Non è che serva un regista per girare la testa

È da molto che non vado al cinema. In verità cose che mi interessino non ce ne sono molte: negli anni sono diventato più selettivo (e anche schizzinoso, a dir il vero). Pagare un biglietto per vedere dei mappazzoni non è che mi stimoli molto.

Tra gli ultimi film che ho visto al cinema c’è stato Ghost In The Shell, in Ungheria. Lì non ho resistito: era per l’ammirazione che ho verso l’opera originale, un capolavoro dell’animazione nipponica.

Il film non era un granché: visivamente molto accattivante, con parecchie strizzate d’occhio all’opera originale, perdeva però un po’ quel che era il sostrato filosofico che c’è nell’anime. Sono dell’idea che certe cose debbano rimanere confinate nella nicchia per nerdoni e non possano essere trasposte pena delle perdite rilevanti nella conversione per il grande pubblico.

Inoltre avevo notato una certa monotematicità delle inquadrature: ogni tre scene una ripresa di spalle sul culo di Scarlett Johansson. Non sono un ipocrita, ammetto che il fondoschiena di SJ abbia una sua forma (artistica) e sappia bucare lo schermo con prepotenza.

Un po’ deluso comunque dal panorama cinematografico attuale, ho deciso di buttar giù qualche idea per pellicole che possano portare una ventata di freschezza nel mondo hollywoodiano e non solo.

SCI-FI

Terminator 6 – La rivolta ottuagenaria

Dato che sembra impossibile far fuori Sarah Connor, le macchine scelgono un’altra strada per impedire a John Connor di dar vita alla resistenza. Si sostituiscono agli anziani con lo scopo di ostacolare JC e fargli perdere tempo bloccandolo sul pianerottolo, alla posta, al supermercato, in qualsiasi luogo, con discorsi soporiferi sui nipoti, sui tempi della Guerra, sulla prostata e l’incontinenza urinaria. Arnold Schwarzenegger, nei panni di un cyborg novantenne, riuscirà a bloccare le gerontomacchine con un inganno, invitandole a seguire un cantiere della Metro C di Roma, ignare del fatto che non sarà mai completato.


SCIENCE FANTASY

Ma chi vi si incula: a Star Wars Story

Altro spin-off di Star Wars, che narra storie parallele (oppure prequel) della saga originaria. In Ma chi vi si incula scopriremo in modo più approfondito personaggi marginalizzati nelle precedenti trilogie: come era da adolescente l’Ammiraglio Ackbar? Lo pigliavano per il culo per la sua pronuncia? Come hanno messo su una band gli alieni jazzisti della Cantina a Mos Eisley? Gli Ewok hanno le pulci? Questo e altro nel nuovo capitolo spin-off della Saga.

Un gruppo di Ewok impagliati per il divertimento di George Lucas


EROS

50 sfumature di arcobaleno

Martina è una studentessa fuori sede iscritta al DAMS fuori corso dal 2004. È una ragazza normale, ogni anno bisestile un esame, ogni semestre uno shampoo, ogni sabato sera che termina abbracciata alla tazza a vomitare il duodeno.
Un giorno dimentica di usare l’acchiappacolore Grey e l’intero suo bucato diventa un quadro di Pollock. Abbigliata come un clown scolorito, attirerà le attenzioni e le avance di un suo coetaneo, feticista dei capi sbiaditi. Solo che Martina è asessuale perché ha letto su GQ che è il nuovo must dell’estate 2017, quindi non se ne fa niente.


PAOLO SORRENTINO

Le conseguenze dell’odore

Toni Servillo è Giangi, un esteta edonista annusatore di intimo di belle donne star del cinema. Mentre un giorno passeggia tra le vie di Taormina – pausa con ripresa a 360 gradi del tramonto sul mare – declamando poesie di Archiloco, incontra Marianunzia, ammaestratrice di giraffe – pausa con piano sequenza sulla giraffa che va a brucare da un albero centenario – che sogna una carriera cinematografica.

Giangi ne è estasiato o forse è l’effetto della coca che lei spaccia per mantenersi. A questo punto pensa che il non plus ultra sarebbe poter annusare le mutande di una star prima che diventi star.

Una sera dopo una cena elegante – pausa per ripresa panoramica sulla cucina del ristorante con dissolvenza sulla frittura di calamari – lei si immerge in una fontana come Anita Ekberg in La dolce vita. Le scene diventano in bianco e nero in modo gratuito. Dopo essersi fatta il bagno, lei si sfila le mutande e le offre a Giangi, che, dopo una pausa di riflessione di un quarto d’ora, esclamerà

“Eh no, mò le hai lavate, non sanno più di un cazzo”.


ANIME

L’Attacco dei Gitanti

Un tranquillo borgo di origine medioevale dove il tempo pare essersi fermato, una vecchina taglia la droga ogni giorno come si faceva un tempo, un artigiano fabbrica bong di ceramica, un bar serve Amaro del Capo per colazione. La calma e la pace vengono improvvisamente turbate dall’arrivo di un’orda affamata: i Gitanti.

Centinaia di Gitanti trasportati da torpedoni prendono d’assalto il borgo, schiamazzano, scattano foto, scattano foto schiamazzando, fanno il pediluvio nelle fontane. Solo un giovane potrà porre rimedio, un abitante del borgo che si scopre essere stato anche lui un Gitante, quella volta che partecipò a un campo estivo in colonia marittima con gita organizzata alle rovine di una città, che prima non erano rovine ma si sa come sono i ragazzini.

Un Gitante tedesco che si è scordato di mettere la crema solare prova a portarsi via una pietra del muro di cinta come souvenir


FILM INDIPENDENTI

(un titolo a caso che non c’entra nulla col film)

Un adolescente che ha perso i propri genitori al poker.
Una ragazza affetta da una rara malattia genetica che la porta a credersi Vittorio Sgarbi ogni volta che osserva un quadro.
Due città diverse.

I due non si incontrano mai perché ovviamente non si conoscono e il film potrebbe finire qua. Invece va avanti per un’ora e mezza con inquadrature con filtro vintage Instagram mentre viaggiano in autobus con la testa appoggiata al finestrino lercio accompagnati dalla allegra colonna sonora scritta da Thom Yorke.

(un altro titolo a caso che non c’entra nulla ma fa molto indie)

Una quattordicenne che scrive poesie sui rotoli di carta igienica e che è muta da quando i genitori si sono separati – erano gemelli siamesi – vive con lo zio trentenne, musicista negli Afflato Anale, una garage-band che sogna di sfondare e dai garage passare ai parcheggi delle pompe di benzina.
Lo zio all’improvviso muore per overdose di Coccoina e al funerale la ragazzina a un certo punto sembra aprir bocca per dir qualcosa ma in quel momento parte These Days di Nico con dissolvenza finale sui titoli di coda e non si saprà mai se avrà parlato o no.
La pellicola non verrà mai distribuita perché nel mezzo c’è una scena senza senso in cui lei e lo zio fanno il bagno nella vasca insieme. Tutto ciò – compreso il fatto che non l’abbia visto nessuno se non al massimo piratato – lo renderà un capolavoro del cinema non mainstream.

Non è che serva un regista per girare l’angolo

La processione di zombie che tutte le mattine si spostano per andare al lavoro.
I senzatetto che dormono nei sottopassaggi, nelle stazioni o che si aggirano come spettri tra la folla distaccata.
Le chiazze di vomito vivido sull’asfalto.
Il cagnetto da portare a spasso la domenica, rigorosamente un Maltese bianco perché is the new Yorkshire.
Ubriachi diurni e ubriachi notturni che cantano o si abbracciano o cantano abbracciandosi.
Un tenore asiatico che una volta alla settimana intona Pavarotti a Nyugati.
Gruppi di ragazze possenti come Valchirie che nei locali cercano prede forse per sacrifici umani.
Gruppi di maschi-betabloccati che, spaventati dalle Valchirie, cercano ragazze isolate da agganciare.

Più osservo e più vedo deformazioni urbane grottesche.
Vagamente lynchiane.
Non so se sono miei incubi da dissociazione o sintomi da carenza di vitamine ma le sensazioni che mi dà questa città mi richiamano alla mente un set di un film inquietante e nonsense.

Uno di quelli da circolo culturale ristretto e impegnato (al Monte di Pietà per pagare l’affitto).

Ho un rapporto ondivago con il cinema.
Il giorno prima guardo l’ultimo film Marvel, il giorno dopo l’ultimo lavoro di un regista iraniano perseguitato dal governo che ha girato tutto in primo piano con una telecamera su un taxi.


Taxi di Jafar Panahi. Che consiglio di vedere.


Il cinema di intrattenimento è un servizio reso allo spettatore tramite un atto di acquisto.
Io compro un biglietto e in cambio mi forniscono un prodotto già pronto e confezionato per essere il più adatto alle mie esigenze. Potremmo definirlo un sogno pilotato e proiettato su schermo. Non a caso non è raro – anzi è considerata una delle magie del cinema – immedesimarsi negli attori sullo schermo.


Invece il motto del regista di documentari è: Non vendiamo sogni ma solidi real-time.


Che si tratti di un prodotto standardizzato, a prescindere dal genere, è intuibile in modo molto semplice: un film commerciale segue uno schema prestabilito nel proprio svolgimento. All’incirca 15-20 minuti dopo l’inizio c’è un colpo di scena che rompe la condizione preesistente. Il resto del film sarà un eterno inseguimento e un susseguirsi di eventi per tornare a quella condizione di equilibrio (non necessariamente la stessa, anzi nella maggior parte dei casi sarà un equilibrio a condizioni più vantaggiose); a 20 minuti dalla fine ci sarà un altro colpo di scena, risolutivo: a volte tale punto di rottura è volutamente un fake perché, quando si pensa che il film sia terminato, a 5 minuti dalla fine ci sarà un contro-colpo di scena definitivo.

Nei film impegnati o d’autore che dir si voglia, invece, tale schema non c’è. Delle volte è del tutto assente una struttura narrativa. Una simile opera si sposta dal piano dell’intrattenimento a quello filosofico/estetico. La visione può risultare più faticosa perché allo spettatore è richiesto un ruolo attivo. In quel momento non sto più pagando per vivere un sogno preconfenzionato ma per partecipare al film con un lavoro interpretativo.


Esistono anche film come quelli di Lynch (tipo Inland Empire) dove ci si può lambiccarsi quanto si vuole ma una vera interpretazione secondo me non c’è perché esiste soltanto nella mente di David Lynch.


Beninteso, la suddivisione non è sempre così netta tra le due fattispecie di cinema. Esistono registi che seguono una terza via cinematografica. Alcuni esempi tra questi possono essere Iñárritu, Anderson, Sorrentino, Malick.

Di Paolo Sorrentino penso che sia diventato un onanista cinematografico seriale.


Lo dico sottovoce perché è entrato a far parte di quella schiera di argomenti quali religione, movimentismo politico, abitudini alimentari, calcio, per le quali una voce contraria risveglia ancestrali e aggressivi istinti nell’interlocutore¹.


¹ Perché la gente è sempre così irascibile come se gli stessero defecando nel salotto?


Sorrentino è bravissimo nel dipingere dei quadri con la macchina da presa. Ma si pasce e si compiace di questo senso artistico vendendo secondo me un mappazzone ben confezionato.


Il Golfo di Napoli.
Un elefante indiano cieco.
Un attore ritiratosi a vita privata.
Una donna nuda stesa in mezzo a un prato con delle giunchiglie in fiore.

Cucite il tutto ed ecco un possibile nuovo film di Sorrentino.


Un altro che ho visto ammalato di Sorrentinite è Malick (The Tree of Life), anche se confesso di non aver visto altro dopo To the Wonder con Ben Afflitt.

Affleck felice/triste/preoccupato/curioso/indispettito


In realtà poi sarebbe il contario: è Sorrentino che registicamente è rimasto ammalickiato.


Iñárritu invece secondo me ci ha presi tutti per i fondelli.
Produce film commerciali vestiti da film d’autore o film d’autore vestiti da film commerciale. Non ho ancora deciso.


Anche se io non sono nessuno per decidere e parlo a titolo del tutto personale di catalogatore compulsivo.


Dopo un anno ho rivisto le mie impressioni su Birdman. All’epoca ero entusiasta, un’opera di sintesi cinematografica, raccordo tra film d’autore e d’intrattenimento. Un film sul cinema che parla di cinema, metateatro a celluloide dilagante.

E dopo però mi chiedo: un film girato in finto piano sequenza unico, è sintesi, è arte, è citazione o soltanto una presa per il sedere?


Un piano sequenza superlativo nel suo tratto artistico secondo me è ad esempio questo qui


Degli esempi di terza via che ho citato, Wes Anderson è secondo me il più particolare. I suoi film oscillano di continuo tra reale e surreale ed è proprio questa ambivalenza, come se fosse un luna park le cui giostre cambiano mentre ci sei sopra, a rendere il suo cinema tanto interessante.


E poi non posso non apprezzare uno che ha un gusto compulsivo per la simmetria


Tutto quello che ho detto sinora nasce dal fatto che vorrei vedere un film (sto andando in overdose da serie tv ultimamente e dopo aver finito House of Cards 4 è arrivato Daredevil stagione 2) ma non so su cosa rivolgermi.
Ho tentato tre volte di guardare Il gusto del sake di Yasujiro Ozu altamente consigliato da tanti intenditori e comprendimucche ma non ci riesco perché mi stanco. Forse alle 23 di sera non va bene, ma è l’unico momento che ho a disposizione. E neanche la domenica pomeriggio è indicato, dopo gli gnocchi di patate al forno con la bolognese.


Ma se il ragù l’ho preparato con macinato di manzo locale, è sempre bolognese o è una ungherese?


Questioni di lingua, di postura e d’impostura

Ho appreso solo di recente che la posizione della lingua ha effetti sulla postura. Pensavo dipendesse solo dall’occlusione dentale, invece no. La cosa a pensarci su ha un senso, perché magari i denti si possono chiudere male se la lingua spinge contro di essi!

Tu che stai leggendo, ora starai controllando dov’è la tua lingua, scommetto.

Quindi il modo di dire “tenere la lingua a posto”, oltre al significato figurato, assume un’interpretazione letterale. La prossima volta che qualcuno parla a sproposito o insulta, potremmo quindi dirgli: Ti invito ad assumere una postura migliore. Correggi quella lordosi o sarà peggio per te!

La lingua. Quanti usi e applicazioni che ha.
No, questo post non assumerà connotati a luci rosse, cremisi o vermiglie.
Anche se, delle volte, per un’ora d’amore poi varrebbe la pena deambulare un po’ male (un verso scartato dai Matia Bazar).

Il problema sorge quando la lingua rimane asciutta, secca. Come se avesse leccato un blocco di opale. Che io in realtà non so come sia leccare un’opale, ho solo dei vaghi ricordi scolastici sulle proprietà allappanti dei minerali. Tra l’altro, all’epoca mi veniva da chiedere se i geologi andassero in giro a leccare le pietre. Poi ho scoperto che veramente le leccano e me li sono immaginati come dei sommelier, con una piccozza d’argento al collo al posto del tastevinMmmh, questo è del Cretacico inferiore, ottimo periodo geologico!

(se c’è un geologo in sala, mi scuso per aver dato l’impressione di prendere per il culo la categoria, per la quale nutro un profondo rispetto)

Ho avuto proprio questa sensazione astringente in bocca camminando per quelle strade che conoscevo e frequentavo, notando che dei posti a me familiari avevano chiuso. Tutto è passato. Tutto è sepolto sotto strati geologici di pensieri.
Ho guardato le vetrine che lasciavano intravedere un locale buio e vuoto. Mi sono sentito anche io un po’ buio e vuoto, con la sensazione di avere un cartello affittasi appeso addosso. Chiuso, invece, lo son sempre stato, in verità. E, delle volte, rompe anche i maglioni quando te lo fanno notare.

“Sei un po’ chiuso”.

Sì,

Sono chiuso per ferie.
Ho bisogno di rigenerarmi ogni tanto e cambiare aria.
Sono chiuso per ristrutturazione.
Ho bisogno di darmi una mano d’intonaco perché a volte cado a pezzi.
Sono chiuso per cambio gestione.
Perché capita di stufarsi e voler mollare.
Sono chiuso per liquidazione.
La proprietà è incline al fallimento.
Sono chiuso per furto.
Quando mi rubano le cose. Le idee, i pensieri, i sentimenti.
Sono chiuso per lutto.
Succede, è la vita. O la morte.
Sono chiuso per le festività natalizie.
Perché mi piace stare sotto un albero.
Sono chiuso per le festività pasquali.
Perché mi riesce ogni tanto di fare una sorpresa.
Sono chiuso per la festa del santo patrono.
Sono devoto a San Precario, martire dell’Ordine degli Inoccupabili.
Sono chiuso per inventario.
Perché ho bisogno di riordinarmi.

Quindi si prega di ripassare nei giorni di apertura.

Ma ho divagato, stavo parlando della lingua. Bene, chiuderò con un aneddoto riguardante il mio professore di latino e greco del liceo. Un giorno, ero nel suo ufficio con un compagno di classe che disse che aveva intenzione di portare, come tesina all’interrogazione finale, una dissertazione sulla lingua.
Il prof: Eh, nu trattato ‘ngopp a fellatio, AHR AHR AHR! (aveva una risata alla Gambadilegno, frutto di 40 anni di Pall Mall).
Trad: un trattato avente come argomento la fellatio!
Noi ridiamo e lui:
Azz*, ma quindi ‘o latino o sapit!
Trad: Caspita, ma quindi il latino lo conoscete!

(Ecco, ho mentito quindi quando ho detto niente riferimenti a luci rosse. Sono un impostore)

Il professore era un uomo a cui piaceva essere diretto e ruspante, ma era anche una persona di profonda cultura e intelligenza. E poi era molto legato al territorio, tanto da mettere su uno spettacolo teatrale basato su delle vicende che hanno segnato cultura e storia delle nostre zone. Riuscì anche a portare tale spettacolo fuori Regione per un paio di tappe. Parliamo di una produzione recitata in dialetto, quindi la cosa assume ancor più valore.

Il dialetto, appunto. Il napoletano è riconosciuto come lingua a tutti gli effetti. Ogni tanto qualcuno ci tiene a ribadirlo e a me, posso essere sincero, questa cosa me le fa girare parecchio.

Mi spiego. Io ho come l’impressione che qui dobbiam vivere di bei paraventi. A chi parla male di Napoli o a chi riteniamo ci voglia male, dobbiamo sbattere in faccia Federico II, i pensieri di Goethe su Napoli, Antonio Genovesi, la Napoli Reale grande capitale europea, le Quattro Giornate, Totò e i de Filippo, il sole**, il mare, la pizza, mettiamoci pure Maradona e mò abbiamo pure l’Oscar di Paolo Sorrentino. E, ovviamente, il napoletano che è una lingua, zitti tutti che mò pure l’Apple hanno detto che parlerà napoletano. Mica il lumbàrd, il venessian o il romagnolo.

Obama è di Tor Bella Monaca

A me garberebbe qualche pizza in meno e un po’ di cura in più del territorio. Ma questa è un’altra storia e, dato che mi si è seccata la lingua, la racconterò un’altra volta.

*Azz è una nota esclamazione molto usata che indica stupore, meraviglia, incredulità:
Azz, sei veramente bravo!
Azz, l’hai fatto tu questo?
Azz, e solo adesso me lo dici?

** Che poi vorrei sapere chi se l’è inventata questa storia del sole, qua la pioggia rompe le palle tranquillamente