliere se donare soldi al Comune per l’utilizzo temporaneo delle strisce blu o donarli ai parcheggiatori abusivi. Zone libere da strisce colorate e/o parcheggiatori non ne esistono. Ci hanno tolto tutto.

Certo va detto che videogiochi, birra, viaggi e auto non sono cose necessarie. Ci hanno convinto fossero necessarie. Quindi ci hanno doppiamente tolto tutto.

Per lavoro mi trovo a parlare con la gente. Sempre così accade, io che sono misantropo mi ritrovo sempre a dover avere a che fare con gli altri. Non è vero, non sono proprio refrattario al contatto umano: mi piace parlare con gli estranei. Ebbene, l’altro giorno parlavo con un signore di mezza età e la questione è finita su tematiche generico-qualunquiste: E ci hanno rovinato e il mondo va male eccetera. E poi ha detto, grave e deciso La mia generazione ha rovinato tutto, adesso spetta a voi giovani cambiare le cose.

Quindi tu mi hai rovinato, io devo darmi da fare.

Gli avrei tolto un po’ di aplomb con qualche invocazione iconoclasta alle divinità. Che non è tutto, ma non è manco niente.

Quindi quella sera sono tornato a casa con l’idea di spegnere la testa sparando a caso a un po’ di gente – nel videogioco – e poi come raccontavo sopra ho capito non fosse così facile e alla fine mi son ritrovato a dare un obolo a un veterano della guerra di secessione americana senza un braccio che mi ha anche abbracciato (col braccio restante) per la generosità e poi ho spento console e tv e mi son letto un libro. Almeno questo non me l’han tolto anzi me l’han pure firmato così so che è davvero mio.

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Non è che tu possa giudicare un catalogo di lenzuola dalla copertina

I libri di Coelho sono citazionistici: se ne può espungere un pezzo a caso e si otterrà sempre un aforisma valido per ogni occasione. Del resto la tematica è più o meno sempre la stessa: l’impossibile è solo possibile con un altro nome, quando si chiude una porta si apre un portone, l’infelice è solo un felice che non sa come essere felice e via dicendo.

Un libro del summenzionato, dato in pasto a generazioni di giovani donne che vivono con un romanzo a lustro e che lo eleggono a Bibbia personale, è causa di tedio e ambascia per l’umanità un po’ come le citazioni a cazzo di Alda Merini.

Ma tutto ciò io un tempo lo ignoravo. Era molti anni fa, il poo popopo po poo era solo una canzone appena uscita dei White Stripes.

Conobbi una ragazza che mi intrigò. Saranno stati i suoi magnifici occhi marroni pensosi. O forse la sua terza piena. Di silicone.


Non è una illazione. A 18 anni le fu regalato un impianto mammellare nuovo.


Le piaceva Coelho. Io me ne interessai, perché mi piace sempre allargare i miei orizzonti prendendo in considerazione cose che non avevo considerato sino a quel momento.


Dimenticando che se non le considero di proposito forse è perché ce ne sarà un motivo.


E anche per avere un argomento di conversazione.
Le altre opzioni tra i suoi interessi erano la religione wicca e i videogiochi di ruolo online.

Ho sempre avuto un rapporto molto pragmatico con qualsiasi religione, insomma, ognuno crede di essere il migliore, ma cosa fate per essere i migliori?-mi domando. Almeno offritemi qualcosa per convincermi, se mi volete come cliente. Quindi evito sempre l’argomento.

Dei giochi di ruolo online invece mi annoia eliminare 100 volte lo stesso mostro imbecille che si fa uccidere 100 volte senza imparare, per aumentare di livello e…ottenere una beneamata ceppa.

Così mi buttai su Coelho. Una lettura prima di andare a letto bastò per un ebook de L’Alchimista e la sua scrittura elementare (di quinta, direi) era molto scorrevole.

Sfortunatamente, la ragazza non la rividi più.
Il Coelho poi mi fu però utile con un’altra ragazza che conobbi dopo, stesso genere maestri di vitacitazioni a cazzo.

Promisi comunque a me stesso che non mi sarei più interessato a letture che non mi interessavano.

Sfortunatamente (ancora), ci ricascai.
Questa volta toccò a un altro scrittore che o si ama o si odia. Che sa tanto di frase fatta, in realtà ci sono anche scrittori che tu li vedi e sei un po’ così così però alla fine va bene, come quando non c’è nulla di pronto e potendo scegliere tu ordineresti una pizza, ma ti fai andare bene le melenzane grigliate trovate in frigo.

Baricco io invece non riesco a sopportarlo. Non so se è perché trovo il suo modo di scrivere onanistico o perché in realtà non odio lui ma il suo pubblico, fatto dei programmi di Fabio Fazio, dei film di Sorrentino, magari anche un Ligabue e anzi alle volte sono comunista ma non mi sono sempre interessato (cit.).

In ogni caso lo lessi perché piaceva a una mia ex. E avrei dovuto capire che quella era la punta dell’iceberg, fatta di tutte le cose che ho testé citato.

Un paio di anni fa, invece, avvenne un episodio divertente.

Era il 24 dicembre e mi fiondai in libreria per un regalo last minute. Tra libri, dvd, cd, matite colorate di legno, legnetti colorati di matita e colori matitati legnosi, insomma tutte quelle cazzate rubasoldi che vendono nelle librerie, scelsi un libro di Baricco per andare sul sicuro (il solito discorso Leggo un libro all’anno e solo Baricco).

Incrociai un conoscente, trafelato, nervoso e bestemmiante perché stava mettendo insieme anche lui dei regali last minute.

– Regali, eh?
Dissi, sfoderando il mio Capitan Ovvio d’occasione.

Il conoscente rispose scuotendo la testa in segno di sconforto. E con una bestemmia.

– Io ho dovuto comprare un libro di Baricco.
Aggiunsi.

Lui allora mi fissò negli occhi, mi mise una mano sulla spalla e disse:
– Hai avuto un Natale peggiore del mio.

Il dizionario delle cose perdute – Il Postalmarket

La generazione di noi nati negli ’80 si sta ammalando della stessa malattia dei nostri genitori e dei genitori dei genitori a loro volta: il nostalgismo. Quello de “una volta c’era”, con un sottinteso giudizio di valore su quanto qualcosa fosse migliore in quell’epoca.

Seguendo la logica, suppongo che, andando a ritroso e accrescendo di volta in volta esponenzialmente il valore di ciò che si è perso, sia quindi esistita un’età aurea dell’umanità che più o meno potremmo far risalire all’epoca di Lucy.

Ma dici a me? Ma dici a me? Eh, con chi sta parlando? Ma dici a me?

Non è detto che qualche ominide precedente non fosse in disaccordo: Eh, quando una volta eravamo quadrumani, mentre ora i giovani tutti su due gambe perché lo dice la moda avrebbe detto l’australopiteco, se avesse saputo parlare.

Eppure, sulla scia del mio precedente post riguardo il perdere degli oggetti, anche io riflettevo su cose ormai perse.

Quindi vorrei creare, post per post – a periodicità casuale – una sorta di elenco personale di cose andate smarrite nel corso degli anni, sull’esempio di un libro di Francesco Guccini (che credo abbia avuto anche un seguito), che si intitola Dizionario delle cose perdute e che tanto tempo addietro ho sfogliato in libreria.

Il mio primo pensiero corre al catalogo del Postalmarket, che, tra l’altro, qualche mese fa è ufficialmente fallito (anche se aveva cessato le attività già da qualche anno) scatenando un’ondata di nostalgia nell’opinione pubblica.

È un segreto di Pulcinella il perché lo ricordino tutti, quantomeno il pubblico maschile.
Il motivo erano le pagine dell’intimo.

L’audacia di quei completi ricordava una commedia scollacciata all’italiana.
Pizzi e trasparenze esercitavano un’attrazione che non si poteva tenere a freno. Il non plus ultra della perversione era riuscire a intravedere della peluria in trasparenza, quando ancora le modelle non si strappavano via ogni singolo bulbo pilifero dal corpo facendolo scomparire come un hobbit che indossa l’Unico Anello: il famoso Bulbo Baggins.

Il fascino dello sfogliare quelle pagine risiedeva proprio in quell’atto immaginifico del poter scorgere. Come spiare dal buco di una serratura.

Oggigiorno grazie a internet è tutto più semplice. Esisterà ancora l’eccitazione connessa all’atto immaginifico? Io ne dubito. Perché un ragazzino dovrebbe “spiare da una serratura” quando può stare in prima fila a godersi un’esame ginecologico approfondito?

Il che credo crei quell’effetto da overdose informativa che affligge la società oggigiorno: avere accesso all’informazione e diventare allo stesso tempo più ignoranti.

Invece io difendo una insana educazione sessuale ottenuta in via graduale.

Non erano solo le modelle coi loro pizzi a farmi sbavare, va detto.
C’era anche la pagina dei giocattoli e quella delle modernità tecnologiche, perché ero nerd già all’epoca.

Il mio sogno proibito si chiamava Amstrad.
Oggi l’Amstrad è pressoché sparita dalla circolazione, ma un tempo era tra le marche di punta dell’elettronica.

Il mio primo televisore, mio nel senso che fosse collocato nella mia cameretta, fu proprio un Amstrad.

A inizio anni ’90 l’Amstrad produceva anche home computer e io ne volevo uno anche se non sapevo bene cosa avrei potuto farci. A parte utilizzarlo per i videogiochi, ovviamente.

Credo che il prezzo, convertendolo in scala ai giorni nostri, fosse pari a quello di un’automobile.

La cosa buffa è che strappavo le pagine contenenti giochi o tecnologia per tenermele da parte. Non potevo farlo con quelle dell’intimo perché si sarebbero accorti che le avevo strappate per ragioni diciamo anatomiche, quindi sostituivo i miei desideri sconci con quelli consumistici.

Il capitalismo ruba l’immaginazione.

L’antenato cartaceo dell’e-commerce odierno era già entrato in crisi quando io avevo cominciato a sfogliarlo. Dopo essere stato rilevato da un gruppo tedesco nel ’93 e aver attraversato una fase di ridimensionamento, negli anni 2000 viene rilevato da un imprenditore italiano che non riesce però a riportarlo ai fasti di un tempo.

Ed è entrato così a far parte delle cose perdute.

Cindy Crawford fiera di contribuire al buco dell’ozono con la propria lacca

Eva Herzigova fiera invece della propria mascella ipertrofica

Non è che se hai difficoltà ad andare in rete tu non possa fare il calciatore

È veramente triste a volte rendersi conto di quanto siamo diventati dipendenti da internet.

L’ho realizzato ieri sera, dopo una giornata trascorsa in giro.

Ho varcato il Danubio per andare a Buda e visitare la città alta. Volevo godere del panorama, ma ieri l’unica cosa di cui si poteva godere era nebbia. Tanta lattiginosa nebbia. Molto suggestiva, debbo dire la verità. Era nebbia di una certa qualità. Ma pur sempre nebbia, insomma, vista una nebbia le hai viste tutte, direi.

La cittadella era deserta. Un paese abbandonato. Sarà stata l’ora molto mattutina: mi piace alzarmi presto quando voglio fare il turista ed evitare la ressa di viaggiatori occasionali.

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Spero che guardando queste scale umide percepiate la stessa paura di percorrerle che ho avuto io

Purtroppo, quando pensi di essere solo, sul più brutto arrivano loro: i pullman. Enormi mostri preistorici che avanzano lenti e inesorabili e che si fermano solo per vomitare sul primo spiazzale libero i turisti che, come tante formiche che hanno annusato lo zucchero, cominciano a spargersi tutto intorno.

È arrivato anche un torpedone di italiani.
Mi sono reso conto che all’estero divento italianofobo. Quando odo la voce di qualche italiano mi giro per identificarne la posizione e poi allontanarmi. Ho il terrore che gli italiani possano fare all’improvviso qualcosa di imbarazzante e/o fuori luogo e che io finisca per essere loro accostato.

Il pomeriggio, invece, mi sono fermato ai mercatini di Natale a Pest, dove ho sorseggiato vino caldo all’arancia. È un ottimo rimedio contro il freddo.

E poi c’è cibo. Tanto cibo tutto a base di maiale. Anche i dolcetti secondo me contengono maiale, un po’ come in Olanda dove, almeno per quel poco che ho avuto modo di annusare, tutto sa di cipolla.

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La sera quindi ero abbastanza stanco e preferivo restare a casa.

Dopo le necessarie abluzioni e la cena, non sapevo cosa fare. La CC per fare due chiacchiere non c’era. Sono due giorni che non la incontro. Arriva quando non ci sono, posa qualcosa di suo e poi sparisce.

Niente libri: il Simenon che avevo dietro l’ho finito dopo due giorni che ero qui e per viaggiare leggero non ho portato altro. Forse dovrei passare agli ebook. Sul portatile non avevo niente. Niente film scaricati, niente videogiochi, niente di niente.

L’unica cosa che avevo da leggere era l’etichetta in magiaro del detersivo.

Gli smarpthone senza connessione sono inutili pezzi di plastica. Le uniche cose che potevo fare col mio era scorrere il calendario per programmare eventi privi di senso o testare la scrittura a dito libero.


Lo so che esistono anche tante app di intrattenimento offline, ma tendo a limitarmi nel download di applicazioni che consumano soltanto spazio e so già che non userò, complice il fatto che la batteria cala di qualche punto percentuale anche per aver solo pensato di guardare l’ora, figuriamoci quindi nell’utilizzare il telefono per scopi ricreativi.


La rubrica del telefono all’estero anche è inutile a meno di non voler spendere un patrimonio, senza Skype.

Poi ho rammentato l’esistenza di un televisore in camera mia: un Samsung a tubo catodico che forse ricorda la Cortina di Ferro. L’ho collegato all’antenna, l’ho acceso e, incredibilmente, ha cominciato la ricerca dei canali.

Non che ci tenessi particolarmente a guardare la tv ungherese. Soprattutto non comprendendone nulla.

Ci sono però due cose che, in qualsiasi parte del mondo ci si trovi, sono godibili pur non conoscendo una lingua: partite di calcio e porno.

Purtroppo in tv non c’era né l’una né l’altra cosa.

Sconsolato, mi sono cotto un pugnetto di riso da utilizzare nel pranzo del giorno successivo al lavoro e sono andato a letto alle 22:30.
Svegliandomi alle 3 pensando che fossero le 8.

Non è che in viaggio puoi fare i conti senza l’hostess

Delle volte, in stazione, mi soffermo ad ascoltare la voce sintetica che annuncia le partenze. Ricorda che esiste altro oltre un mondo fatto di alte velocità e grandi ritardi, di località note e gettonate.

Mi affascinano i luoghi più disparati dislocati lungo lo stivale. Il treno IC proveniente da Nduja Calabra e diretto a Vergate sul Membro è in partenza dal binario 14. Ferma a Sdraio a Mare, Santa Maria di Buonadonna, Città di Bordello, Reggipetto sul Reno.

Mi piacerebbe viaggiare  più spesso lungo lo Stivale, seguire il paesaggio che scorre lungo il treno – perché è il mondo intorno che scorre, il mezzo è fermo, non so se ve l’hanno detto – esplorando la realtà di posti a me ancora sconosciuti.

Poi ricordo lo stress psico-fisico che comporta un viaggio in IC o Regionale e la voglia tende a scemare. Negli IC quando sali a bordo spesso trovi gente che dorme e considera lo scompartimento come composto da due letti, non da 6 posti a sedere. Oppure c’è una famiglia con un numero imprecisato di bambini che si comportano come delle scimmie evase da uno zoo, col beneplacito dei genitori che già sono costretti a subirli a casa e non si prendono quindi la briga di seguirli nel treno.

Non è sempre tutto negativo, però. A volte si fanno conversazioni interessanti con gli altri passeggeri.

Come quando m’imbattei in una coppia di anziani che da Modena scendevano ad Aversa dai parenti. La signora partì dall’Emilia parlando col tipico accento di quelle zone ma man mano che il treno scendeva giù incominciava a cambiare intonazione e parole. Arrivò ad Aversa che parlava come Nino d’Angelo.

Una volta invece mi stavo lamentando con un mio amico seduto di fianco, che mi aveva svegliato mentre mi ero assopito, facendogli presente che mi ero alzato alle 6 e che avevo sonno. La signora seduta di fronte mi fa: Poverino! Si è svegliato alle 6!…Sai a che ora mi sveglio? Alle 3, per prendere l’IC ed arrivare a Pomezia ed essere a scuola a insegnare alle 8:30.

Al che ho imparato una cosa: bisogna stare attenti a ciò che si dice in treno perché ci sarà sempre qualcuno intorno a te che avrà un interesse specifico nell’argomento e/o qualcosa da ribattere. Come quella volta che stavo spiegando a un amico che sul CV quando ci si candida a offerte di lavoro è utile espungere le esperienze non attinenti o poco rilevanti: se ti stai candidando per una banca, non scrivere che in passato hai fatto il bagnino, ad esempio.


DIDASCALIA LAVORATIVA
In teoria, uno dovrebbe preparare un cv fatto ad hoc per la posizione cui si sta candidando.

In pratica, per come la vedo io, nel mondo odierno questa minchiata non funziona più. Se non vuoi stare a casa a videogiocare tutto il giorno a retrogames sugli emulatori online, devi prepararti a fare tutto. Dal cameriere, al postino, al cassiere, all’arzigogolatore, in attesa poi del posto che ti permetta di fare ciò che volevi e/o per cui avevi studiato. Devo togliere quelle esperienze dal curriculum perché non attinenti? Perfetto. Salvo poi venire escluso a priori perché risulterà che dal 2011 al 2015 non ho fatto nulla, così il selezionatore dirà “Ah! Questo di sicuro passa le giornate sugli emulatori di retrogames e non ha mai lavorato!”.


DIDASCALIA SUL RETROGAMING
A proposito di videogiochi: ecco cosa mi sta rovinando la vita in questi ultimi giorni (sono tutti gli originali, non sono meri rifacimenti):
http://www.ssega.com
http://www.snesfun.com
http://www.8bbit.com

per non parlare di archive.org che ha caricato online un catalogo di giochi DOS.

Io vi avverto. Questo l’OMS non lo dice: questa roba fa male più della carne rossa e dà dipendenza più del formaggio che dicono sia come una droga (infatti al contadino non devi far sapere quanto è buono il formaggio nelle pere).


In quel momento intervenne un tipo vicino a noi, dicendo: Scusa perché hai parlato di bagnini?…Sai io sono bagnino, che poi in realtà si chiama addetto alla sorveglianza balneare, ho anche il diploma…
E io gli rispiegai la cosa del CV. E lui di nuovo insistette sul fatto che per fare il bagnino aveva fatto un corso ed era stato certificato.

Insomma, meno male che era arrivato il momento di scendere perché non ho capito cosa si aspettasse da noi, un riconoscimento ufficiale? Un posto di lavoro? Mah.

Un capitolo a parte meritano gli amori da treno. A volte innescati da qualche scambio di parole. Altre volte invece fatti di platonicismo puro, come il Sommo Poeta ci ha insegnato. Basta un dettaglio, il libro che legge, il tipo di abbigliamento, la musica che dalle cuffiette prorompe all’esterno, per farmi capire che può essere la donna della mia vita.


Insomma, una che ad esempio ha una borsa con dei gatti disegnati sopra può essere una cattiva persona? Può essere una ragazza non interessante? Io non credo.

Può essere una malata di mente? Questo è probabile.*


* Io credo che le donne che amano i gatti non stiano a posto con la testa. E lo dico da gatto, amante dei gatti, amante delle donne che sono amanti dei gatti e amato da donne che erano amanti dei gatti.


Almeno fino a che non è il momento di scendere dal treno.

I viaggi lunghi e con soste frequenti hanno quindi un loro perché: purtroppo noto in me un imborghesimento che mi porta a scegliere le alte velocità. E, a tal proposito: perché gli steward/le hostess a bordo di Trenitalia sono sempre scazzati mentre quelli di Italo sono giovani, splendenti e sorridenti come un spot Mentadent?

Non mi sono fermato alla terza media e quindi mi è venuta la nausea

Il sistema scolastico italiano è fondato sull’inganno.

Ricordo quando in 5a elementare ci portarono a fare un tour di orientamento tra le principali scuole medie della città. Io ne avevo già scelta una per motivi logistici (era 20 metri più in là della scuola elementare e a 500 metri da casa), ma qualcosa secondo me avrebbe dovuto indurmi a un ripensamento.

Durante il tour ci venne mostrata “la sala computer”: la studentessa scelta per l’ingrato compito di mistificazione della realtà ce la presentò come aula dove “poter studiare, imparare l’informatica e, perché no, anche giocare un po’ (sottolineò queste ultime parole mimando con le dita il gesto di battere sulla tastiera)“.

In questa fantomatica aula computer erano poggiate, per ogni banco, perfettamente allineate le une con le altre in orizzontale e in verticale,  delle calcolatrici a energia solare come questa (ovviamente dal design meno moderno):

Il prestigioso Atari 2600 (l’originale)

Siamo d’accordo, era il 1995 e noi bambini degli anni ’80 non eravamo avvezzi alla tecnologia come i marmocchi di oggi: tanto per dire, a casa potevo vantare una modernissima copia cinese di un Atari 2600 (già di suo costruito in Cina o da quelle parti) dove i videogiochi di calcio avevano un numero di calciatori variabile da 2 a 7, il campo aveva un colore variabile dal nero al verde evidenziatore (ma ricordo una versione col campo blu) e il pallone era quadrato. E facile giocare a PES con Cristiano Ronaldo sulla PlayStation 4: ma per calciare un pallone quadrato ci vogliono le palle…quadrate!

Nonostante, comunque, il nostro analfabetismo digitale, presentarci un’aula calcolatrici come sala computer fu un inganno e un insulto all’intelligenza.


Tra l’altro nel corso dei tre anni di scuola non ho mai visto neanche una calcolatrice e in caso di bisogno durante un compito in classe se avevi dimenticato la tua, beh, erano calcoli amari.
L’inganno era sovrapposto a un altro inganno: una truffa quadratica.


Le cose non andarono meglio per la scelta delle scuole superiori. Questa volta, chissà perché, non ci fu nessun tour. Gli open day non erano ancora di moda e anche se qualcuno ce l’avesse proposto non avremmo capito cosa fossero; alcuni di noi però furono coinvolti in un progetto presso un centro no profit che aveva organizzato degli incontri con gli insegnanti delle scuole superiori.

Inutile dire che feci parte della delegazione, come “volontario”: ho sempre avuto una vocazione speciale per attirare seccature.

I professori ci presentarono le materie che insegnavano al liceo e poi illustrarono per linee generali cosa offrivano le scuole da cui provenivano.

Mi fu detto che il liceo che poi scelsi aveva due palestre. Il che era vero, però non fu specificato che una delle due aveva le pareti completamente ammuffite e fare attività fisica lì dentro per 5 anni per due ore la settimana non so quanto bene abbia fatto ai polmoni. In compenso però devo aver inalato così tanta penicillina che negli anni successivi al liceo non ho avuto febbri.
La seconda era invece grande quanto un garage e aveva il pavimento composto da orribili mattonelle rosse a L che andavano di moda negli anni ’80 (purtroppo non si esce vivi dagli anni ’80, come cantavano gli Afterhours) per rivestire i balconi dei condomini.


Ah, ho dimenticato di dirlo: il liceo era ricavato infatti da un ex condominio. C’erano classi con un pilastro in mezzo all’aula (che ho sempre invidiato per mettere in pratica la tattica di occultamento ninja nota come “appiattirsi dietro un pilastro”) e classi come la mia del ginnasio che aveva ancora dei tubi sporgenti dalle pareti in memoria dei servizi igienici che erano stati rimossi, unico ricordo di quando in quelle aule una volta qualcuno espletava i propri bisogni fisiologici e si faceva (mi auguro) il bidet.


La cosa positiva è che c’era realmente una sala computer. Difatti io mi iscrissi a una sezione che prevedeva un corso sperimentale contenente un modulo di informatica, del quale non erano ben specificati i contenuti e a cui aderii perché ancora memore della delusione durante le scuole medie avevo voglia di maneggiare computer sul serio.

Per 5 anni non abbiamo fatto altro che – per un’ora ogni due mesi, sotto la supervisione della professoressa di matematica che gestiva il modulo – risolvere equazioni, disequazioni e poi funzioni. Non era informatica, era informartica, perché rimasi di ghiaccio quando scoprii di cosa si trattava.

Gli esercizi potevano essere anche utili, peccato che per 3 anni non abbiamo fatto altro che scrivere equazioni sul Turbo Pascal.


Il Turbo Pascal è un compilatore per sistemi DOS. In pratica, dal 1998 al 2001, in piena era Windows, noi scrivevamo su DOS (avete presente, schermo nero e caratteri bianchi o a fosfori verdi?) con un programma che credo fosse stato abbandonato nel 1994 o giù di lì.


La scuola è in debito con me di sana attività sportiva e di informatica. Altro che riscatto della laurea: è la scuola dell’obbligo che deve riscattarsi!

Insalata mista di nulla

Oggi è stata una giornata in cui non mi è successo nulla di particolare ma in cui ho raccolto tante piccole cose che messe insieme possono costituire il tipico miscuglio che realizzi quando non hai l’occorrente per un vero pasto e allora sbatti un uovo e ci butti dentro degli avanzi vegetali o animali per una frittata, oppure hai mezza salsiccia nel congelatore e mezza cipolla sul tavolo e le metti insieme coi borlotti per un leggero e fresco piatto estivo.

Gli ingredienti di oggi sono:

  • L’autobus in cui sono tornato puzzava di alito a fine giornata. Avrete presente l’alito da fine giornata di lavoro, ebbene, l’autobus aveva quell’afrore lì. Ed era vuoto. Il che, considerando che era fine giornata, potrebbe significare che anche gli autobus sviluppino l’alito da fine giornata. Oppure che in precedenza un gruppo di persone con l’alito da fine giornata era salito respirando a bocca aperta.

  • Il karma può colpire non solo vendicandosi ma anche facendoti venire i sensi di colpa. Al supermercato mentre ero in coda alla cassa ho finto di ignorare una signora, con in mano soltanto una bottiglia di latte, posizionata quasi di fianco a me, come a farsi vedere sperando di passare avanti. Dato che in precedenza ero stato vittima di un torto (una signora mi aveva spinto senza manco chiedere scusa) volevo vendicarmi dell’universo non usando cortesia. Se non che nel posare il carrellino vicino la cassa stavo per far cadere gli altri carrellini perché non riuscivo a incastrare il mio e la signora che non avevo fatto passare avanti mi ha aiutato. E mi sono sentito in colpa.
  • Ho visto una ragazza con in mano una rosa che aveva strappato da un’aiuola e ho provato disprezzo per lei.
  • Ho visto una signora vestita stile loli.

    DIDASCALIA D’ABBIGLIAMENTO
    Lo stile lolita è una moda nata in Giappone e che trae spunto dall’abbigliamento vittoriano: gonne ampie e lunghe, calze, sottovesti, corsetti, cappellini. Nel tempo poi sono nati vari stili e quindi dal lolita classico si possono trovare poi varie interpretazioni. La signora che ho visto non so a che corrente appartenesse, dalle scarpe al cappellino era tutta in bianco quindi forse sarà stata – invento – una white loli.


  • Non riesco più a seguire W. e il suo inglese. Ho il terrore di trovarmi da solo con lui perché attacca a parlare col suo americano Yo man ‘cuz I don’t give a fuck of this shit it was totally crazy e io vado in difficoltà perché invece comprendo uno se mi parla come il Doctor Who o come Ian McKellen o come la Regina Elisabetta (in ordine di importanza). Sono vittima di un equivoco che io stesso ho contribuito a creare perché in 4 mesi ho sempre dato l’impressione di capirlo perfettamente, del resto mi basta afferrare una parola e io mi attacco a quella per dare una risposta pertinente col discorso in una percentuale tra il 50 e il 75% (perché piuttosto che scendere sotto il 50% di pertinenza preferisco tacere).
  • Guardando su fb delle immagini riguardanti l’ennesima fiera del fumetto in corso in non so che posto d’Italia ho riflettuto sul fatto che le fiere del fumetto negli ultimi due anni mi stanno venendo molto a noia. Ma non per il fumetto in sé né per l’animazione, anzi lunga vita, ma per tutto il carrozzone che di solito le accompagna. A cominciare dai videogiochi, che poco c’entrano col fumetto anche se possiamo dire che ci sono videogiochi tratti da fumetti: devono però spiegarmi perché poi al Comicon trovo uno stand su FIFA o su PES che attira uno stuolo di tamarri vogliosi di farsi una partita gratis? Ma posso anche comprendere che rientri tutto nell’insieme del nerdismo, quindi lunga vita anche ai videogiochi. Sono quelli che fanno i video su youtube e che la gente chiama youtuber che mi stanno proprio sui coglioni e che non ne posso più di sentire nominare, figuriamoci di vederli a una fiera del fumetto.