Il Vocaboletano – #25 – ‘O Mamozio

Vi è mai capitato che un vostro amico o conoscente rimanesse un po’ interdetto e imbambolato nel mezzo di qualcosa? Magari con lo sguardo da pesce lesso con contorno di patate e un’espressione del viso che nel complesso gli dava un’aria da stolido?

Ebbene, potevate apostrofare il tale dicendo che sembrava proprio un Mamozio!

Dicesi Mamozio, infatti, l’individuo dall’aria assente, con lo sguardo perso nel vuoto, privo di alcuna reazione tal da far sospettare un encefalogramma piatto, come un pupazzo o bamboccio malfatto.

Il termine ha origine nel ‘700, quando a Pozzuoli – città Flegrea al confine con Napoli – durante gli scavi per la costruzione di una chiesa venne ritrovata una statua acefala (cioè senza testa). L’epigrafe diceva che si trattava del console Romano Quinto Flavio Mesio Egnazio Lolliano Mavorzio: chissà che casino quando dovevano chiamarlo!

La statua fu ricollocata in sede e si decise di donarle una nuova testa, commissionata a uno scultore locale che forse in carriera avrà fatto al massimo lo scalpellino: la nuova testa risultò infatti non rispettare le proporzioni del corpo, essendo molto più piccola e donando al povero Mavorzio un’aria poco credibile e, anzi, abbastanza ridicola e buffa. La testa minuscola sembrava denotare poco cervello e da lì a poco il Mavorzio divenne simbolo di stupidità.

Il nome venne poi storpiato dai Puteolani che iniziarono a riferirsi alla statua come a “Mamozio”, termine che si è consolidato nel tempo assumendo appunto il significato di persona tonta e dall’aria imbambolata.

Una foto di inizio ‘900 della cittadinanza in posa con il “Mamozio”.

Per chi volesse ammirare il povero Mavorzio e si trovasse a passare al Museo Archeologico dei Campi Flegrei potrà trovarlo lì dove è ospitato attualmente.

Curiosità: nel film Il monaco di Monza, l’assistente stupidotto e poco sveglio di Fra Pasquale da Casoria (Totò) si chiamava proprio Mamozio (“Ah, un bel nome! Bello, bello!”), interpretato da un ottimo Erminio Macario.

E voi, ne conoscete di Mamozi? O siete stati voi stessi un Mamozio?

Brutte Strisce #9

Questa striscia è la nona! E quindi va in dedica a un personaggio famoso per una…nona! Vediamo chi indovina chi sia! Attenzione: nella striscia è presente un indizio fondamentale e risolutore!

striscia_09

Avete indovinato?

Ma sì, si tratta del Principe della risata, Totò!
A Ponte di Nona (Roma), infatti, sono state girate alcune scene (quelle in esterno) di Totò, Peppino e la Malafemmina. Nel film, il nipote dei due si innamora di una ballerina e tutti sanno che le ballerine hanno spesso problemi all’anca! Complimenti a chi ha indovinato!


A una occhiata superficiale la prospettiva potrebbe sembrare che presenti degli errori. Ma ciò è errato! Non è prospettiva, i due si trovano in una casa come quelle dei luna park o dei musei della scienza!


Non è che l’universitaria ansiosa è una tesa di laurea

Negli ultimi tre mesi ho fatto da ‘consulente’ a una ragazza per la stesura della tesi di laurea. Ho avuto modo di comprendere, grazie a questa esperienza, come è fatta una persona che vive fuori dal mondo.


Il Maestro di maturità

Pensavo di vivere io fuori dal mondo, perché ad esempio sono il tipo che quando vede un grande negozio di giocattoli devo entrare per cercare le spade laser di Star Wars oppure per guardare i Lego o provare le maschere dei supereroi. Forse si tratta di differenti modi di essere fuori dal mondo, la mia maturità – personificata dal tipo con la barba lunga delle serie Conosciamoci un po’ e Siamo fatti così – me lo dice sempre: “Gintò, ma o’ vir che gli altri trentenni e pure quelli più giovani si sposano e fanno figli?”. Al che ho realizzato una cosa: debbo sposarmi e fare figli così da avere il pretesto, per gli anni a venire, per poter frequentare i negozi di giocattoli.


La mia ‘cliente’ pur essendo al quinto anno complessivo di università e con  già una triennale alle spalle, non aveva la benché minima idea di come fosse fatta una tesi di laurea nella sua struttura basilare, intesa quindi come un testo composto da indice-introduzione-capitoli-conclusioni-bibliografia.


Poi ho avuto modo di capire che per la triennale fosse stato il padre a farle da ‘consulente’ e questo spiega tutto.


Non aveva alcuna idea, inoltre, su come si reperisse il materiale. Ma quello non è stato un problema: il padre le ha fornito dei libri, la madre dei documenti.

Specifico: la madre ha incaricato gli stagisti del suo ufficio di cercarle dei documenti.


E voi che scommetto associate lo stagista a uno che fa le fotocopie. Invece, se siete fortunati, potreste ritrovarvi nell’ufficio di una persona importante che vi incarica di cercare materiale per la tesi della figlia.


A quel punto è stato chiaro come questa famiglia rappresentasse bene un comandamento presente nella civiltà umana sin dai tempi più antichi, sembra fosse scritto anche sulle tavole di Mosè che poi per distrazione deve essersi dimenticato di tramandarlo: non fare qualcosa se gli altri possono farlo per te*. In questo meccanismo mi sono fatto volontariamente coinvolgere anche io, in cerca di possibilità di guadagno facendo il ‘consulente’.


 *A riprova della storicità di tale ammonimento c’è il fatto che il Dio biblico per l’appunto agiva spesso per interposta persona!


La ragazza, comunque, era molto in ansia per il rush finale verso la conquista di ciò che è volgarmente denominato “pezzo di carta”: il suo desiderio è il 110, cosa di cui non si riteneva sicura, partendo da un misero 108-109.

L’altra sua fonte di ansia riguardava la natura della consulenza: sarà giusto – si chiedeva – ricorrere a un piccolo aiutino? Per sicurezza, mi confessò una volta, aveva cancellato tutte le nostre mail per il timore di essere intercettata dalla polizia postale.

Non ritenni di dover fare domande (Quello il pazzo va assecondato, diceva Totò) e mi assicurai che le portiere della sua Smart – stavamo parlando in auto – non fossero bloccate.

Il fondo l’abbiamo toccato quando mi ha inviato un documento riservato, in possesso della madre, da utilizzare nella tesi, ovviamente senza citarlo né riportandone il contenuto, ma utilizzandolo soltanto come ispirazione. La raccomandazione era quella di eliminarlo una volta letto.


Non so che livello di riservatezza potesse avere – non parliamo di segreti di Stato, ovviamente – però di certo credo fosse un documento non disponibile per terze persone e privati cittadini. Ciò mi ha fatto riflettere sul funzionamento delle cose in Italia: la madre dà alla figlia un documento riservato – e già qui non ci siamo proprio – che, a sua insaputa, lo consegna poi a un illustre sconosciuto.

Ho pensato sarebbe stato divertente rintracciare la madre e presentarsi da lei facendole un discorso di questo tipo:
– Signora, in questa penna usb c’è il documento e la mail che sua figlia mi ha inviato. Ne ho una copia conservata in un posto sicuro. Sarebbe un fatto veramente increscioso se si venisse a sapere che simili importanti comunicazioni siano alla mercé del primo che capita, non trova? Per sua fortuna ha trovato una persona onesta come me…Le lascio qui la pennetta. Ah, posso chiederle un’informazione? Sa se per caso da queste parti o una qualche sua conoscenza assume dipendenti? Sa, cerco lavoro e pensavo che forse lei con le sue competenze e capacità potrebbe essermi d’aiuto…sa, se non ci si aiuta tra noi persone oneste dove si andrebbe a finire?

Sì, più o meno l’avevo visualizzata così la scena, prima di eliminare il file.


Vorrei poter raccontare altre perle ma scenderei troppo nei dettagli. Sono grato alla mia vita comunque per farmi incontrare sempre persone che non mi annoiano.

Fossi un sarto, con stoffa verde ti farei un vestito da fata. E poi ti berrei d’un fiato

E mentre me ne stavo a riflettere su come sarebbe trapiantarti qui e lasciarmi toccare intimamente da una raffica di parole, all’improvviso appare un treno dal passato che corre a ricucirsi col presente per giungere alla medesima destinazione: la verità è che non funziona abbastanza. Perché altrimenti sarebbero meno pacche sulla spalla e più sul fondoschiena, ma si sa che ingannevole è il culo più di ogni cosa.

Come il curriculum vitae di un giovane precario, esponiamo attestati conseguiti ai corsi di stima, senza lesinare complimenti, perché, si sa, tu sei bravo, dottore, sei bravo. Forse troppo bravo. Pensare che l’unico bravo che ho interpretato è quello di Don Rodrigo a Carnevale in prima – o seconda –  media, ma non m’ha riconosciuto nessuno.
– Sei un pirata?
– No.
– Chi sei?
– Un bravo di Don Rodrigo.
– Ah.
– E stasera alla festa vieni così?
– …

E lì pensai di dire basta ai travestimenti. E dire che Manzoni mi stava pure sulle balle, Tra i Manzoni preferisco quello vero, Piero.

In realtà poi mi son trovato molto spesso a camuffarmi, per fuggire. Son qui, ma mi nascondo. Sono un gatto, non voglio essere trovato.

E mentre mi scorrono queste considerazioni, mi salta fuori una domanda dopo aver conversato con il treno del passato (che s’era fermato un po’ alla mia stazione): ma perché ci son così tante persone confusionarie o instabili? Allora l’amica, saggia, ti riporta alla realtà facendoti notare che È la stessa cosa che mi chiedo anche io.

Capisco.

È una storia vecchia come il mondo.

I maschi son così, le femmine son cosà. Ma non ci stanchiamo di tali considerazioni? A me basterebbe solo riprendere la teoria degli insiemi e fare delle sane suddivisioni.

Dovete sapere che, a Napoli, c’è un Rione chiamato Sanità. È un rione con parecchi siti storici e nei sotterranei si celano delle catacombe. E nella Sanità è nato Totò.

Ecco, basterebbe un Rione Sanità Mentale, dove poter chiedere residenza previo test attitudinale.

Resterebbe vuoto, credo. Uno spreco edilizio che neanche la cementificazione delle campagne italiane.

E, ancora, l’amica pragmatica dice: Comunque tu sei molto più bello di lei.

Grazie, ma non son d’accordo.

E se dici ciò vuol dire che non mi comprendi abbastanza manco tu.

E mi sento ancor più solo mentre mi specchio sul fondo di un bicchiere.

Questioni di lingua, di postura e d’impostura

Ho appreso solo di recente che la posizione della lingua ha effetti sulla postura. Pensavo dipendesse solo dall’occlusione dentale, invece no. La cosa a pensarci su ha un senso, perché magari i denti si possono chiudere male se la lingua spinge contro di essi!

Tu che stai leggendo, ora starai controllando dov’è la tua lingua, scommetto.

Quindi il modo di dire “tenere la lingua a posto”, oltre al significato figurato, assume un’interpretazione letterale. La prossima volta che qualcuno parla a sproposito o insulta, potremmo quindi dirgli: Ti invito ad assumere una postura migliore. Correggi quella lordosi o sarà peggio per te!

La lingua. Quanti usi e applicazioni che ha.
No, questo post non assumerà connotati a luci rosse, cremisi o vermiglie.
Anche se, delle volte, per un’ora d’amore poi varrebbe la pena deambulare un po’ male (un verso scartato dai Matia Bazar).

Il problema sorge quando la lingua rimane asciutta, secca. Come se avesse leccato un blocco di opale. Che io in realtà non so come sia leccare un’opale, ho solo dei vaghi ricordi scolastici sulle proprietà allappanti dei minerali. Tra l’altro, all’epoca mi veniva da chiedere se i geologi andassero in giro a leccare le pietre. Poi ho scoperto che veramente le leccano e me li sono immaginati come dei sommelier, con una piccozza d’argento al collo al posto del tastevinMmmh, questo è del Cretacico inferiore, ottimo periodo geologico!

(se c’è un geologo in sala, mi scuso per aver dato l’impressione di prendere per il culo la categoria, per la quale nutro un profondo rispetto)

Ho avuto proprio questa sensazione astringente in bocca camminando per quelle strade che conoscevo e frequentavo, notando che dei posti a me familiari avevano chiuso. Tutto è passato. Tutto è sepolto sotto strati geologici di pensieri.
Ho guardato le vetrine che lasciavano intravedere un locale buio e vuoto. Mi sono sentito anche io un po’ buio e vuoto, con la sensazione di avere un cartello affittasi appeso addosso. Chiuso, invece, lo son sempre stato, in verità. E, delle volte, rompe anche i maglioni quando te lo fanno notare.

“Sei un po’ chiuso”.

Sì,

Sono chiuso per ferie.
Ho bisogno di rigenerarmi ogni tanto e cambiare aria.
Sono chiuso per ristrutturazione.
Ho bisogno di darmi una mano d’intonaco perché a volte cado a pezzi.
Sono chiuso per cambio gestione.
Perché capita di stufarsi e voler mollare.
Sono chiuso per liquidazione.
La proprietà è incline al fallimento.
Sono chiuso per furto.
Quando mi rubano le cose. Le idee, i pensieri, i sentimenti.
Sono chiuso per lutto.
Succede, è la vita. O la morte.
Sono chiuso per le festività natalizie.
Perché mi piace stare sotto un albero.
Sono chiuso per le festività pasquali.
Perché mi riesce ogni tanto di fare una sorpresa.
Sono chiuso per la festa del santo patrono.
Sono devoto a San Precario, martire dell’Ordine degli Inoccupabili.
Sono chiuso per inventario.
Perché ho bisogno di riordinarmi.

Quindi si prega di ripassare nei giorni di apertura.

Ma ho divagato, stavo parlando della lingua. Bene, chiuderò con un aneddoto riguardante il mio professore di latino e greco del liceo. Un giorno, ero nel suo ufficio con un compagno di classe che disse che aveva intenzione di portare, come tesina all’interrogazione finale, una dissertazione sulla lingua.
Il prof: Eh, nu trattato ‘ngopp a fellatio, AHR AHR AHR! (aveva una risata alla Gambadilegno, frutto di 40 anni di Pall Mall).
Trad: un trattato avente come argomento la fellatio!
Noi ridiamo e lui:
Azz*, ma quindi ‘o latino o sapit!
Trad: Caspita, ma quindi il latino lo conoscete!

(Ecco, ho mentito quindi quando ho detto niente riferimenti a luci rosse. Sono un impostore)

Il professore era un uomo a cui piaceva essere diretto e ruspante, ma era anche una persona di profonda cultura e intelligenza. E poi era molto legato al territorio, tanto da mettere su uno spettacolo teatrale basato su delle vicende che hanno segnato cultura e storia delle nostre zone. Riuscì anche a portare tale spettacolo fuori Regione per un paio di tappe. Parliamo di una produzione recitata in dialetto, quindi la cosa assume ancor più valore.

Il dialetto, appunto. Il napoletano è riconosciuto come lingua a tutti gli effetti. Ogni tanto qualcuno ci tiene a ribadirlo e a me, posso essere sincero, questa cosa me le fa girare parecchio.

Mi spiego. Io ho come l’impressione che qui dobbiam vivere di bei paraventi. A chi parla male di Napoli o a chi riteniamo ci voglia male, dobbiamo sbattere in faccia Federico II, i pensieri di Goethe su Napoli, Antonio Genovesi, la Napoli Reale grande capitale europea, le Quattro Giornate, Totò e i de Filippo, il sole**, il mare, la pizza, mettiamoci pure Maradona e mò abbiamo pure l’Oscar di Paolo Sorrentino. E, ovviamente, il napoletano che è una lingua, zitti tutti che mò pure l’Apple hanno detto che parlerà napoletano. Mica il lumbàrd, il venessian o il romagnolo.

Obama è di Tor Bella Monaca

A me garberebbe qualche pizza in meno e un po’ di cura in più del territorio. Ma questa è un’altra storia e, dato che mi si è seccata la lingua, la racconterò un’altra volta.

*Azz è una nota esclamazione molto usata che indica stupore, meraviglia, incredulità:
Azz, sei veramente bravo!
Azz, l’hai fatto tu questo?
Azz, e solo adesso me lo dici?

** Che poi vorrei sapere chi se l’è inventata questa storia del sole, qua la pioggia rompe le palle tranquillamente