Non è che siccome suonano uguale “addetto vendita” e “ha detto vendita” siano la stessa cosa

Cerco di avere sempre la massima solidarietà verso chi lavora, soprattutto per coloro i quali non percepiscono stipendi eccezionali, magari anche sottopagati, faticosi e al contatto con il pubblico che, si sa, non è sempre la cosa più piacevole del mondo.

Ciò nonostante, le mia capacità di resistenza e di empatia a volte sono messe a dura prova dagli addetti vendita che hanno il costume di prendere d’assalto il cliente.

Sono conscio che certi atteggiamenti siano frutto di logiche e pressioni aziendali, che spingono per il vendere! fatturare! a ogni costo e che magari il povero dipendente ne farebbe volentieri a meno.

Però per tal motivo ci sono punti vendita in cui non entro mai e quella volta che ci entro mi ricordo perché non voglio mai entrarci. Su alcuni ho la croce nera da anni, ad esempio quello dove gli addetti vendita sono vestiti da arbitri.

L’altro giorno invece sono entrato, ed era più di un anno che non ci andavo (e poi ho ricordato il motivo), in un negozio di una nota catena di vendita console&videogiochi. Ero entrato per una console. Alla fine ne sono scappato e l’ho comprata nel negozio di elettrodomestici di fianco.

Sono stato preso d’assalto dalle due addette, che non mi hanno mai lasciato in pace proponendomi qualunque cosa. Sconti, offerte, tessere, promozioni. Quando ho preso il cellulare dalla tasca mi sono anche sentito proporre una custodia trasparente per sostituire quella che ho a libretto. “Così puoi goderti l’aspetto del tuo smartphone”, mi ha detto.

I famosi telefoni da contemplazione, immagino. Quante serate davanti al telefonetto mentre fuori piove e fa freddo!


È chiaro che si fa di tutto per vendere. Quando ho svolto volontariato per una onlus sui banchetti di fiori e uova le provavo tutte per avvicinare le persone. A un certo punto ho anche gridato, come slogan, rivolto a una coppia: Cioccolato? Migliora l’umore, fa bene all’amore!, facendo pubblicità ingannevole sulle presunte caratteristiche antidepressive e afrodisiache del cacao.

Per la cronaca: non si fermarono a comprare. Però hanno riso di gusto.


 

Non è che per forza sei in un magazzino se stai in mezzo alle scatole

Questa che racconto è la parabola del farsi i fatti propri. Detta anche del creare tempeste in bicchieri d’acqua.

Poniamo, per semplificare, che per il mio lavoro mi abbiano dato in gestione una scatola. Questa scatola è stata confezionata da una persona, addetta all’ufficio confezionamento scatole. Il mio compito è sorvegliare e gestire la scatola, che materialmente serve per lavorare a una persona, che chiameremo, per comodità, Piercarolamba.

Il problema è che Piercarolamba al momento non potrebbe utilizzare Scatola, perché ne ha già una che la impegna sino all’anno prossimo. E Piercarolamba può giocare solo con una scatola per volta: sono le regole.


Ci sarebbero in verità altre sottoregole, che prevedono di poter frazionare il proprio tempo e avere più scatole con cui giocare. Però Piercarolamba non ha sbloccato questo privilegio e quindi deve tenersi una scatola per volta.


Eh però intanto Scatola è stata confezionata, ormai. Sta qua.

Il problema, comunque, non mi riguarda. Ripeto, il mio compito è buttare un occhio a Scatola ogni tanto e verificare che non la rompano o che non ci mettano dentro cose che non vanno e che i soldini di cioccolato che stanno dentro Scatola vengano spesi in modo accorto e pertinente.


Sì, le scatole sono piene di soldini di cioccolato ma solo per chi è stato bravo.


Parlando l’altro giorno con la mia Responsabile, che chiameremo per finalità narrative Apprensina, mi sono lasciato sfuggire questa cosa. In realtà è stata una rivelazione molto estemporanea, sulla quale stavo sorvolando, roba del tipo «E poi abbiamo la nuova Scatola di Piercarolamba che al momento sta giocando già con una scatola, però va be’, ti ho già parlato delle mie vacanze?».

Apprensina è andata in apprensione. E come si fa, e come non si fa, questo non è irregolare però non è moralmente accettabile, adesso dobbiamo capire come si può agire, se qualcuno viene a chiedere, provo a informarmi, eccetera.

Io, sempre perché non mi faccio i fatti miei, provo allora a chiedere all’addetta del confezionamento (da qui in poi: Scatolicchia) se, all’epoca della fabbricazione di Scatola, si fossero posti il problema di una sovrapposizione di scatole.

«Sì sì ricordo fosse emerso il problema…ne parlai anche a Esausta, però non mi ricordo cosa mi disse». Non mi è stata molto utile, diciamocelo.

Allora, essendo io sempre uno che non si fa i fatti propri, provo anche a sentire Esausta (che, per capirci, è la responsabile dei responsabili come Apprensina).

Esausta non ricorda per niente cosa si sono dette lei e Scatolicchia.

A quel punto torno da Apprensina e le dico che nessuno sa niente di niente e che ormai il fatto è questo. Lei allora dice che prova a capire, a studiare, a informarsi, eccetera.

Oggi torna da me dicendo «Va be’, ormai il fatto è questo (ma va?), teniamocelo così e facciamo spallucce».

Fine della parabola.

Questa storia ci insegna che la verità è una gran bella cosa – e io su questo ho un senso di giustizia molto elevato, per me anche una sciocchezza taciuta equivale a esser dei bugiardi – ma certe volte è meglio chiudere tutti e due gli occhi e dire che non c’eri e se c’eri dormivi.

Sono stato a quadri prima di te, però ora diamoci un taglio

Salve, sono il Gintoki di Carnevale, difatti in questi giorni sono vestito da gatto con gli stivali. Forse vi ricorderete di me per post come Nel martedì grasso per me solo magre figure.

In quell’articolo, rievocando alcuni miei travestimenti passati, ne ho citato uno: quello da cowboy. Pur ricordandolo come uno dei meglio riusciti, ero stato abbastanza severo nel giudicarlo. Quale è stata la mia sorpresa, facendo ordine nella libreria, nel ritrovare la foto riferita proprio a quel costume. Le foto degli altri Carnevale non so dove siano e non mi interessa, penso che se mai le ritrovassi le distruggerei per non lasciare in giro materiale che mi renda ricattabile.

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Se escludiamo il jeans a vita altissima ascellare (anche i cowboy avranno avuto i loro anni ’80) era in effetti proprio un bel travestimento.

Più che altro mi interrogo sul perché mai io avessi un taglio di capelli come il bambino di Simpatiche canaglie

Il cancello rosso a casa non c’è più, sostituito perché stava cadendo. E non a pezzi, stava proprio rischiando di cadere, si reggeva col fil di ferro.

Non c’è più neanche la siepe di abeti che si intravede nel giardino del vicino. Per anni, ogni dicembre, mio padre la sera ne tagliuzzava qualche rametto che sarebbe finito nel presepe a fare da alberello.

Sto comunque divagando: il dato sul quale si è focalizzata la mia attenzione è la camicia a quadri (tra l’altro palesemente troppo grande per la mia misura, ma come si dice in questi casi il cowboy deve crescerci dentro): questo prova in maniera indiscutibile che io indossavo quadri prima che poi divenisse appannaggio odierno di tizi con barbe e baffi a fantasia: eh sì, all’epoca invece eravamo in era grunge, ma essendo io a quel tempo troppo piccolo non mi si può tacciar di esser modaiuolo!

Quale è oggi la mia frustrazione sfoggiando barba e quadri, e in questo mi sento di convididere lo stato d’animo del poliedrico ysingrinus, nell’esser accostato a giovani dal dubbio senso estetico.

Giusto ieri, a proposito, ho ricevuto apprezzamenti per la cura della mia barba da parte di una commessa di uno stand a una festa del cioccolato. Forse tentava solo di agganciarmi con qualche blandizia per indurmi a comprare qualcosa. La sua collega, non cogliendo forse la sottile mossa di marketing, ha invece sentenziato che gli uomini stian male con la barba. La collega ha replicato dicendo che gli uomini senza barba si chiaman donne.

Io ho seguito la scena senza proferir verbo, aspettando che mi offrissero qualcosa da assaggiare, così come infatti è stato.

Cioccolata e complimenti fan sempre piacere ed era ora che qualcuno notasse la cura da me profusa verso il pelo: per una barba lunga occorrono pettine e shampoo se non si vuol ricrear l’effetto vello di capra rupestre che ahimé vedo spesso in giro.

Comunque senza falsa modestia vorrei dire che ero proprio un bel bambino (fatta eccezione per il taglio di capelli), il che mi induce a pensare che la natura conceda un unico periodo nella vita dedicato a un gradevole aspetto esteriore: col risultato che in giro poi si vedono begli adulti che da bambini invece eran brutti, bei bambini che da adulti sì insomma diciamo un tipo ma anche no.

Quantomeno credo oggi di avere un taglio di capelli migliore, il che mi dà spunto per pensare a un altro problema tipico dell’infanzia, dopo i costumi di Carnevale imposti: i tagli di capelli imposti dai genitori o, ancor peggio, tagli di capelli improvvisati in casa con risultati catastrofici.