Ieri una persona che è presente tra i miei contatti Facebook ha scritto: Tizia sta guardando dei quadri al Noto museo d’arte di Nota città dove girano serie tv e catastrofi varie.
“Guardando dei quadri”.
Ho continuato a tornarci sopra col pensiero di tanto in tanto, chiedendomi cosa ci fosse che per me non andasse in quell’enunciato.
Da un punto di vista logico è ineccepibile: in un museo d’arte cosa si fa, se non guardare dei quadri?
Io ci vado anche perché sono silenziosi. Quando non ci sono visite guidate.
Perché infatti non si potrebbe dire che in un museo guardi dei quadri? Chi non è presente non lo sa che tu guardi i quadri. Eppure una persona non esclama mai “Oh figa, andiamo a guardare dei quadri in un museo”, allo stesso modo in cui dice “Andiamo a mangiare una pizza”.
Non sto paragonando i quadri a una pizza, per quanto qualche opera mi annoi e io la ritenga una pizza, ma non lo dico perché non ne capisco di arte.
L’arte per me si suddivide infatti in “bella arte” e “arte che per mie limitate conoscenze non comprendo”, in questo modo non urto la sensibilità di nessuno se dico che qualcosa non suscita il mio entusiasmo.
Quindi l’enunciato della mia conoscente è corretto, seppur poco utilizzato dalla gente comune.
È come dire: guardo dei libri in una biblioteca. Guardo delle case diroccate a Pompei. Guardo una torre di ferro a Parigi. Guardo una enorme basilica a Roma. E potrei andare avanti per ore ma stasera ho da fare delle cose.
Allora in un mondo che si rinchiude sempre più nel particolarismo e alza barriere ed esce dall’Europa e sbaglia i calci di rigore in maniera originale, io dico ben venga un barlume di generalismo a riportarci in una dimensione più distaccata.
Guardate dei quadri, gente! Guardate dei quadri dipinti, dei quadri elettrici, dei quadri svedesi. E delle camicie a quadri, ovviamente.
Della gente che guarda dei quadri. E a me piace guardare della gente che guarda dei quadri.
La processione di zombie che tutte le mattine si spostano per andare al lavoro.
I senzatetto che dormono nei sottopassaggi, nelle stazioni o che si aggirano come spettri tra la folla distaccata.
Le chiazze di vomito vivido sull’asfalto.
Il cagnetto da portare a spasso la domenica, rigorosamente un Maltese bianco perché is the new Yorkshire.
Ubriachi diurni e ubriachi notturni che cantano o si abbracciano o cantano abbracciandosi.
Un tenore asiatico che una volta alla settimana intona Pavarotti a Nyugati.
Gruppi di ragazze possenti come Valchirie che nei locali cercano prede forse per sacrifici umani.
Gruppi di maschi-betabloccati che, spaventati dalle Valchirie, cercano ragazze isolate da agganciare.
Più osservo e più vedo deformazioni urbane grottesche.
Vagamente lynchiane.
Non so se sono miei incubi da dissociazione o sintomi da carenza di vitamine ma le sensazioni che mi dà questa città mi richiamano alla mente un set di un film inquietante e nonsense.
Uno di quelli da circolo culturale ristretto e impegnato (al Monte di Pietà per pagare l’affitto).
Ho un rapporto ondivago con il cinema.
Il giorno prima guardo l’ultimo film Marvel, il giorno dopo l’ultimo lavoro di un regista iraniano perseguitato dal governo che ha girato tutto in primo piano con una telecamera su un taxi.
Taxi di Jafar Panahi. Che consiglio di vedere.
Il cinema di intrattenimento è un servizio reso allo spettatore tramite un atto di acquisto.
Io compro un biglietto e in cambio mi forniscono un prodotto già pronto e confezionato per essere il più adatto alle mie esigenze. Potremmo definirlo un sogno pilotato e proiettato su schermo. Non a caso non è raro – anzi è considerata una delle magie del cinema – immedesimarsi negli attori sullo schermo.
Invece il motto del regista di documentari è: Non vendiamo sogni ma solidi real-time.
Che si tratti di un prodotto standardizzato, a prescindere dal genere, è intuibile in modo molto semplice: un film commerciale segue uno schema prestabilito nel proprio svolgimento. All’incirca 15-20 minuti dopo l’inizio c’è un colpo di scena che rompe la condizione preesistente. Il resto del film sarà un eterno inseguimento e un susseguirsi di eventi per tornare a quella condizione di equilibrio (non necessariamente la stessa, anzi nella maggior parte dei casi sarà un equilibrio a condizioni più vantaggiose); a 20 minuti dalla fine ci sarà un altro colpo di scena, risolutivo: a volte tale punto di rottura è volutamente un fake perché, quando si pensa che il film sia terminato, a 5 minuti dalla fine ci sarà un contro-colpo di scena definitivo.
Nei film impegnati o d’autore che dir si voglia, invece, tale schema non c’è. Delle volte è del tutto assente una struttura narrativa. Una simile opera si sposta dal piano dell’intrattenimento a quello filosofico/estetico. La visione può risultare più faticosa perché allo spettatore è richiesto un ruolo attivo. In quel momento non sto più pagando per vivere un sogno preconfenzionato ma per partecipare al film con un lavoro interpretativo.
Esistono anche film come quelli di Lynch (tipo Inland Empire) dove ci si può lambiccarsi quanto si vuole ma una vera interpretazione secondo me non c’è perché esiste soltanto nella mente di David Lynch.
Beninteso, la suddivisione non è sempre così netta tra le due fattispecie di cinema. Esistono registi che seguono una terza via cinematografica. Alcuni esempi tra questi possono essere Iñárritu, Anderson, Sorrentino, Malick.
Di Paolo Sorrentino penso che sia diventato un onanista cinematografico seriale.
Lo dico sottovoce perché è entrato a far parte di quella schiera di argomenti quali religione, movimentismo politico, abitudini alimentari, calcio, per le quali una voce contraria risveglia ancestrali e aggressivi istinti nell’interlocutore¹.
¹ Perché la gente è sempre così irascibile come se gli stessero defecando nel salotto?
Sorrentino è bravissimo nel dipingere dei quadri con la macchina da presa. Ma si pasce e si compiace di questo senso artistico vendendo secondo me un mappazzone ben confezionato.
Il Golfo di Napoli.
Un elefante indiano cieco.
Un attore ritiratosi a vita privata.
Una donna nuda stesa in mezzo a un prato con delle giunchiglie in fiore.
Cucite il tutto ed ecco un possibile nuovo film di Sorrentino.
Un altro che ho visto ammalato di Sorrentinite è Malick (The Tree of Life), anche se confesso di non aver visto altro dopo To the Wonder con Ben Afflitt.
In realtà poi sarebbe il contario: è Sorrentino che registicamente è rimasto ammalickiato.
Iñárritu invece secondo me ci ha presi tutti per i fondelli.
Produce film commerciali vestiti da film d’autore o film d’autore vestiti da film commerciale. Non ho ancora deciso.
Anche se io non sono nessuno per decidere e parlo a titolo del tutto personale di catalogatore compulsivo.
Dopo un anno ho rivisto le mie impressioni su Birdman. All’epoca ero entusiasta, un’opera di sintesi cinematografica, raccordo tra film d’autore e d’intrattenimento. Un film sul cinema che parla di cinema, metateatro a celluloide dilagante.
E dopo però mi chiedo: un film girato in finto piano sequenza unico, è sintesi, è arte, è citazione o soltanto una presa per il sedere?
Un piano sequenza superlativo nel suo tratto artistico secondo me è ad esempio questo qui
Degli esempi di terza via che ho citato, Wes Anderson è secondo me il più particolare. I suoi film oscillano di continuo tra reale e surreale ed è proprio questa ambivalenza, come se fosse un luna park le cui giostre cambiano mentre ci sei sopra, a rendere il suo cinema tanto interessante.
E poi non posso non apprezzare uno che ha un gusto compulsivo per la simmetria
Tutto quello che ho detto sinora nasce dal fatto che vorrei vedere un film (sto andando in overdose da serie tv ultimamente e dopo aver finito House of Cards 4 è arrivato Daredevil stagione 2) ma non so su cosa rivolgermi.
Ho tentato tre volte di guardare Il gusto del sake di Yasujiro Ozu altamente consigliato da tanti intenditori e comprendimucche ma non ci riesco perché mi stanco. Forse alle 23 di sera non va bene, ma è l’unico momento che ho a disposizione. E neanche la domenica pomeriggio è indicato, dopo gli gnocchi di patate al forno con la bolognese.
Ma se il ragù l’ho preparato con macinato di manzo locale, è sempre bolognese o è una ungherese?
Sottotitolo: non è che il Faraone fedele abbia una dieta poco varia perché vuol solo la Faraona.
Ho deciso di inaugurare un talk show virtuale a periodicità casuale e che forse avrà solo questa puntata, dedicato alle interviste.
Il primo ospite è un personaggio che non saprei come introdurre: artista? Creativo? Faraone? Me lo son fatto dire direttamente da lui:
G: Chi è ysingrinus?
Y: «Ysingrinus è un semplice Faraone di periferia come chiunque altro, se solo esistessero altri Faraoni. Un genio misconosciuto che sostiene di essere un genio misconosciuto».
G: Non trovi che nella società odierna ci sia un abuso nell’utilizzo dell’etichetta di genio? Non temi il rischio di venir sottostimato a causa dell’aggettivo ormai così inflazionato?
Y: «C’è ovviamente un’insopportabile inflazione. Il desiderio di ridurre ed etichettare è una piaga della cultura di massa. Credo anche ci sia un desiderio di riconoscimento: ci vuole un genio per riconoscerne un altro. Per questo non accetto tale etichetta, se mi fai un complimento lo fai a me, non lo fai anche a te, un po’ di rispetto ed ordine!
Specifico, anche se non ce ne sarebbe bisogno, che definirsi in qualche modo genio non equivale ad etichettarsi, ovviamente»
G: La critica ragionata alla cultura di massa è un tema che ricorre nei tuoi post, non ultimo ad esempio quello su un noto cantante che si fa chiamare Fedez. Credi che l’esser Faraone di periferia abbia influito sullo sviluppo del tuo spirito osservatore e critico?
Y: «Credo di sí, perché vivendo in periferia ho avuto modo di frequentare ed osservare molte situazioni particolari, da un punto di vista privilegiato, essendo io Faraone. Ho avuto modo di mescolarmi tra la folla e di essere stato punto di riferimento per determinati contesti riconoscibili dalla massa.
Non apprezzo questi fenomeni commerciali perché ingannano e impediscono lo sviluppo della massa, per questo ne parlo molto».
G: Quindi non sei contro la massa a prescindere, ma contro un suo sviluppo amorfo e distorto.
Y: «Nella maniera piú assoluta. Io vivo nella massa, faccio parte della massa. Odio lo sviluppo amorfo e distorto, come lo chiami tu. La massa supporta gli artisti e le menti brillanti, ma se viene educata male, i brillanti e gli artisti faranno piú fatica ad essere riconosciuti e supportati e conseguentemente sarà per loro piú difficile migliorare il mondo»
G: La tua arte veicola quindi messaggi educativi per il pubblico?
Y: «È una domanda semplice che richiede una risposta complessa. Per ora posso dirti che non mi arrogo la volontà di educare, penso però di poter dare un’idea alternativa, sicuramente non visibile ai piú, ma solo a chi può essere interessato a vedere. C’è altro, questo è quello che dico. Non è necessariamente bello o piacevole, ma esiste».
G: Ed Euro Top come la vede, invece?…Qualcuno dice che siate la stessa persona, un alter ego per rappresentare istinti più primordiali!
Y: «Euro Top chiaramente non sono io, non è un mio alter ego. È però il desiderio di rappresentare gli istinti piú bassi, o migliori della vita, quello che spinge Euro Top a fare quello che fa».
G: Quale è il tuo rapporto invece con gli istinti più bassi o migliori della vita?
Y: «Molto sano. Vivo bene con me stesso»
G: Rimanendo in tema: la tua notorietà come artista e blogger credi abbia accresciuto, se mai fosse stato necessario, il tuo sex appeal?
Y: «Questo, mio malgrado, è stato inevitabile»
G: Se serve un aiuto per gestire la situazione….non conosco nessuno. I tuoi fan ti pressano di richieste (non sessuali, intendo. O forse sì)?
Y: «Questo mio corpaccione da Faraone ancora riesce a reggere i ritmi del successo. Vengo subissato sí, ma che vuoi farci? Questa è la fama!»
G: Come una popstar…a tal proposito: come accennavo, hai avuto di recente un dissidio – direi una querelle se io sapessi lo svedese – con Fedez. Ma quale è la musica che ascolta ysingrinus?
Y: «Con Fedez e con gli altri scrausi affabulatori, uso questo termine, anche impropriamente, perché Fedez non possa capire.
Ascolto una vasta gamma musicale che spazia piú o meno ovunque evitando fenomeni hip-hop e la cosiddetta musica “commerciale”. Ma è un argomento molto vasto che andrebbe approfondito in un altro momento»
G: Avremo altri momenti e anche qualche attimo e un secondo. Ultime due domande, le solite che, purtroppo, ti toccano (avverti se toccano troppo perché hanno già un’ordinanza restrittiva): hai progetti per il passato? C’è qualcosa che non vorresti dire al tuo pubblico?
Y: «Solo altre due domande?
Ho ovviamente dei progetti per il passato ed ovviamente, ancor di piú, ho diverse cose che non vorrei dire al mio pubblico!»
G: Fai il misterioso. Comunque ho mentito, c’è un’altra richiesta. Scegli un’immagine che ritieni rappresenti al meglio l’ysingrinus. E argomenta la scelta inserendo queste tre parole – non necessariamente in quest’ordine – nella risposta: carambola, simposio, tetraggine.
Y: «Una bella richiesta. Non esistono immagini fisse, posso dire quelle che mi piacciono di piú e conseguentemente quelle che ritengo a me piú affini. La tetraggine dei paesaggi notturni, come la “richiesta di notturno” che ho pubblicato qualche settimana fa, o il boschetto in bianco e nero piú recente. Mi farebbe piacere poter tenere un simposio sul mondo marino, alieno e no, cui sono strettamente legato, tanto che numerosi miei quadri e foto lo hanno come soggetto. Piú in generale direi che la mia persona si potrebbe descrivere in una carambola di paesaggi notturni o desolatamente diurni, marini e no»
Sono a corto di eventi curiosi da narrare, la cosa più interessante che ho fatto in questi due giorni è la visita di idoneità agonistica.
Non sono in genere ansioso durante le visite mediche ma ero preoccupato che uscisse fuori qualcosa che non andava. Può capitare quando l’ultimo ECG l’hai fatto 15 anni fa.
E dire che sono un sostenitore della medicina preventiva. Dal mio punto di vista il medico non è uno specialista da cui farsi visitare solo quando si sta male: beninteso, fare esami inutili non serve a niente ed è controproducente, ma ci sono alcune cose – come cuore, colesterolo, organi riproduttivi – che a mio avviso ogni tanto andrebbero controllate in via preventiva.
Da bambino, situazione abbastanza comune, avevo un soffio al cuore, sparito con la crescita.
Non avevo idea di cosa fosse: il cuore soffiava? Tipo i gatti? O c’era qualcuno che soffiava sul cuore (sembra il titolo di un romanzetto: Qualcuno soffiava sul suo cuore, il nuovo libro di Favio Bolo)?
Finché un giorno una dottoressa gentile non mi ha spiegato che cosa fosse.
Anche se quella del medico è una figura ‘neutra’, non collegata quindi a un sesso, nella mia vita ho riscontrato che i medici donna sono in genere più gentili e simpatici dei colleghi uomini.
L’altra caratteristica è che il mio muscolo cardiaco è un po’ più spostato a sinistra del normale. E non è una metafora politica per darmi del comunista.
Lo studio dove ho svolto la visita era alquanto lontano da dove abito, praticamente la parte opposta di Roma (non conoscendo nessuno avevo chiesto in Federazione di indicarmene uno. Ho chiesto alla persona sbagliata perché il coach invece ha poi indicato altri studi più vicini, con delle dottoresse, tra l’altro!). Ho trovato buffo attraversare la città con un vasetto della mia urina – mi era stato chiesto il campione – nella borsa. Ho temuto per tutto il tempo che si aprisse e si spargesse o che oppure a me venisse un colpo all’improvviso e le ultime cose che avrei avuto con me sarebbero state un libro di Michael Chabon (bellissimo) e un campione di urina.
Ho smesso di pensare al mio campione – campionissimo! – quando due signore hanno iniziato a battibeccare sull’autobus.
All’improvviso, infatti, si era diffuso sul mezzo un odore simile a quello dello spray insetticida per mosche, abbastanza fastidioso. Una delle due signore ha accusato un gruppo di turisti – tedeschi, credo – saliti in quel momento di aver sparso tale puzzo. Forse era una specie di amuchina o forse loro non c’entravano nulla.
Signora 1: Guarda questi, vengono in Italia e pensano che c’abbiamo le malattie, je facciamo schifo, si dovrebbero vergognare, che schifo
A essere sincero pure io ho paura di prendere malattie sui mezzi pubblici: credo vengano lavati all’interno solo quando piove approfittando del fatto che le guarnizioni dei finestrini perdono acqua.
Signora 2: eh ma Roma fa schifo, guardi, io me ne sono andata…
Signora 1: ma che cazzo c’azzecca Roma, c’avete sempre in bocca Roma Roma Roma, se non je piace se ne vada e non rompa i cojoni
Signora 2: ma non ce l’ho con Roma o i romani, ma lei è una stronza, dico è colpa di chi l’ha ridotta così, è colpa loro
Signora 1: macché loro, questi non so del Terzo Mondo, sono bianchi, parlano inglese, ma che cazzo dice
Veramente anche nel “Terzo Mondo” si parla inglese, Signora 1 forse lo ignora.
Signora 2: ma che cazzo ha capito, io parlo dei politici
Signora 1: eh e chi li ha votati, io no di certo, forse lei
Signora 2: e manco io, ma guarda questa
Insomma sono andate avanti così e io pensato che le città fanno schifo perché la gente è sempre rissosa e irascibile come delle bertucce.
Chiedo scusa alle bertucce per la battuta poco felice su di loro.
Allo studio sono arrivato in largo anticipo e ho potuto dare un’occhiata all’arredamento. In un post di qualche tempo fa mi sono soffermato a analizzare la bruttezza dei quadri delle sale d’aspetto degli studi dei medici generici.
Una categoria a parte è invece rappresentata dagli studi di dottori specializzati in chirurgia estetica: rimango sempre colpito dalla loro pacchianeria.
Non frequento studi di chirurgia estetica; capita, come in questo caso, che lo specialista che debbo vedere sia ospitato in tali ambienti.
Questa qui è la reception, molto sobria:
Ma nulla in confronto alla beltà e alla leggiadria di questa imitazione in plastica di una scultura di un torso di donna dalla tonalità rosso cremisi variegato, posta accanto al divanetto della sala d’attesa:
La visita è stata breve ma intensa. Il mio cuore è a posto. Almeno fisicamente. Quasi speravo vi trovasse qualche stranezza e la spiegasse. Ad esempio il perché diventi così rumoroso quando si tratta di donne.
Ricordo un episodio, quando feci preoccupare una ragazza. La stavo abbracciando da dietro – niente scene erotiche, era un abbraccio puro e Castro (essendo come detto il cuore spostato a sinistra); ci piacevamo ma era ancora quella fase di attesa della prima mossa. All’improvviso il mio cuore iniziò a martellare come un muratore bergamasco. Lei si staccò e si girò dicendo: Ma hai il batterista dei Nile nella giacca o sei solo contento di abbracciarmi?
Dato che forse li abbiamo presente solo io e Zeus, allego un file esemplificativo delle virtù musicali dei suddetti Nile:
Io credo di aver balbettato qualcosa e poi aver indicato un piccione morto per distrarla. Quando la riabbracciai lei poi mi disse: Ma mi fai preoccupare, non è che ti faccio venire un infarto?
Il cuore è strano. E poi ha questo vizio di fare scherzetti al cervello: sempre quando si tratta di ragazze, si diverte a premere sull’arteria che va verso il cranio cosicché la testa comincia a comportarsi in modo poco lucido per la mancanza di ossigeno.
Come si suol dire sempre: il cuore ha le sue minchiate che la ragione poi se ne sbatte.
Chiusa la parentesi cardiovascolare, sull’autobus del ritorno mi è capitato di cedere il posto a una signora e lei, facendo l’espressione che di solito si fa quando si guarda un neonato o un gattino in una cesta, ha esclamato: Ma che carino!
E allora ho pensato che le città non facciano proprio tanto schifo.
Da bambino (ecco un altro post in cui esordisco con “da bambino…”) ricordo che nella sala d’attesa del mio pediatra era appeso un quadro che mi turbava alquanto.
Ne ho dei vaghi ricordi, comunque rammento che era una composizione cubista raffigurante quelli che credo fossero un uomo e una donna, uno verde e l’altra rossa o forse il contrario, intenti a danzare. O a fare la fila alla cassa del Penny Market, non mi era ben chiaro.
Ebbene, mi spaventava. Saranno stati quei volti ovali senza tratti somatici, quelle gambe a piramide rovesciata, non lo so. Avevo paura di guardarlo anche se poi mi voltavo sempre a dargli un’occhiata fugace.
O forse non era il quadro a darmi problemi ma il fatto stesso di andare dal pediatra, che ogni volta doveva sempre ficcarmi l’abbassalingua in gola per guardare le tonsille, provocandomi conati di vomito (oltre che una sgradevole sensazione di soffocamento). Anche se andavo lì per una bolla su un piede, lui doveva sempre dare uno sguardo alle tonsille! E pure quando pareva dimenticarsene, poco prima di abbandonare lo studio – quando credevo di avercela fatta – sentivo che diceva a mia madre “ah, guardiamo la gola” e tirava fuori dal taschino l’odiata stecchetta di legno.
Nel corso degli anni ne ho viste molte di sale d’attesa. E non ho potuto far a meno di notare che in ognuna di esse c’è almeno un quadro a decorare una parete. Un quadro dalla dubbia bellezza, per non dire dall’aspetto orripilante.
Al che mi son chiesto se esista un mercato di fornitori di materiale da sale d’attesa negli ambulatori e negli studi medici, che, oltre a sedie scomode e tavolini bassi di vetro con finte riviste che nessuno legge, rivende dipinti e croste fatti in modo tale da non mettere a proprio agio il paziente.
E ho riflettuto su tutto ciò mentre ero in una sala d’attesa nuova di pacca, chiedendomi se non fossi io ad avere un pessimo gusto estetico e a capir poco e niente di quadri, mentre osservavo quest’opera posta proprio di fronte a me:
In realtà credo che questo quadro rappresenti una forte denuncia sociale, io vi leggo una critica alle abitudini di alcuni padroni, che comprano cibo pregiato alle cocorite mentre una mamma cagnetta lillipuziana ha i figli legati a una catena e non può uscire il sabato sera con le amiche.
Vi prego datemi il vostro parere in merito, il dubbio mi attanaglia.
Ma cosa c'è dentro un libro? Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto. (Bruno Munari)
Come quelle coperte, formate da tante pezze colorate, cucite insieme tra loro.
Tessuti diversi, di colore e materiale eterogeneo, uniti in un unico risultato finale: la coperta.
Così il mio blog, fatto di tanti aspetti della vita quotidiana, sempre la mia.