Non è che serva un divano per fare salotto

Anche in Magiaria è arrivata la primavera.
Improvvida per gli armadi e imbarazzante per le ascelle, inaugura la stagione dell’incertezza del vestiario. Il periodo della giacca da mezz’ora.


Si tratta infatti di quel capo utile da un quarto d’ora prima che il sole tramonti a un quarto d’ora dopo. Prima, porterà troppo caldo, dopo, sarà troppo leggero.


Con il caldo si sono svegliate le formiche. Ne ho trovate alcune nella stanza, l’altro ieri.

L’unico cibo che introduco nella mia zona notte è quello presente nel mio stomaco.
L’ambiente è pulito e tenuto in ordine con regolarità.

La mia coinquilina invece fa colazione, pranzo, merenda e cena nella sua stanza. Ha un cestino dei rifiuti personale. Per terra sparge qualsiasi cosa, insieme ai vestiti avvinghiati in un cumulo orgiastico. Credo che qualche maglione abbia figliato dei calzini.

Quando le ho chiesto se avesse formiche in camera, ha detto di no.

Capisco. Forse la sua stanza è troppo ostile, mentre con il mio ordine ho creato un ambiente confortevole.


La mia ironia è comunque fallace: la formica domestica può avere il nido da una parte ma approvvigionarsi molto lontano da esso. Come un meridionale fuori sede con i suoi pacchi di cibo spediti da giù.


Ovviamente ho subito pensando di sbarazzarmi del problema¹ con dell’esca avvelenata sull’ingresso del balcone, dopo aver constatato che rimedi naturali quali pepe, sale, limone, le rendevano adatte a un’insalatina ma non le inducevano ad allontanarsi². Ho dovuto agire prima che Salveeny venisse a scattarsi delle foto in casa mia al grido di “Fermiamo l’invasione”.


¹ Le formiche, intendo, non la coinquilina.


² Di sicuro ci sono altri rimedi naturali adatti che non ho utilizzato (come l’aceto, il cui odore mi dà fastidio), ma a me, da giacobino, interessa arrivare a far fuori la monarca.


Ammiro e invidio chi riesce a crearsi zone comfort molto estese in ambienti estranei, nuovi, con altre persone.

Non è necessario esser un gran conversatore e intrattenitore. Basta trovarsi a proprio agio nella propria pelle quando si è con gli altri e non subire il costo psicologico della relazione sociale.

Ci ripenso mentre mi trovo qui,


Non qui mentre scrivo, ma un qui di un flashback mentale.


in mezzo a delle persone sconosciute o semi-conosciute.

La mia zona comfort arriva sino alla punta del Toscanello che ho nella mano sinistra (ahimè ogni tiro manda in fumo tale area) e al fondo del bicchiere pieno di birra che stringo con la destra.


Potrei quindi confermare la tesi secondo la quale i vizi sono alimentati dal disagio.
È un’osservazione invece parziale, in quanto indugio nel vizio molto di più quando mi sento totalmente a mio agio¹.


¹ Il motivo è che se sono a mio agio non devo preoccuparmi di ciò che pensano gli altri. Anche perché probabilmente saranno troppo devastati per poter far caso a me.


Sono il genere di persona che deve avere sempre almeno una mano impegnata. Ho lasciato allungare i baffi solo per avere qualcosa da rigirare tra le dita a piacimento, in assenza di altro.

Magari improvvisando contemporaneamente un ballo country

Intanto, osservo gli altri.
Che osservano me, che osservo loro che osservano me. È come quel racconto di Paul Auster dove un investigatore sorveglia un sospettato che sta sorvegliando lui.


Fantasmi, in Trilogia di New York. Una storia che sembra un racconto hard boiled¹ ma che si trasforma in breve in una sorta di allucinazione a-temporale dove entrambi i personaggi coinvolti perdono sempre più i caratteri di protagonisti per divenire pupazzi di un inganno.


¹ Cioè il genere poliziesco impermeabile, whiskey e un detective scorbutico e sciupafemmine.


Abbandono il mio essere umano per divenire un elemento grammaticale: il complemento d’arredo.

E penso alle formiche a casa, cui la dipendenza reciproca sarà la loro rovina perché se anche una dovesse sfuggire al veleno poi morirebbe in quanto rimasta da sola.

Mentre ci rifletto, una tizia accanto a me annusa l’aria. Poi si volta.
Oh, are you fuming…eh, “fuming”, si va be’ dai  agita la mano come a dire “ma come mi viene”.
Io, imperturbabile: Yes, I’m fuming. Why are you chiedending me?
Rido.

How to train your Gintoki


Con la presente dichiaro chiusa la prima serie continua di titoli no-sense introdotti da “Non”.


Dovrei scrivere una bozza di budget e sono indeciso se scriverla durante questa notte e poi dormire in mattinata oppure dormire in mattinata e buttare giù (dal balcone) due sciocchezze nel tempo che mi resterà.

Ho già speso le mie energie mentali per risolvere un importante dilemma. Sulla pista di ballo c’è qualcosa di importante, oggi ne ho avuto conferma via mail. Chi mi ha mandato il messaggio mi ha pregato di scrivere alla Contessa Serbellons Mazzant Comesfromthesea (è anglofona), che leggeva in copia.

Dubbio: la Comesfromthesea è anglofona ma lavora in Italia. La mail che ha letto in copia era in italiano.

Le scrivo in italiano o in inglese? No, perché c’è una bella differenza.

Dopo essere andato agli allenamenti e non averci pensato affatto, tornato a casa ho deciso di scrivere in inglese.

Vedremo se il primo step è andato. Ne restano altri ed è difficile scacciare il demone del fallimento – che nella mia fantasia è impersonato da Charlie Brown – che mi dice Gin, ma tanto non ce la farai.

Charlie Brown e la sua sempiterna gioia di vivere

La cosa divertente è che se va in porto la cosa corro il rischio di trovarmi a essere seguito da un personaggio particolare che è entrato nella mia lista di personaggi particolari.

Tanto per cominciare, ha una certa somiglianza con l’ispettore Clouseau, giusto i baffi più folti. Sono rimasto però molto deluso quando ho fatto notare a tre persone la somiglianza e tutte e tre non avevano idea di chi fosse l’ispettore Clouseau. Ci sono rimasto male ma non perché non avessero compreso la mia battuta, ma per il buon ispettore che non capisco perché non debba essere ricordato.


Se anche voi, lettori, non avete presente chi sia e stavate aspettando una didascalia esplicativa, allora questa didascalia non vi fornirà informazioni didascaliche su di lui perché non le meritate, ecco.


La seconda caratteristica del personaggio è che parla in modo ampolloso e retorico e anche un po’ arcaico. Ad esempio, per dire che leggerà una frase da un libro, dirà che “Ho il piacere di condividere con voi questo passo che trovo pregevole”.

La terza caratteristica è che quando insegna ai corsi, dopo la prima lezione sceglie due volontari (i classici volontari involontari), uomo e donna, per far far loro delle flessioni. Terminata la performance, delizia anche lui il pubblico con delle flessioni.

Ed ha 65 anni, preciso.

La quarta caratteristica è che ha tre figli, uno adulto avuto dalla prima moglie, e due piccoli, di 4 e 8 anni, avuti dalla seconda.

Ed ha 65 anni, preciso.

Sono quindi inquietato e nell’insieme affascinato dall’idea di potermi trovare a gestire un qualsiasi tipo di rapporto professional-tutorale con un simile personaggio.

Ammesso che Charlie Brown sia d’accordo, anche se il fatto che sia un bambino lo costringe alla fine a soccombere. Sarebbe stato più complesso e ingestibile avere come demone del fallimento, non so, Darth Vader, Palpatine o Sauron, solo che loro non li associ al fallimento anche se poi alla fine perdono ma soltanto perché la lobby dei buoni ha deciso che deve essere così. Condividete se avete un lato oscuro!

Però delle volte in altri ambiti Charlie Brown vince lo stesso.

Non è che i dentisti che hai incontrato sono scarsi perché sono medici per-denti

Una volta alle elementari in classe tra noi maschi scoppiò la moda delle pistole-portachiavi. Alcune di esse avevano anche un tamburo funzionante dentro il quale inserire un colpo esplosivo, che faceva il botto e lasciava puzzo di polvere da sparo per una giornata intera.
Invidioso, perché il sentimento che più è diffuso tra i bambini è l’invidia, decisi che dovevo averne una anche io.


Un gruppo di bambini è come una comunità preistorica: nessuno desidera nulla, finché un giorno non arriva nel villaggio qualcuno con infilato un osso nel naso e da quel momento tutti vogliono l’osso da infilare nel naso.

A pensarci bene forse funziona così anche per gli adulti.


Dopo aver dato molto fastidio a casa per avere anche io un oggetto di così tanto valore simbolico, mi feci accompagnare al tabacchi vicino la scuola dove ne uscii con una pistola-portachiavi replica di un trombone da pirata, così grande che aveva spazio nel tamburo per ben tre colpi.

Il ‘ferro’ destò l’ammirazione dei miei compagni – uno esclamò Wà cu chest può accir’r n’ippopot’m! (Wow, con questa puoi uccidere un ippopotamo!) – e mi garantì ben 5 minuti di celebrità durante l’intervallo. Non bisogna sottovalutare quei 5 minuti in cui si è al centro dell’attenzione, perché rappresentano molto nella vita di un alunno delle elementari. La società bambinesca è una lama di rasoio sulla quale cammini ogni giorno. Un passo falso ed è game over: puoi squalificarti agli occhi altrui per un niente a causa di un brutto paio di scarpe o di una parola sbagliata. Uno per aver chiamato “mamma” la maestra – tipico lapsus freudiano – dovette sparire per qualche giorno dalla circolazione per la vergogna. Lui disse che era influenza, ma nessuno ci credette.

Ma capirete che è dura mantenere un proprio status sociale dignitoso quando gli eventi remano contro di te. Puoi contrattare con Madre i metri di distanza dal cancello della scuola cui lei deve rigidamente attenersi per salvaguardare la tua dignità ma è tutto inutile: all’orario di uscita, come un black bloc, lei ignorerà il cordone di sicurezza e si fionderà all’interno. Sono questi gli esempi che vogliamo dare ai nostri figli? Che i divieti non si rispettano?!

Aggiungiamo che, tra l’altro, ero anche il più piccolo essendo stato iscritto a scuola a 5 anni e mezzo. Quei 6 mesi in meno fanno la differenza, in 6 mesi ti possono anche spuntare baffi e basette. O i denti nuovi.

La permuta degli incisivi per me era un gap importante. Invidiavo i dentoni altrui, anche perché io manco più gli incisivi da latte avevo, avendo avuto un incontro ravvicinato muso-pavimento all’età di tre anni che mi ha fatto capire che non si salta sui divani.

In compenso negli anni successivi ho sempre avuto una dentatura perfetta, non ho dovuto mettere l’apparecchio e i denti del giudizio mi sono spuntati tutti senza problemi e quindi il tempo galantuomo mi ha compensato.

Questa storia dell’olio ha rotto le palme

Sottotitolo: la Cina è in cucina.

Mio nonno diceva sempre che bisogna scegliersi le proprie battaglie.
Non è vero, non me l’ha mai detto, ma avrebbe potuto farlo mentre mi insegnava a fare il vino o le conserve di pomodori.

Oggigiorno il mondo sembra impegnato in tante battaglie. Uno dei nemici odierni che ho scoperto recentemente, più dannoso del Da’ish*, più infestante della cellulite e più noioso di un comizio elettorale, a quanto pare è l’olio di palma.
* acronimo di al-Dawla al-Islāmiyya fī al-ʿIrāq wa l-Shām, Stato Islamico di Iraq e Grande Siria.

A prescindere da come la si pensi in merito, credo che al giorno d’oggi se si vuol esser certi di cosa si stia consumando bisognerebbe ritirarsi in un rettangolo di terra con un paio di animali e un orticello.

Ci ripensavo quando sono entrato l’altro giorno in un negozio bio e ne sono uscito bestemmiando contro bio per i prezzi da gioielleria che ci sono all’interno. La qualità si paga così come si paga la quantità di lavoro che c’è in quel prodotto, certamente. Ma se volessimo essere tutti bio ci vorrebbero stipendi da ingegneri (ingegneri non italiani perché ho visto ingegneri qui lavorare gratis o a 1000 euro al mese). Quindi tocca accontentarsi delle confetture industriali che costano meno e che sull’etichetta scrivono “con vera frutta!” come se fosse un valore aggiunto**
** Il che apre considerazioni inquietanti: sulle altre c’è della finta frutta? Mi ricorda quando comprai uno yogurt Muller. “Alla ciliegia” era scritto sulla confezione. Poi leggo l’etichetta e c’era scritto “con 33% di frutta (di cui 39% ciliegie)”. E quindi il 39% di ciliegia su un 33% di frutta (ripeto, non il 39% sul 100% di prodotto, ma il 39% del 33!) ne farebbe uno yogurt “alla ciliegia”? Più che fate l’amore con il sapore, è fate sesso con gli sconosciuti.

D’altro canto ammesso e non concesso che i costi fossero accessibili, mi chiedo se di prodotti naturali e non industriali ce ne sarebbe abbastanza per tutti. Mi piacerebbe, ad esempio, che il resto d’Italia sapesse quanto è buona una Margherita col pomodoro datterino giallo***, ma credo che se tutta Italia volesse pizze col datterino giallo neanche se ci limitassimo a un pomodoro a testa ciascuno la produzione basterebbe a soddisfare la richiesta.
*** chiamato anche Lemon Plum, è una varietà di pomodoro dal colore giallo ambrato-arancio coltivata secoli fa e che si riteneva scomparsa.

A proposito di pomodori, a Casa Romana sono arrivate due cinesi. Una è una vecchia amica di Coinquilino, insegnante di canto, che accompagna la sua discepola, futuro astro nascente della lirica del celeste impero che è a Roma per perfezionarsi. A quanto pare Astro Nascente resterà a lungo qui, anche se non so quanto.

Ebbene, Maestra e Astro Nascente hanno portato con sé in valigia due barattoli di salsa di pomodori cinesi. Forse pensavano di non trovarne in Italia?

E voi, mangereste pomodori cinesi?****
Io no per diversi motivi, ma forse sono vittima di luoghi comuni.
****Magari ne ho/avete già mangiati a mia/vostra insaputa in un ristorante italiano o in una pizzeria.

È un luogo comune quello che mi faceva ritenere le cinesi tutte graciline e piccoline. Poi ho visto Astro Nascente e mi son reso conto che al confronto sembro io il cinese. I cinesi stanno crescendo.

Io non sono così piccolo, anzi, fossi cresciuto una-due generazioni fa sarei probabilmente stato considerato alto.

Il problema delle generazioni odierne è che sono grosse, troppo. Mi hanno detto che per colpa loro hanno anche ridefinito le taglie delle scarpe. Non so se sia vero, ma fino a una decina d’anni fa io compravo sneakers numero 44/45. Poi un giorno provandolo in negozio il 45 ha cominciato a farmi l’effetto delle scarpe di Pippo. Oggi porto 43.

Dev’essere colpa di tutti gli ormoni che hanno assunto col cibo. Io ricordo alle scuole medie le mie compagne erano piatte, a parte due-tre sviluppate e una che invece era veramente molto avanti. Quest’ultima aveva anche una cotta per me, pare, ma a 12 anni purtroppo pensavo al fantacalcio e non alle fantatette.

È impossibile controllare ciò che assumiamo, ergo, e ciò apre delle questioni: un mio futuro figlio nascerà già dotato di baffi e fluente barba? Se sì, esistono camicie a quadri per neonati? È un problema notevole, qualcuno dovrebbe interessarsene.

Il rischio di finir al tappeto per non aver un tappeto ti rende zerbino nei confronti dei negozi hipster

Premessa: Per la stesura di questo post sono stati scelti oggetti inutili provenienti da allevamenti certificati.

Succede che tu non abbia un tappeto scendidoccia. Che poi perché si chiami scendidoccia non mi è chiaro, visto che la doccia non è posizionata in alto. Sarebbe più corretto dire “escidoccia”. Fatto sta che, sia che tu scenda o che esca, ogni volta che fai una doccia ti allunghi in posizione yoga per prendere l’asciugamano, asciugare un piede, posizionarlo nella pantofola, ripetere tutta l’operazione con l’altro piede cercando di non scivolare lungo per terra.

Succede che ti ricordi di non avere uno scendidoccia mentre sei all’interno di Tiger, la catena della paccottiglia hipster (chi dice il contrario dovrebbe dare un’occhiata a quanti baffi arricciati decorativi ci sono: baffi-spugna, baffi di gomma, baffi decorativi per bicicletta, baffi per camuffarsi).

Succede che il summenzionato negozio abbia delle solette di plastica scendidoccia massaggianti al modico prezzo di 3 euro.

Mh! Meno di un tappetino, che, tra l’altro, sai quanti batteri ospita sulla sua superficie? E poi sono solette massaggianti!

Mi sono reso conto in un momento successivo che forse fossero progettate per le donne. La foto di un piede con lo smalto rosso sulla confezione doveva significar qualcosa. O anche il fatto che potessero trasformarsi in infradito con un fermaglio a cuoricino.

Dato che, inoltre, avevo un altro euro che mi pesava nella tasca, ho deciso di investirlo in questo gradevole avvolgiauricolari gommoso, che puzza come le sorpresine di plastica incluse nelle buste di patatine che compravo da bambino e che, da buon incauto acquirente, acquistavo appunto solo per il regalo in esse contenuto.

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Si accettano scommesse tra quanto tempo getterò via le solette massaggianti e l’animale gommoso.

Non mi capita spesso, per fortuna, ma sono uno propenso a quello che definisco l’incauto acquisto. Cioè il comprare una cosa sostanzialmente inutile che però credi che ti serva senza provvedere prima ad accertartene.

E voi fate incauti acquisti?

Sono stato a quadri prima di te, però ora diamoci un taglio

Salve, sono il Gintoki di Carnevale, difatti in questi giorni sono vestito da gatto con gli stivali. Forse vi ricorderete di me per post come Nel martedì grasso per me solo magre figure.

In quell’articolo, rievocando alcuni miei travestimenti passati, ne ho citato uno: quello da cowboy. Pur ricordandolo come uno dei meglio riusciti, ero stato abbastanza severo nel giudicarlo. Quale è stata la mia sorpresa, facendo ordine nella libreria, nel ritrovare la foto riferita proprio a quel costume. Le foto degli altri Carnevale non so dove siano e non mi interessa, penso che se mai le ritrovassi le distruggerei per non lasciare in giro materiale che mi renda ricattabile.

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Se escludiamo il jeans a vita altissima ascellare (anche i cowboy avranno avuto i loro anni ’80) era in effetti proprio un bel travestimento.

Più che altro mi interrogo sul perché mai io avessi un taglio di capelli come il bambino di Simpatiche canaglie

Il cancello rosso a casa non c’è più, sostituito perché stava cadendo. E non a pezzi, stava proprio rischiando di cadere, si reggeva col fil di ferro.

Non c’è più neanche la siepe di abeti che si intravede nel giardino del vicino. Per anni, ogni dicembre, mio padre la sera ne tagliuzzava qualche rametto che sarebbe finito nel presepe a fare da alberello.

Sto comunque divagando: il dato sul quale si è focalizzata la mia attenzione è la camicia a quadri (tra l’altro palesemente troppo grande per la mia misura, ma come si dice in questi casi il cowboy deve crescerci dentro): questo prova in maniera indiscutibile che io indossavo quadri prima che poi divenisse appannaggio odierno di tizi con barbe e baffi a fantasia: eh sì, all’epoca invece eravamo in era grunge, ma essendo io a quel tempo troppo piccolo non mi si può tacciar di esser modaiuolo!

Quale è oggi la mia frustrazione sfoggiando barba e quadri, e in questo mi sento di convididere lo stato d’animo del poliedrico ysingrinus, nell’esser accostato a giovani dal dubbio senso estetico.

Giusto ieri, a proposito, ho ricevuto apprezzamenti per la cura della mia barba da parte di una commessa di uno stand a una festa del cioccolato. Forse tentava solo di agganciarmi con qualche blandizia per indurmi a comprare qualcosa. La sua collega, non cogliendo forse la sottile mossa di marketing, ha invece sentenziato che gli uomini stian male con la barba. La collega ha replicato dicendo che gli uomini senza barba si chiaman donne.

Io ho seguito la scena senza proferir verbo, aspettando che mi offrissero qualcosa da assaggiare, così come infatti è stato.

Cioccolata e complimenti fan sempre piacere ed era ora che qualcuno notasse la cura da me profusa verso il pelo: per una barba lunga occorrono pettine e shampoo se non si vuol ricrear l’effetto vello di capra rupestre che ahimé vedo spesso in giro.

Comunque senza falsa modestia vorrei dire che ero proprio un bel bambino (fatta eccezione per il taglio di capelli), il che mi induce a pensare che la natura conceda un unico periodo nella vita dedicato a un gradevole aspetto esteriore: col risultato che in giro poi si vedono begli adulti che da bambini invece eran brutti, bei bambini che da adulti sì insomma diciamo un tipo ma anche no.

Quantomeno credo oggi di avere un taglio di capelli migliore, il che mi dà spunto per pensare a un altro problema tipico dell’infanzia, dopo i costumi di Carnevale imposti: i tagli di capelli imposti dai genitori o, ancor peggio, tagli di capelli improvvisati in casa con risultati catastrofici.