Non è che fare l’assicurazione sia una gara perché c’è un premio

Le Universiadi di Napoli si sono concluse. Ieri si è tenuta la cerimonia di chiusura. Ho già nostalgia. Prendervi parte è stata un’esperienza bellissima e chissà se mi ricapiterà qualcosa di simile.

Perché le cose belle devono essere brevi e aver fine? Dovrebbe avvenire ciò per le cose orribili. Ad esempio, l’ultima stagione di Game of Thrones è stata un vero schifo, ma per fortuna è stata corta: così dovrebbe essere per tutto.

In ogni caso, in questo evento che ha distribuito tante medaglie, voglio anche io fare delle mie premiazioni e quindi ho qui pronta una lista di premi creati ad hoc per le Universiadi.

– Premio Rattuso d’oro
Ai commentatori RAI della Cerimonia di apertura, che alla vista di Erikah Seyama, atleta del Regno di Eswatini, sono stati folgorati dalla sua bellezza e per la successiva mezz’ora non hanno parlato d’altro.
Consegna il premio: Valentina Nappi

– Premio Arpagone
A chi ha fornito le divise per noi Volontari. I vari loghi e stemmi sulle magliette dovevano essere dei trasferelli o delle decalcomanie comprate nelle bustine in edicola, perché dopo il primo bagno in acqua della maglia – necessario, visto che il sintetico si impregna di odore di umanità – hanno cominciato a decomporsi.
Consegna il premio: Zio Paperone

– Premio Simpatia
A una accompagnatrice della squadra USA di pallanuoto, una italiana che durante la finale maschile Italia – Stati Uniti è venuta a chiederci di parlare con lo speaker per invitare il pubblico a non fischiare quando attaccava la squadra statunitense. Piccola parentesi: sui modi di tifare del pubblico sospendo il giudizio, quel che penso è che finché non si scade nell’offesa, nell’ingiuria e che a fine incontro si tributa il giusto riconoscimento a entrambe le squadre, per me va anche bene cercare di intimorire l’avversario quando attacca. Lasciamo perdere gli esempi del calcio, ma nel basket e nella pallanuoto è cosa normale. Quando le abbiamo detto che 1) dev’essere l’arbitro casomai a decidere se richiamare all’ordine per intemperanze, 2) non si trattava di offese e ingiurie, la tizia se ne è andata mandandoci a fare in culo.
Consegna il premio: Vittorio Sgarbi

– Premio Super Saiyan
All’allenatore della nazionale ungherese femminile di pallanuoto, che in finale, ahinoi, ha battuto l’Italia. Espulso per intemperanze e beccato dagli italiani del pubblico, ha reagito ai loro Scemo! Scemo! facendogli il Goku che si trasforma in Super Saiyan

urlando qualcosa in ungherese che non ho capito, ma credo di non andare lontano dalla verità se dico che sarà stato un Puppatemi la fava.
Consegna il premio: Junior

 

– Premio Meglio Vestito
Non c’è manco bisogno di dirlo:
IMG-20190715-WA0003

Mi consegna il premio che accetto con piacere: Tom Selleck aka Magnum IV.

Non è che Polifemo fosse spendaccione perché ci rimise un occhio della testa

Pur essendo conclusa la mia esperienza ungherese, ho mantenuto i contatti con le persone conosciute lì.

Le mie ex colleghe, ad esempio, ogni tanto mi scrivono, mi chiedono come vadano le cose, mi forniscono aggiornamenti sulla vita in ufficio.

Oggi S. mi ha scritto chiedendomi un favore. Una sua amica si sposa e le devono organizzare l’addio al nubilato. Tra gli altri giochi di gruppo da fare, ne ha trovato uno in cui ha pensato di coinvolgermi.


Lì per lì temevo volesse propormi di uscire da una scatola vestito da poliziotto. Dimenticavo che il limite massimo della trasgressione di S. è alzare il volume delle cuffie di una tacca oltre la soglia consigliata. È una che si scandalizza se legge “pene” e considera uno zotico chi ha dei tatuaggi.


Mi ha chiesto foto di alcune parti del mio corpo.


Per il discorso sopra citato, anche qui c’è il bando a pensieri osceni.


Vuole la foto di un orecchio, quella del naso, quella della barba, una di una mano e, infine, la foto di un occhio e una di un sopracciglio.

Serve per un gioco di robe di foto sparse e figure da ricostruire: credo lo scopo sia riuscire a rintracciare il futuro marito in mezzo ad altre immagini.

La cosa divertente è stato che alla fine ci ha tenuto a precisare che “Non userò le foto per altri scopi diversi da questo”. Ci mancava mi chiedesse l’autorizzazione al trattamento dei dati.

Formalismo ungherese.

Al che però mi si è accesa una lampadina: volendo pure ammettere la cosa, ma quali mai potrebbero essere scopi diversi da quello indicatomi?

  1. Costruire, insieme ad altre immagini di altre parti di ignari uomini, un volto finto da usare come profilo Tinder per adescare ragazze da ricattare;
  2. Lei e le sue amiche sono in realtà feticiste delle orecchie, delle sopracciglia ecc.
  3. Ha intenzione di mettere in vendita su internet le foto per feticist* di orecchie, sopracciglia, ecc.;
  4. Le servono per un book di presentazione per il mercato nero dei trapianti d’organo;
  5. Vuole fare soldi con gli acchiappaclick, pubblicando le foto con la didascalia +++CLICCA SULL’OCCHIO E…QUELLO CHE SI VEDE È INCREDIBILE+++ (SPOILER: SI VEDE LA PATATA):

Occhio!

Non è che le dai appuntamento da Tezenis per stare più intimi

Entro fine maggio lascerò Budapest. Oggi ho comunicato al Tacchino la mia decisione.

Tralasciando tutti i contrattempi che ho avuto e la casa che poi mi picchiava, facendomi capire di essere indesiderato, pure la pianta di aloe è defunta dopo che tra febbraio e marzo era invece diventata un cespuglio rigoglioso. Era ora di levar le tende.

Per di più il sostituto di CR è il sosia di Sam Tarly e io non voglio essere il suo Giòn Snò.

Il Tacchino, quando gli ho parlato, ha reagito di primo acchito con Oh.

Ho già raccontato che molti ungheresi soffrono di ohite. Sia che gli si stia chiedendo di affettare una baguette in panetteria che di posare il portafoglio durante una rapina, la loro reazione sarà sempre la stessa: Oh.

Io me li immagino così in ogni ambito della loro vita.

Prendiamo ad esempio due giovani, Gabor e Judith – nomi tipici locali – colti in un momento di intimità in tutto il loro impaccio e imbarazzo come solo un ungherese è in grado di creare:

Gabor: Cara…pensavo…visto che è da un po’ che ci frequentiamo…ti…ti andrebbe di farlo?
Judith: Oh!
Gabor: Se non te la senti…va bene…
Judith: Oh no no, lo voglio!
Gabor: Oh!
Judith si spoglia
Gabor: Oh!
Gabor si spoglia
Judith: Oh…
Si stendono
Gabor: Oh!
Judith: Oh!
Gabor: Oh!
Judith: Oh!
Gabor: Oh! Oh!…O…h…Oh!!!
Judith: Oh…
Gabor: Scusa…è che mi piaci tanto…
Judith: Anche a Zoltan di Balatonfüred piaccio tanto, eppure è durato di più!
Gabor: Oh!

Non è che se ti chiedono “Parti?” tu rispondi “Festa!”

Ho deciso che per maggio me ne andrò da qui.

Approfittando di un breve ritorno a casa per le vacanze pasquali, comincio a impacchettare e portare indietro alcune cose. Tanto per iniziare, porto via ciò che ha allietato varie mie sere solitarie.

Non i porno. La Playstation.

L’idea di andare via era da alcune settimane che mi circolava in testa. Pensavo fosse un’emicrania. Poi gli ultimi eventi hanno accelerato i miei pensieri.

Non sono tipo da credere ai segnali dell’universo e cose di questo tipo: figuriamoci, se mi dicono karma io rispondo e sangue freddo, daje.

Ma in questa mia seconda esperienza pestese ci sono stati vari inconvenienti che mi lasciavano capire che qui non fosse più posto per me.

Appena sono arrivato, delle sneakers in perfette condizioni si sono sfasciate. Poi due jeans si sono bucati al cavallo. Ho trovato un bell’appartamento, in una zona molto bella. Dopo poco, la casa ha iniziato a picchiarmi: spigoli e ante mi tendevano agguati. Internet è andato ko per una settimana, poi la lavatrice mi ha allagato il bagno, qualche settimana fa il boiler è defunto lasciandomi per una settimana a godermi docce fredde che mi hanno ridotto la libido ai minimi storici. Una porta chiusasi all’improvviso mi ha donato il dito luminoso di ET. E proprio questa sera, mentre ripensavo a tutto ciò, un fusibile si è bruciato nel palazzo lasciandomi senza elettricità.

E non dimentichiamo che sono stato vittima di abusi da parte di un medico magiaro.

Il lavoro è diventato una merda. Chiedo scusa per l’utilizzo della parola “lavoro”. La Castora mi ruba le attività, neanche a una mail sono più libero di rispondere. Lei è strabordante come quella decima di petto che si ritrova. Deve estendere il proprio dominio su ogni cosa. Se fossi ancora vergine anche quello probabilmente mi ruberebbe.

Quando parlo con altre persone – espatriati come me – delle mie perplessità sul rimanere, sembrano non condividere. Alcuni dicono Che vai a fare in Italia, è un Paese fallito.


Detesto gli espatriati che parlano male dell’Italia come un Paese fallito, così come detesto quelli che sono in Italia e parlano male degli espatriati come dei falliti. In generale detesto la gente che parla male degli altri, per questo mi sento autorizzato a parlar male di loro come dei falliti.


Costoro però si trovano in altre situazioni. Hanno un lavoro avviato e/o un partner qui. Alcuni hanno messo su famiglia. Un tizio che conosco va a giocare a calcetto con Rocco Siffredi. In generale, hanno un’àncora qui. Io non ancora. E probabilmente mai.

Conosco anche casi di persone che invece sono tornate indietro. Il lavoro non li soddisfava sessualmente, non hanno trovato ciò che cercavano – una pornostar ungherese come moglie – oppure il loro compagno è fuggito con una giraffa.

Ho provato a lottare contro le mie cattive sensazioni. Mi sono guardato allo specchio e il tizio di fronte a me ha risposto Ma dici a me? Ma dici a me? con tono risentito.

In effetti, perché dovrei lottare contro me stesso quando non sento più motivazioni per restare?

A giugno dell’anno scorso quando andai via da qui ero molto triste. Piansi. Il cielo era grigio e cadevano goccioloni di pioggia sporca, ad accentuare la malinco-noia di quel giorno.

Oggi, invece, per citare dei filosofi metropolitani di cui allego video didattico, Dal cielo mi cadono le palle e i pantaloni si son rotti (!!):

Non è che il palestrato riverente si alleni facendo le genuflessioni

Forse mi iscrivo in palestra.

Mi sorprendo da solo mentre me lo dico e lo scrivo.
Non sono mai stato in vita mia in un posto simile. Non so manco cosa ci sia in una palestra e cosa si faccia. Nella mia immaginazione la gente va a bersi il Gatorade.

C’è una palestra a cento metri da casa mia. Forse domani entro per chiedere informazioni.

Il percorso di avvicinamento ad essa l’ho preso molto alla larga. Allo stesso modo in cui mi approccio a una donna.

Sabato l’ho notata. In realtà sapevo della sua esistenza da quando mi sono trasferito in questa zona, ma non l’avevo mai considerata fino alla settimana scorsa. Ho iniziato a cercare informazioni su di lei sui social. Stamattina ci sono passato davanti osservandola più a lungo. Domani, come dicevo, tenterò un primo informale approccio per vedere come va e se ci sono margini per una frequentazione da parte mia.

Qui a Budapest il fitness va molto. Almeno a giudicare dalla quantità di uomini che girano in t-shirt anche a gennaio, con le braccia larghe e tese tipo Robocop. Forse fanno la ceretta alle ascelle e dopo spruzzano un deodorante troppo alcolico e hanno dei bruciori.

Inoltre hanno una forma strana, gonfi e impettiti verso la parte alta con una testolina minuscola e ristretti verso il basso con due gambe sottili.

Un tipico palestrato ungherese

Più che per la forma fisica – la mia disciplina sportiva, il lancio dei coriandoli, non tollera eccessi di muscolatura – è per occupare il tempo libero. I miei appuntamenti con lo storytelling in spagnolo sono purtroppo cessati. Il narratore, un messicano, è stato rispedito in patria per fornire un contribuente in più cui esigere il conto del muro di Trump.

Non che se al ballerino scarso il pubblico tira pomodori lui poi improvvisi una salsa

In settimana sono stato a una lezione di prova di tango.
Lungi da me avere ambizioni da ballerino. Più che un tanguero al massimo potrei esser un tanghero.

CR aveva bisogno di un partner e il buon GG si era reso uccel di bosco per questa settimana. Ho accettato di far da sostituto a patto di considerarlo un episodio unico ed estemporaneo. E poi le dovevo un favore, giusto la settimana precedente sono stato via dall’ufficio e in quei 5 giorni si è materializzata una mole notevole di grane.

Inoltre nella vita bisogna pur provare cose nuove. Come quella volta che volevo farmi la besciamella ma avevo in casa solo latte di riso alla vaniglia. L’ho preparata lo stesso. Mi ha provocato schifo&disgusto ma ho provato: e ora so che non riproverò.

Il corso era immediatamente dopo l’orario d’ufficio. La mattina, dimenticando che fosse quello il giorno, mi sono presentato in jeans e anfibi con suola carrarmato. Tanto per stare comodi e accentuare le mie movenze fluide.

Le lezioni erano tenute da una coppia. Lui argentino – ovviamente – asciutto ma col profilo vagamente scimmiesco. Lei ungherese, dal fisico flessuoso come un’anaconda.

In materia di ballo sono ignorante come uno che ignora.

Ad esempio ignoravo che dietro la schiena della partner si ponesse la mano destra. Io volevo partire con la sinistra, perché mi ci trovavo meglio. Il maestro argentino ha detto che da che mondo è mondo si usa la destra. La cosa – ha aggiunto lui – tra origine dall’usanza in altri tempi di portar la spada e quindi dall’esigenza di avere la mano destra pronta a estrarre.


Da qui la famosa frase: Porti una spada o sei solo contento di vedermi?.


Ho scoperto poi che le mie doti di coordinazione sono messe peggio di quanto ricordassi. Ero capace di andare fuori tempo di tre battute ogni due. Il maestro argentino mi guardava chiedendosi come fosse possibile.

Essendo io un tipo maldestro e temendo poi che con le mie delicate calzature finissi per mandare CR all’ospedale con un piede amputato, quando si trattava di danzare avanzando io allargavo di lato la falcata, invece. Con passi simili e fuori tempo a un certo punto penso di aver trasformato il tango in un valzer. Il maestro argentino era sempre più incredulo e ammirato.

Non immaginavo fosse attività così faticosa. Ho sudato in maniera invereconda, fino alla punta delle dita. Ero diventato così scivoloso che la CR mi stava sfuggendo dalle mani per finire contro al muro.

Sarei però poco onesto se non dicessi che, alla fine, mi sono anche un po’ divertito.

Ma, citando David Foster Wallace, è Una cosa divertente che non farò mai più.

Non è che un avvocato prenda un antiemetico contro il rigetto del ricorso


Per l’argomento trattato, questo post potrebbe dare il voltastomaco.


Un giovane ungherese medio – o da dito medio – vive il proprio weekend in questo modo: alle 21 è già ubriaco. Alle 22 si aggira per le strade in versione morto vivente. Alle 23 comincia a vomitare. Alle 24 in genere ricomincia a bere.

Il vomito non è fonte di imbarazzo e chi è colto da malessere non cercherà un posto appartato per liberare il proprio stomaco. Vero è che quando parte il conato – e anche il cognato e tutto il parentado – c’è poco da fare, ma il giovane di qui si libera senza remore dove gli capita. Occorre prestare quindi massima attenzione a possibili e improvvisi bombardamenti liquidi.

Se sei di sesso maschile – ma a volte anche di sesso femminile va bene – capita che qualche ragazza ubriaca ti cada addosso. I giovani di qui si accoppiano infatti in questo modo, si cadono addosso a vicenda attendendo che, come in una reazione atomica, lo scontro abbia degli effetti.

Un attimo dopo averla allontanata da te e rimessa in piedi alla bell’e meglio, vedrai la fanciulla cadente rigettare anche l’anima o qualsiasi cosa serbi nel suo intimo (che di sicuro comunque non è Chilly).

Allora realizzi che ti aveva preso per un cesso.

Diario di una Pest – Viaggio

Per dare un senso alla mia presenza in Ungheria e offrire un servizio pubblico (e non pubico, cioè un servizio del c.), vorrei inserire nel blog una rubrica con alcune informazioni utili per chi, per svago, lavoro o traffici illeciti volesse recarsi a Budapest. Comincerei, in modo banale, dalle informazioni sui trasporti.


Le seguenti informazioni sono aggiornate a febbraio 2017.

Voli
Le compagnie low cost che collegano l’Italia a Budapest sono due:

  • La Ryanair con voli da/per Bergamo (Orio al Serio), Pisa e Roma (Ciampino);
  • La W!zz Air, compagnia di bandiera ungherese, con voli da/per Catania, Lamezia Terme, Bari, Napoli, Roma (Fiumicino), Bologna e Milano (Malpensa).

Se poi vi sentite mossi da spirito nazionalista – visto che è lì lì per fallire  – potreste sborsare dai 120 ai 200 bigliettoni per un volo con Alitalia, per viaggiare come su una low cost ma con in omaggio un panino di plastica come snack gratuito. Potete mangiarlo o pastrugnarlo con le mani per rinforzare i muscoli.

W!zz Air
La W!zz fa pagare qualsiasi upgrade. Deve probabilmente ancora finire di rimborsare i geniali ideatori del logo col punto esclamativo ed Elton John per i diritti sulla livrea viola e fuxia.

Il bagaglio a mano piccolo – per intenderci, quello che riesce a entrare sotto il sedile – è gratis, quello più grande (56X45X25 CM) costa:

  • 18 euro se acquistato con la prenotazione
  • 20 euro se acquistato dopo la prenotazione
  • 35 euro in aeroporto
  • 1 anno di carcere se lo tirate addosso alla hostess per frustrazione.

Io seleziono sempre il bagaglio a mano piccolo (42X32X25 CM) e poi contestualmente acquisto l’imbarco prioritario (5 euro), che dà diritto a portare un ulteriore collo con sé, dalle dimensioni massime di 40X30X18 CM. Come collo aggiuntivo porto con me la borsa del portatile e la riempio di roba. In pratica complessivamente è come se portassi il bagaglio di un trolley, ma a un prezzo inferiore.


Non so se la mia strategia abbia una falla o meno – nel caso non l’ho ancora individuata -, però mi ci son trovato bene.


Non dimenticate di fare il check in online.

Mezzi alternativi
Esiste un comodo (!) autobus notturno della Baltour che fa Firenze (h 17:00)-Bologna (19:00)-Padova(20:45)-Venezia(21:20)-Trieste(00:15)-Città sconosciuta ungherese-Altra città sconosciuta ungherese-Budapest (8:00 del giorno seguente). Attenzione alla posizione in cui vi addormentate. Non è bello portarsi via un bracciolo dei sedili perché vi è rimasto incastrato nello sterno.

L’aeroporto
Volando con una low cost, a Budapest vi verrà riservata l’area poveracci. Infatti i gate dal 12 al 19 dell’aeroporto di Ferihegy sono disposti in un capannone di lamiera, cui si accede tramite una passeggiata in mezzo a un percorso di ferro che sembra quello di un mattatoio.

Una volta atterrati, se siete fortunati troverete la navetta sotto l’aereo, altrimenti, come è successo a me una volta, vi farete una passeggiata di qualche centinaio di metri al freddo e al gelo fino all’uscita.

Arrivare in centro
Usciti dall’aeroporto – è molto piccolo – a sinistra troverete la zona taxi. Si prenota al chioschetto, dove vi daranno il numero del vostro mezzo. Una corsa in centro costa in genere tra i 20 e i 25 euro. Il viaggio dura una ventina di minuti. I tassisti non sanno l’inglese o lo sanno molto poco. Il prezzo della corsa sanno scandirlo benissimo però.

A destra, invece, più avanti c’è la fermata del 200E, l’autobus che fa il tragitto Aeroporto – Kobanya Kispest (kobània kishpèst), capolinea della metro 3 (la linea blu) che arriva fino in centro. In genere i turisti che alloggiano in centro scendono a Deak Ferenc Ter (dèak fèrenz ter), dove si incrociano metro 3, 2 (la rossa) e 1 (gialla), senza contare poi tutti gli autobus che passano di lì. Per arrivare occorrono in media una 40ina di minuti e un centinaio di bestemmie contro quelli che sull’autobus sono d’intralcio perché non scorrono in fondo.

Se la metro è chiusa bisogna scendere prima, ad Határ e prendere un bus notturno.

Il biglietto si acquista alla macchina automatica presente alla fermata.  Accetta anche carte. Conviene comprare direttamente un abbonamento, che è valido per tutti i mezzi. Il listino prezzi è consultabile qui.


La BKK, la società che gestisce i trasporti, ha anche una app per cellulari (in inglese) con cui è possibile controllare orari dei mezzi e programmare spostamenti: ad esempio è utile per andare da un punto all’altro conoscere i mezzi da prendere e la durata del viaggio.


Esiste poi il minibus della W!zz Air, che con 5 euro fa il tragitto Aeroporto – Deak e con 10 euro Aeroporto – Luogo dove alloggiate. Si prenota online. È comodo quando si arriva di sera tardi (l’ultima corsa della metro parte alle 23:30 dal capolinea) o quando al ritorno c’è da prendere l’aereo molto presto al mattino (la prima corsa parte alle 4:30).

È inutile fare le corse per raggiungere il minibus – si prende nell’area parcheggi andando a sinistra dell’uscita dell’aeroporto. Il bus si piazza di fronte la macchinetta per il pagamento della sosta -, tanto parte a orari fissi. Se tutti i passeggeri prenotati sono già a bordo, parte anche prima. Altrimenti bestemmierete perché voi siete lì da mezz’ora e state attendendo due imbecilli che si presentano con molto comodo.

Post in aggiornamento

Non è che chi fabbrica imballaggi non veda l’ora di togliersi dalle scatole

Non ho scelto io di essere un gatto. Ma ricordo quando è stato il momento in cui lo sono diventato.

Fin da piccolo sono stato circondato dai felini. I miei genitori mi avevano insegnato che ci si lava le mani dopo aver toccato un gatto e io avevo sviluppato una sorta di fobia igienista. Dopo aver toccato un micio non accostavo le mani a nient’altro prima di averle lavate, pensando che ci fosse un qualche effetto collaterale legato al pelo.

Una sera, dopo aver giocato con un gatto, feci merenda senza lavarmi le mani. Il mio spuntino consisteva in un paio di fette di pane col pomodoro. Ancora oggi considero del pane col pomodoro, un po’ d’aglio, origano e olio, il miglior spezzafame di questo mondo. Con buona pace dei mulini non colorati.

Mi resi conto a metà del pasto che non mi ero lavato le mani. Ormai il danno era fatto, così continuai a mangiare. Mi aspettai però, in seguito, terribili conseguenze per aver maneggiato del cibo seppur io fossi contaminato dal contatto con l’animale.

E, difatti, mi sono in breve tempo trasformato in un felino anche io.

Una delle cose che condivido con loro è l’esigenza di sentirsi contenuti. Al gatto piace stare nelle scatole. Perché è un animale predatore e un contenitore è un ottimo posto dove acquattarsi in vista di un agguato. Ma è anche perché le scatole offrono un rifugio sicuro e riparato dove sentirsi tranquilli. Il gatto è un animale che soffre molto lo stress e ha bisogno di zone comfort (si veda anche: Perché ai gatti piacciono tanto le scatole? ).

Anche a me piace ritagliarmi bolle di sicurezza così rigide da essere solide come degli scatoloni.

L’altra sera cercavo un posto dove guardare la partita di calcio. Sono andato in una pizzeria di Király utca dove ero già stato, in cui il capo/pizzaiolo è un algerino che ha imparato il mestiere a Napoli. Se gli dici “sasicce e friarielli” lui capisce al volo e ti batte il cinque.

Ho chiesto a una delle cameriere se ci fosse un posto libero per quella sera. Ho spiegato che avevo provato a contattarli tramite il sito ma non sapevo se avessero mai ricevuto la richiesta.

– Per quante persone?
– Solo io
– Oh

L’ho accennato in passato. Una delle particolarità degli ungheresi è quella del Oh, accompagnato da un’espressione del viso mista tra stupore e apprensione. Come se tu dicessi “Oddio mi sento male e sto per vomitare”. Oh.

Chiedi di spiegarti in inglese quel che ti hanno detto. Oh.

Chiedi di poter restituire un oggetto. Oh.

Chiedi di poter vedere la partita. Oh.

Dopo aver oheggiato, la cameriera mi ha risposto dicendo di dover chiedere al capo conferma sulla partita. Piccolo particolare: ogni santissima partita del Napoli viene trasmessa in quel locale, dato che il capo è un Azzurro convinto e le pareti sono decorate da bandieroni e sciarpe. E la cameriera non può non saperlo, visto che è un anno almeno che lavora lì.

Ma un’altra particolarità degli ungheresi è quella di rendere tutto sempre farraginoso e schematico, come se fosse una richiesta di visura catastale.

Alla fine la partita comunque l’ho vista, seduto a un tavolino laterale attaccato al bancone, che mi sovrastava in altezza. Mi sentivo protetto e a mio agio e fuori dalla vista altrui. Di solito sono abituato a far cose da solo ma non mi sono mai abituato all’idea di essere osservato. Non mi piace, anche se magari nessuno mi sta osservando, in realtà. È il cosiddetto “effetto riflettore”,  che già avevo accennato qui. Ho bisogno quindi di una mia “scatola” da dove poter guardare il mondo.

Ho poi scambiato qualche commento con un distinto signore bolognese, seduto al tavolo di fianco. Senza che io gli avessi chiesto nulla, dal calcio è passato a raccontarmi di sua figlia 13enne nata qui a Budapest che, da buona nativa digitale, lo sovrasta nella tecnologia, anche se poi ha un nipote che è laureato in informatica e fa assistenza IT per le Poste, ci ha messo poco a laurearsi non come un altro suo figlio che a trent’anni se la prende comoda anche se sta studiando Economia che è difficile.

Oh.
Ho fatto io.

Devo aver toccato un ungherese che mi ha trasmesso l’Ohite.


E comunque ai vostri figli fate toccare liberamente i gatti.


Non è che l’eremita estetista sia solito depilare l’asceta


PREMESSA NON FUNZIONALE AL POST
La nuova impostazione grafica del lettore di WordPress è orribile.


Di come ho sfigurato davanti al Maestro.

Durante la cena di celebrazione del Zèzo, mentre assaporavo la mia zuppa di patate e funghi l’attenzione degli altri gentiluomini par mio presenti al tavolo è stata attirata da un’altra patata.

– Secondo me è ungherese

Ha affermato il Zèzo.
Io ho alzato la testa per rispondere che, sì, la mia zuppa era proprio ungherese. Lo si poteva facilmente intuire dalla quantità di aglio. Insieme alla cipolla, è sempre presente in qualsiasi piatto. Forse anche nelle bevande, a vostra insaputa.

Poi mi sono accorto che guardavano tutti alla mia destra. Non erano quindi interessati alla mia zuppa ma a una ragazza che, al tavolo di fianco, cenava sola.

È noto che una donna sola in un luogo pubblico attiri l’attenzione, anzi, le donne girano di proposito da sole per attirare l’attenzione, anzi, le donne nascono donne per attirare l’attenzione.

Anche la mia attenzione è stata attirata da costei.
In primo luogo perché era a braccia scoperte e l’ho invidiata tanto.

Io, anche d’inverno, tendo a soffrire il caldo nei luoghi chiusi e starei sempre a mezze maniche. In ufficio, quando non mi presento in t-shirt, arrotolo le maniche della camicia tante volte sino a bloccarmi la circolazione negli avambracci. Quando diventano cianotici mi rendo conto di aver esagerato.

Eppure, alla cena, per darmi una parvenza di rispettabilità avevo una camicia coi polsini addirittura abbottonati. Soffrivo molto.


La camicia era ovviamente a quadrettini, perché l’uomo rispettabile è un tipo quadrato.


La seconda cosa che mi ha colpito della ragazza è sempre correlata alle sue braccia. Quando le ha alzate, ho notato il folto pelo delle sue ascelle che neanche Chewbacca.

Qualcuno inorridirà.
Io non ci trovo nulla di scandaloso.
È spaventoso un pelo nella zuppa, semmai, solo che i poteri forti distolgono la nostra attenzione verso presunti altri problemi per non far notare il pelo nel piatto.

Seguendo i consigli del Zèzo, uno dei presenti ha conversato un po’ con la ragazza. Il Maestro ha poi suggerito di chiederle il numero per invitarla a uscire il giorno successivo.

Il discepolo cui era rivolto il suggerimento ha declinato, dicendo di non sentirsela e invitando me invece a farlo:
– Fallo tu, dai

Accompagnando le parole con un ampio gesto della mano a indicare magnamini…magnamnit…magnamimini…grande generosità.


Ché poi, quando si descrive, se un gesto della mano non è ampio non è rilevante, un po’ come quando uno che parla deve schioccar la lingua per forza.


Al che ho replicato

– Non voglio e non posso. Inoltre, bisognerebbe vedere se lei è d’accordo
– Eeeh! (tutti in coro)
da intendersi come un “ma che dici”.

Il Maestro Zèzo ha anche aggiunto:
– Se fossi stato io…Mannaggia, qua ci stanno le figlie mie, non posso proprio fare niente…una volta c’era una in… (aneddoto storico sulle avventure del Maestro Zèzo a caso, in chiusura di ogni suo discorso ).

A casa ho poi riflettuto e ho dovuto ammettere di essermi meritato la sua riprovazione.

Mica quando avevo ordinato la zuppa di patate la cameriera ha detto “Bisogna vedere se la patata è d’accordo?”.

Purtroppo il Maestro domani parte e chissà quando avrò ancora occasione di seder al desco con lui.

Non è che un pittore vada in discoteca perché ha un periodo cubista

Oggi la Castora, dopo che in un meeting precedente aveva spronato a produrre di più, ha detto più volte che dobbiamo “push! push! push!” e io su questa cosa di spingere ho continuato a vederci metafore defecatorie, sarà perché forse non sono mai uscito da quella che Freud definiva fase anale o perché ormai lei la vivo come un dito nel sedere.


Quindi comunque torniamo sempre in quella fase.


Non è stato un buon inizio settimana.
Forse il contrappasso per essermi alzato dal letto stamattina in stato d’animo positivo, dopo il fine settimana. L’allegria è cosa vietata dalla Risoluzione ONU 132454, che prescrive che il lunedì l’umore debba invece avere le sfumature degli scarichi di un bagno chimico dopo un concerto dei Meshuggah.

Durante il week end sono andato a far visita alla Trallallà.


Avrei scritto “Sono andato a trovarla”, ma non si era persa.


Ho fatto il viaggio più lungo che ho fatto sinora in vita mia: 12 ore di autobus, partito il venerdì sera da Nepliget – l’autostazione di Budapest – e arrivato il giorno dopo.
Ho dormito a tratti, sempre cercando di trovare la miglior posizione per dormire in un autobus. Dicono che non esista ma io invece ci credo. Spero nelle prossime occasioni di trovarla prima di trasformarmi in un quadro di Picasso, periodo cubista.

Non ricordo molto del viaggio, a parte che quando aprivo gli occhi e guardavo fuori mi sembrava di stare sempre nello stesso posto e, inoltre, due ragazzi ungheresi che avevo alle spalle non facevano altro che divorare snack. Hanno cominciato con le patatine a Budapest e poi molti chilometri dopo hanno concluso con dei sandwich che dovevano contenere dei peperoni, a giudicare dall’odore che spandevano.

A bordo c’era un musicista di strada croato con passaporto ungherese e che parlava italiano che amava far conversazione. L’ho visto attaccar bottone alla partenza con un italiano che aspettava l’autobus accanto a me. Ho subodorato subito che il musicista fosse di quelli appassionati di sartoria, nel senso che attaccava pezze. Mi sono allora allontanato fingendo di aver visto tra la nebbia un lampione che avevo già incontrato a Monaco di Baviera nel 2012.

Ogni volta che aprivo gli occhi, oltre al paesaggio uguale e i due mangioni dietro, udivo il musicista ciarlare.

Poi a un certo punto mi sono svegliato e lui non c’era più. Forse l’avranno ucciso e dato in pasto ai due dietro di me.

Poi non mi ricordo più null’altro, il tempo è trascorso veloce. Ricordo poi di aver aperto gli occhi e c’era la Trallallà seduta sul letto che mi chiedeva di allungarle le mie pantofole per andare in bagno.

Allora ho pensato che tutti abbiano diritto ad avere chi presta loro le pantofole per andare in bagno e il pensiero di aver potuto compiere quest’atto mi ha fatto riaddormentare felice.

Non è che lo psicologo bracconiere sia un cacciatore di Freud

È da un po’ che non fornisco aggiornamenti su CR e i suoi ambigui riferimenti sessuali. Mentre pensavo che finalmente si fosse resa conto di dover riflettere prima di parlare, ne ha tirata fuori un’altra. Stavolta, c’è un colpo di scena.

Ho portato con me dall’Italia dei taralli del beneventano, di quelli fatti con acqua, lievito, olio e farina. Molto semplici. Ho pensato di condividerli con il resto dell’ufficio.

La zona ungherese li guardava con perplessità. Vi si sono avvicinati cauti come dei gatti cui hai messo davanti sul pavimento un tappo di bottiglia. Aranka Mekkanica ne ha toccato uno con la mano prima di ritrarsi indietro e tornare accucciata alla propria postazione.

BB (non Brigitte Bardot) mi ha chiesto come fossero fatti. Quando le ho detto gli ingredienti, lei, con un’alzata di spalle, ha esclamato “Ah! Come il Lángos!”.


Il lángos è una cosa tipica ungherese, una specie di frittella su cui poi si può mettere di tutto a piacimento, uova, formaggio, salsiccia, prosciutto, funghi, buoi muschiati, immigrati cui Orbán dà la caccia e così via.


Povera illusa! Non hai capito nulla.

Com’è come non è, una busta da mezzo kg è sparita in una giornata.

CR invece, reduce da un viaggetto, mi ha portato un simpatico segnalibro.

Quando l’ho ringraziata, ha replicato

– Sì, Gin, però nessun segnalibro potrà mai compensare il tuo tarallo! Il tuo tarallo mi ha fatta proprio arrecriare!


Dicesi arrecriarsi, in napoletano, trarre grande soddisfazione. È tradotto in genere con divertirsi, ma non lo trovo completamente corretto. Ci si può arrecriare anche di un bel piatto di spaghetti, ad esempio. Mentre in italiano non si dirà mai Questi spaghetti che mi hai cucinato mi hanno proprio divertito!. L’accezione corretta, a mio avviso, è quindi appunto quella di trarre grande soddisfazione, che può essere fisica o anche morale.


Poi, il colpo di scena:

– Specifichiamo, mi riferisco ai taralli nella busta! Se qualcuno ci sentisse chissà che penserebbe, meno male non capiscono l’italiano qui!

E, quindi, dopo un anno, ha finalmente cominciato a realizzare che involontariamente lei infili doppi sensi a raffica nelle proprie frasi.

A meno che non ci sia qualche influsso freudiano in queste sue gaffe: cosa che ho iniziato a sospettare dopo che, davanti a un tè, mi ha confessato che nel suo rapporto con il buon G., per quanto si trovi bene sentimentalmente, senta la mancanza di un po’ di “pepe”, laddove con il suo ex anche se era tutto un disastro dal punto di vista sentimentale di pepe pare ce ne fosse molto.

E detto ciò poi ha tirato fuori dalla tasca un tarallo che si era portata via dall’ufficio e se l’è inghiottito in un boccone.

In tutto questo non riesco più a guardare in faccia il buon G. sapendo ora le cose che so.

Forse dovevo portare più taralli.