Non è che serva un regista per girare l’angolo

La processione di zombie che tutte le mattine si spostano per andare al lavoro.
I senzatetto che dormono nei sottopassaggi, nelle stazioni o che si aggirano come spettri tra la folla distaccata.
Le chiazze di vomito vivido sull’asfalto.
Il cagnetto da portare a spasso la domenica, rigorosamente un Maltese bianco perché is the new Yorkshire.
Ubriachi diurni e ubriachi notturni che cantano o si abbracciano o cantano abbracciandosi.
Un tenore asiatico che una volta alla settimana intona Pavarotti a Nyugati.
Gruppi di ragazze possenti come Valchirie che nei locali cercano prede forse per sacrifici umani.
Gruppi di maschi-betabloccati che, spaventati dalle Valchirie, cercano ragazze isolate da agganciare.

Più osservo e più vedo deformazioni urbane grottesche.
Vagamente lynchiane.
Non so se sono miei incubi da dissociazione o sintomi da carenza di vitamine ma le sensazioni che mi dà questa città mi richiamano alla mente un set di un film inquietante e nonsense.

Uno di quelli da circolo culturale ristretto e impegnato (al Monte di Pietà per pagare l’affitto).

Ho un rapporto ondivago con il cinema.
Il giorno prima guardo l’ultimo film Marvel, il giorno dopo l’ultimo lavoro di un regista iraniano perseguitato dal governo che ha girato tutto in primo piano con una telecamera su un taxi.


Taxi di Jafar Panahi. Che consiglio di vedere.


Il cinema di intrattenimento è un servizio reso allo spettatore tramite un atto di acquisto.
Io compro un biglietto e in cambio mi forniscono un prodotto già pronto e confezionato per essere il più adatto alle mie esigenze. Potremmo definirlo un sogno pilotato e proiettato su schermo. Non a caso non è raro – anzi è considerata una delle magie del cinema – immedesimarsi negli attori sullo schermo.


Invece il motto del regista di documentari è: Non vendiamo sogni ma solidi real-time.


Che si tratti di un prodotto standardizzato, a prescindere dal genere, è intuibile in modo molto semplice: un film commerciale segue uno schema prestabilito nel proprio svolgimento. All’incirca 15-20 minuti dopo l’inizio c’è un colpo di scena che rompe la condizione preesistente. Il resto del film sarà un eterno inseguimento e un susseguirsi di eventi per tornare a quella condizione di equilibrio (non necessariamente la stessa, anzi nella maggior parte dei casi sarà un equilibrio a condizioni più vantaggiose); a 20 minuti dalla fine ci sarà un altro colpo di scena, risolutivo: a volte tale punto di rottura è volutamente un fake perché, quando si pensa che il film sia terminato, a 5 minuti dalla fine ci sarà un contro-colpo di scena definitivo.

Nei film impegnati o d’autore che dir si voglia, invece, tale schema non c’è. Delle volte è del tutto assente una struttura narrativa. Una simile opera si sposta dal piano dell’intrattenimento a quello filosofico/estetico. La visione può risultare più faticosa perché allo spettatore è richiesto un ruolo attivo. In quel momento non sto più pagando per vivere un sogno preconfenzionato ma per partecipare al film con un lavoro interpretativo.


Esistono anche film come quelli di Lynch (tipo Inland Empire) dove ci si può lambiccarsi quanto si vuole ma una vera interpretazione secondo me non c’è perché esiste soltanto nella mente di David Lynch.


Beninteso, la suddivisione non è sempre così netta tra le due fattispecie di cinema. Esistono registi che seguono una terza via cinematografica. Alcuni esempi tra questi possono essere Iñárritu, Anderson, Sorrentino, Malick.

Di Paolo Sorrentino penso che sia diventato un onanista cinematografico seriale.


Lo dico sottovoce perché è entrato a far parte di quella schiera di argomenti quali religione, movimentismo politico, abitudini alimentari, calcio, per le quali una voce contraria risveglia ancestrali e aggressivi istinti nell’interlocutore¹.


¹ Perché la gente è sempre così irascibile come se gli stessero defecando nel salotto?


Sorrentino è bravissimo nel dipingere dei quadri con la macchina da presa. Ma si pasce e si compiace di questo senso artistico vendendo secondo me un mappazzone ben confezionato.


Il Golfo di Napoli.
Un elefante indiano cieco.
Un attore ritiratosi a vita privata.
Una donna nuda stesa in mezzo a un prato con delle giunchiglie in fiore.

Cucite il tutto ed ecco un possibile nuovo film di Sorrentino.


Un altro che ho visto ammalato di Sorrentinite è Malick (The Tree of Life), anche se confesso di non aver visto altro dopo To the Wonder con Ben Afflitt.

Affleck felice/triste/preoccupato/curioso/indispettito


In realtà poi sarebbe il contario: è Sorrentino che registicamente è rimasto ammalickiato.


Iñárritu invece secondo me ci ha presi tutti per i fondelli.
Produce film commerciali vestiti da film d’autore o film d’autore vestiti da film commerciale. Non ho ancora deciso.


Anche se io non sono nessuno per decidere e parlo a titolo del tutto personale di catalogatore compulsivo.


Dopo un anno ho rivisto le mie impressioni su Birdman. All’epoca ero entusiasta, un’opera di sintesi cinematografica, raccordo tra film d’autore e d’intrattenimento. Un film sul cinema che parla di cinema, metateatro a celluloide dilagante.

E dopo però mi chiedo: un film girato in finto piano sequenza unico, è sintesi, è arte, è citazione o soltanto una presa per il sedere?


Un piano sequenza superlativo nel suo tratto artistico secondo me è ad esempio questo qui


Degli esempi di terza via che ho citato, Wes Anderson è secondo me il più particolare. I suoi film oscillano di continuo tra reale e surreale ed è proprio questa ambivalenza, come se fosse un luna park le cui giostre cambiano mentre ci sei sopra, a rendere il suo cinema tanto interessante.


E poi non posso non apprezzare uno che ha un gusto compulsivo per la simmetria


Tutto quello che ho detto sinora nasce dal fatto che vorrei vedere un film (sto andando in overdose da serie tv ultimamente e dopo aver finito House of Cards 4 è arrivato Daredevil stagione 2) ma non so su cosa rivolgermi.
Ho tentato tre volte di guardare Il gusto del sake di Yasujiro Ozu altamente consigliato da tanti intenditori e comprendimucche ma non ci riesco perché mi stanco. Forse alle 23 di sera non va bene, ma è l’unico momento che ho a disposizione. E neanche la domenica pomeriggio è indicato, dopo gli gnocchi di patate al forno con la bolognese.


Ma se il ragù l’ho preparato con macinato di manzo locale, è sempre bolognese o è una ungherese?


Non è che il pesce sega sia dedito ad attività solitarie


Il seguente post contiene informazioni di biologia marina non verificate ma frutto di reminiscenze di documentari di Quark.


Sono andato all’acquario di Budapest. In ogni città in cui mi trovo devo andare a vederne uno.


Se è presente, ovviamente. Altrimenti a volte mi accontento di un negozio di acquariologia.


Gli acquari sono una mia passione. Da adolescente ne avevo anche uno in casa, finché non decisi che comportava eccessiva manutenzione: continua proliferazione di alghe come l’Adriatico degli anni ’90*, piante le cui foglie si sfilacciavano, senza contare che ogni tanto qualche neon (i pescetti con la livrea azzurrina e la coda rossa) si infilava tra il filtro e il vetro e lì moriva perché incapace di tornare indietro.


* La famosa mucillaggine. Che in realtà non è una proliferazione di alghe (quello sarebbe un effetto dell’eutrofizzazione) ma un aggregato di materiale organico che viene secreto dalle suddette.


L’acquario di Budapest si trova fuori città, a 30 mn di autobus dal centro.

Questi viaggi attraverso la periferia mi hanno fatto rendere conto delle differenze esistenti tra gli abitanti di qui.


Ogni giorno che passa sento diminuire il mio interesse turistico per questa città e vedo aumentare il mio occhio critico da cittadino. È un meccanismo che scatta quando smetti di concentrarti sulla struttura urbana – anche solo per orientarti – e cominci ad osservare meglio le persone.


Nel centro di Pest le persone mi sembrano morti viventi. Si muovono come spinte per inerzia, le facce come maschere di cera, l’occhio vacuo.

Non me ne sono reso conto finché non mi sono allontanato verso l’esterno. Ho ripreso a vedere volti umani. Qualcuno sorridente o forse era una paresi ma l’ottimismo mi spinge a credere che fosse sorridente.

L’acquario è collocato in un centro commerciale. Non accanto, non separato: è proprio al suo interno.

Questo fa sorgere in me dei dubbi: la finalità di una simile struttura dovrebbe essere istruttivo-educativa, ma inserita in un contesto di intrattenimento il messaggio non potrebbe giungere distorto?


Che poi in realtà il centro commerciale non dovrebbe essere luogo di intrattenimento ma di consumo. Il capitalismo però ci ha convinti che sia divertente spendere il nostro denaro, non a caso il centro commerciale è diventato luogo deputato all’intrattenimento del fine settimana, dove portare a scorrazzare i figli che, dopo aver distrutto casa per 6 giorni, che almeno il settimo distruggano altro e alla sera siano così stanchi da permettere ai genitori di stare in pace¹ ² .


¹ Che poi in genere l’agognata pace familiare si risolve col pater familias che si guarda il posticipo della serie A sul divano.


² Questo discorso non vale in Ungheria, dove da circa un anno, per volontà del governo, tutte le attività commerciali di dimensioni superiori ai 200 m² devono restare chiuse di domenica.


Una delle mie contraddizioni è che gli zoo mi disturbano, gli acquari no.
Eppure, passi per i pesci corallini che sono stanziali e non si accorgono di stare in una vasca – forse, ma uno squalo soffre quanto, se non di più, un leone rinchiuso.


Il leone può almeno passare le proprie giornate stravaccato in un punto, lo squalo invece, per la propria conformazione anatomica, è costretto a stare in perenne movimento. Aggiungendo il fatto che è un essere con sviluppate capacità spaziali, tal che si orienta tramite “mappe mentali”¹, lo stare a girare continuamente in tondo in uno spazio limitato deve essere fonte di alienazione.


¹ Vale soltanto per i maschi, perché è risaputo che le femmine non sappiano leggere le mappe.


Ma si tratta di quei meccanismi di sensibilità selettiva che subentrano in maniera inconscia.


Ad esempio una formica in giro per casa la schiaccio senza remore, un ragno lo accompagno alla porta con i guanti. Oppure lo indirizzo verso un angolo abitabile – per lui – della stanza dove da lì potrà aiutarmi a far fuori mosche e altri intrusi¹.


¹ L’omicidio della formica rientra però in una logica di sopravvivenza domestica. Di sicuro è lì in esplorazione e onde evitare che avvisi la colonia della presenza di cibo, meglio ucciderla.
D’altro canto, se le formiche sono intelligenti – e lo sono – credo che non vedendola tornare penseranno che sia stata uccisa affinché non rivelasse informazioni importanti, quindi partiranno all’attacco lo stesso.


I bambini ungheresi sembrano più scostumati di quelli italiani.
Urlano, corrono, spintonano e battono contro i vetri delle vasche col beneplacito dei genitori, i quali sono troppo distratti a farsi i selfie con gli squali.

Ho deciso che questo sarà l’ultimo acquario che avrò visitato perché cominciano a disturbarmi.


Comunque mi sono reso conto che gli squali, quelli grigi in particolare che sono in genere gli ospiti degli acquari, hanno una faccia da ebeti. Hanno un’espressione da perenne “Uh? Cosa?”

Foto di repertorio