Sono uscito per la mia consueta passeggiata domenicale, questa mattina.
Anche se non so se due volte possano costituire una consuetudine: quand’è che inizia? C’è un momento in cui un agire diventa consuetudine?
Mi ricorda la storia del paradosso di Eubulide sul mucchio di sabbia: ne esistono varie versioni, in sostanza esse dicono che se tolgo un granello di sabbia da un mucchio, esso è ancora un mucchio, ne tolgo un altro e lo è ancora, ecc. ecc.. Quindi, quale è il momento in cui il mucchio non lo è più, considerando che IL granello non È il mucchio?
Uscendo di casa, ho constatato che il cortile interno del palazzo dove vivo ha un che di inquietante.
Un tempo dovevano esserci delle attività commerciali lungo i lati e il portone doveva esser sempre aperto per il via vai di persone: c’è ancora lo scheletro di qualche insegna a ricordare il tutto.
La sedia a rotelle che si nota a sinistra è sempre lì. Giace abbandonata e impolverata.
Non incrocio mai gli altri inquilini, né li sento muoversi, parlare, agire. L’unico segno della loro presenza è costituito dai cassonetti della differenziata che si riempiono. A volte tutto il complesso sembra un luogo fantasma. Forse prenderà vita di notte.
A scanso di equivoci o di attacchi d’angoscia: non è così lugubre e la zona intorno è abbastanza viva.
Colto quindi da questi pensieri melanconici, mi sono recato nuovamente a Buda, deciso a percorrere stavolta vie che i turisti non battono neanche ai calci di rigore.
Le persone mi trovano strano quando dico che, delle volte, amo le strade deserte, gli alberi spogli, il cielo grigio e l’orizzonte fumoso.
In pratica lo scenario che ho trovato oggi. Penso eleggerò questa strada a “mio” posto. Il “mio” posto è un luogo che, seppur frequentato da altre persone, è considerato dal punto di vista emotivo una proprietà personale, in quanto gli altri non ne coglieranno la stessa specificità.
Allora evito di raccontarlo per non apparir a-normale, ma è uno sforzo inutile in quanto la gente riuscirà sempre a trovarti addosso qualcosa di strano, come un poliziotto corrotto che durante una perquisizione ti infila in tasca una bustina di droga.
Ho poi incontrato una cornacchia lungo la strada.
Volevo catturarla in una foto, ma ogni volta che le puntavo contro il telefono zampettava più avanti al momento dello scatto. Ha rifatto tre volte lo stesso gioco, poi si è fermata, mi ha lasciato scattare e dopo se ne è volata via.
Amo queste passeggiate perché concorrono a un percorso di deframmentazione della mente. Schiariscono le idee permettendo di compiere un check di tutto quello che si è accumulato, rimettendolo al posto giusto.
Quando cammino senza una direzione la mente è libera nel suo riordino in quanto l’attenzione non è focalizzata su essa.
L’atto di pensare che si sta pensando costituisce una limitazione del pensiero.
L’attività motoria della deambulazione è quindi un buon sistema di deconcentramento.
Quando infine l’umidità ha iniziato a esser eccessiva – me ne sono reso conto dai baffi che cominciavano a gocciolare – ho ritenuto opportuno rincasare.