Non è che per forza sei in un magazzino se stai in mezzo alle scatole

Questa che racconto è la parabola del farsi i fatti propri. Detta anche del creare tempeste in bicchieri d’acqua.

Poniamo, per semplificare, che per il mio lavoro mi abbiano dato in gestione una scatola. Questa scatola è stata confezionata da una persona, addetta all’ufficio confezionamento scatole. Il mio compito è sorvegliare e gestire la scatola, che materialmente serve per lavorare a una persona, che chiameremo, per comodità, Piercarolamba.

Il problema è che Piercarolamba al momento non potrebbe utilizzare Scatola, perché ne ha già una che la impegna sino all’anno prossimo. E Piercarolamba può giocare solo con una scatola per volta: sono le regole.


Ci sarebbero in verità altre sottoregole, che prevedono di poter frazionare il proprio tempo e avere più scatole con cui giocare. Però Piercarolamba non ha sbloccato questo privilegio e quindi deve tenersi una scatola per volta.


Eh però intanto Scatola è stata confezionata, ormai. Sta qua.

Il problema, comunque, non mi riguarda. Ripeto, il mio compito è buttare un occhio a Scatola ogni tanto e verificare che non la rompano o che non ci mettano dentro cose che non vanno e che i soldini di cioccolato che stanno dentro Scatola vengano spesi in modo accorto e pertinente.


Sì, le scatole sono piene di soldini di cioccolato ma solo per chi è stato bravo.


Parlando l’altro giorno con la mia Responsabile, che chiameremo per finalità narrative Apprensina, mi sono lasciato sfuggire questa cosa. In realtà è stata una rivelazione molto estemporanea, sulla quale stavo sorvolando, roba del tipo «E poi abbiamo la nuova Scatola di Piercarolamba che al momento sta giocando già con una scatola, però va be’, ti ho già parlato delle mie vacanze?».

Apprensina è andata in apprensione. E come si fa, e come non si fa, questo non è irregolare però non è moralmente accettabile, adesso dobbiamo capire come si può agire, se qualcuno viene a chiedere, provo a informarmi, eccetera.

Io, sempre perché non mi faccio i fatti miei, provo allora a chiedere all’addetta del confezionamento (da qui in poi: Scatolicchia) se, all’epoca della fabbricazione di Scatola, si fossero posti il problema di una sovrapposizione di scatole.

«Sì sì ricordo fosse emerso il problema…ne parlai anche a Esausta, però non mi ricordo cosa mi disse». Non mi è stata molto utile, diciamocelo.

Allora, essendo io sempre uno che non si fa i fatti propri, provo anche a sentire Esausta (che, per capirci, è la responsabile dei responsabili come Apprensina).

Esausta non ricorda per niente cosa si sono dette lei e Scatolicchia.

A quel punto torno da Apprensina e le dico che nessuno sa niente di niente e che ormai il fatto è questo. Lei allora dice che prova a capire, a studiare, a informarsi, eccetera.

Oggi torna da me dicendo «Va be’, ormai il fatto è questo (ma va?), teniamocelo così e facciamo spallucce».

Fine della parabola.

Questa storia ci insegna che la verità è una gran bella cosa – e io su questo ho un senso di giustizia molto elevato, per me anche una sciocchezza taciuta equivale a esser dei bugiardi – ma certe volte è meglio chiudere tutti e due gli occhi e dire che non c’eri e se c’eri dormivi.

Non è che se conduci le pecore in modo polemico sei un pastore protestante

Per la serie Una cosa non divertente che spero di non fare mai più, per lavoro ho avuto un colloquio con un prete.

Mi sono recato sul luogo dove esercita, la chiesa del “Buon Pastore”. Un nome che richiama umiltà.

La chiesa è di recente costruzione, delle umili dimensioni di una cattedrale. Il sagrato si estende quanto tre campi da pallacanestro affiancati in modo umile. Ulivi secolari piantati lì dopo l’inaugurazione fanno placida mostra della loro umiltà.

A corredo, ai lati della struttura si ergono due umili statue di bronzo 1:1 che raffigurano Kareem Abdul-Jabbar e Sandra Bullock. Quando mi sono avvicinato ho visto poi che erano Padre Pio e Madre Teresa.

Su un muro perimetrale ci sono cartelli che invitano a scegliere la vita e la famiglia. E forse anche un maxitelevisore del cazzo (cit.).

Un altro cartello invece ricorda che “Il consumismo ti consuma”. Santa Bullock annuiva compiaciuta.

La collaboratrice che era con me, del posto, mi ha raccontato che tale umile prete è una celebrità: lo invitano in giro perché dove va lui si crea pubblico e quindi lui funge da richiamo come guest star per manifestazioni politiche, sociali, religiose.

Per parlare con lui c’era una lunga fila. Quando finalmente stava per arrivare il nostro turno, due donne che eran dietro di noi hanno chiesto di passare avanti. Ho spiegato che la mia fosse una missione – non per conto di dio – di tre minuti cronometrabili, davvero.

Non sembravano convinte.

Una delle due ha poi chiesto, rivolta a entrambi:

– Ma voi siete madre e figlio?
– No…anche se potrebbe essere, lui – indicando me – ha l’età di mio figlio
– Ma siete comunque parenti?

Ero tentato, purtroppo non ero così in confidenza con la persona che era con me da farla prestare al mio gioco, di replicare con umiltà

– No, io sono il suo toy boy e ora vogliamo la benedizione per la nostra unione prima di scappare insieme a Santo Domingo.

Il prete ci ha accolti nel suo ufficio, umile quanto lo Studio Ovale della Casa Bianca.

Il nostro colloquio è durato realmente tre minuti – mantengo le mie promesse -, nei quali ho dovuto vincere la sua resistenza iniziale in quanto, a detta sua, “Non abbiamo mai ricevuto un supporto da voi”. Ci è voluta tutta la mia umiltà per convincerlo a darmi ascolto e portare a casa il risultato che mi ero posto.

Spero questa breve parabola possa illuminare la via per l’umiltà a quanti mi leggono.