Non è che una cosa vecchia vada all’inferno solo perché d’annata

Questa seconda parte del 2016 ci ha regalato due tra le peggiori campagne politiche che io ricordi. Mi riferisco alle presidenziali statunitensi e il referendum del 4 dicembre.

Mettendo un attimo da parte le politiche a stelle e strisce – quelle che tira Trump -, la campagna referendaria, comunque la si pensi, ha raggiunto toni grotteschi.

Le ultime notizie dicono che il No è un voto contro l’olio di palma, mentre in caso di vittoria del torneranno i favolosi anni ’60!

 

Una tipica famigliola italiana che si sta chiedendo come cazzo faranno a entrare tutti quanti in auto

Una tipica famigliola italiana che si sta chiedendo chi dovrà farsela a piedi per permettere agli altri di entrare in auto

 

Ai concorsi di bellezza c'era la gara a chi tratteneva di più la pipì

Ai concorsi di bellezza c’era la gara a chi tratteneva di più la pipì

 

Gianni Morandi aveva la faccia da selfie prima che inventassero i selfie

Gianni Morandi aveva la faccia da selfie prima che inventassero i selfie

Che di favoloso, mi dice spesso Padre, non è che avessero molto.

Io non posso saperlo e, d’altro canto, Padre non è un campione rappresentativo e autorevole. Non posta nemmeno su internet le sue teorie, figuriamoci.

Non è mica come quelle che non si lavano la pucchiacca contro la dittatura delle multinazionali del Chilly perché mia cugina non usa manco l’acqua fresca e vive benissimo senza e, se Tantum mi dà Tantum, ci stanno quindi ingannando facendoci credere che la pucchiacca vada pulita. Condividi!

Com’è come non è, la tv italiana, in particolare la rete RAI, che, volente o nolente mi trovo delle volte a osservare o in maniera indiretta a esserne aggiornato sui contenuti, mi sembra infarcita di nostalgismo su quegli anni. E anche quelli precedenti o quelli successivi.

Saranno stati veramente d’oro gli anni passati?
Certo, potessi io essere quello che dà le denominazioni ai decenni, tra I favolosi, I fantastici, I ruggenti, a questi attuali anni ’10 darei il titolo di I merdosi.

D’altro canto, il nostalgismo della tv nazionale è dovuto anche al fatto che secondo me è costruita dai vecchi. Non “persone di una certa età”, ma proprio “vecchi”. Dentro e fuori. Figli (o forse sarebbe più corretto dire padri) di quel conservatorismo italiano che vuol che tutto cambi purché non si cambi nulla.

Di quelli che ripetono che “i giovani sono il futuro”, come mi ha detto qualche giorno fa un lontano parente, dandomi una pacca sulla spalla e incoraggiandomi a fare cose buone.

Io tra poco avrò l’età del Cristo quando finì sulla croce.
Io Cristo non sono, purtroppo. A lui è andata bene: un giorno sulla croce, un week-end all’Inferno, e poi gli alleluja degli angeli per tutto il resto dell’Eternità, come disse Papa Francesco durante un Angelus.

In ogni caso, è una vita che mi parlano di futuro.

Sarebbe gradito un po’ di presente. Facciamo solo io e te, per una sera almeno?

O dovrò prima invecchiare?
Sperando che l’olio di palma non mi uccida prima.

Anche l’ovvio vuole la sua parte

Sono tornato a Roma mi-costi-un-Capitale e, per non perdere le mie vecchie abitudini, ho ovviamente dimenticato delle cose a casa.

In particolare, tra l’altro, due oggetti importanti: accappatoio e pettine. E dire che quest’ultimo neanche lo uso per i capelli, visto che quando sono corti stanno fermi da soli e quando cominciano a crescere basta infilarci la mano come a voler sistemare un ciuffo inesistente.

Io il pettine lo uso per la barba e i baffi.
La gente ride quando ascolta questa cosa, quella stessa gente che mi fa i complimenti per la barba curata: forse credono che una barba si curi da sola? Magari di notte mentre dormo se ne va a passeggio come le scope di Fantasia e va a darsi una sistemata davanti lo specchio?


Quanto è bella la sequenza della danza delle scope? E dire che da bambino un po’ mi terrorizzava, un po’ per le scope che si animavano con braccia e pseudo-gambe (ma senza occhi né bocca!) e un po’ per la musica che era un crescendo di inquietudine.


E dire che sino a questa mattina ho continuato a mettere in valigia sino all’ultimo momento cose che ricordavo di aver dimenticato. E mentre infilavo dentro anche il mio fido borsello mi sono ricordato troppo tardi che avevo dimenticato di togliere dall’interno i confetti che mi aveva dato M.. È stata a un matrimonio, i confetti non le piacciono e quindi quando ci siamo visti lunedì me li ha rifilati. Dato che non piacevano neanche a me, li ho dimenticati nel borsello. Non è stato bello quando nel prenderlo sono rotolati giù sul pavimento, col gatto che giocava a fare il calciatore e con la zampa a cucchiaio (al grido di “mo te faccio er cucchiaio”) li infilava sotto il letto.

Il mio ritorno è stato contrassegnato, nel regionale da Termini a Stazione-prossima-a-Casa-Romana, da uno spettacolo teatrale. Nel vagone precedente il mio quattro passeggeri (o persone che sembravano tali prima di rivelarsi attori – probabilmente squattrinati – che cercano di farsi conoscere), hanno cominciato a dar vita a una rappresentazione tra i sedili, sotto lo sguardo curioso, un po’ perplesso, a tratti distaccato e accompagnato da qualche ventata di alitosi, degli altri passeggeri.

Quando mi sono alzato per scendere ho assistito all’atto finale e mi ha colpito ciò che ha detto uno degli attori: “il viaggio è il viaggiatore”. Gli altri tre hanno iniziato a ripetere la stessa cosa come un mantra: “il viaggio è il viaggiatore”. Forse mettevano in scena Pessoa o forse l’hanno soltanto citato, non lo so.

Mi sono interrogato su cosa potesse significare e sono giunto alla conclusione che è una di quelle cose ovvie cui non pensi mai, ma che quando realizzi pensi “certo, è così!”. È un po’ come quando in un giallo avete avuto il colpevole sotto gli occhi sin dall’inizio ma non avete mai puntato il dito contro di lui: quando viene rivelato, voi esclamate: “Ma certo, era lui!”.

In fondo, il viaggio siamo noi stessi. Non è detto che due persone che si spostano da un punto A a un punto B vivano le stesse esperienze, provino le stesse sensazioni, ricevano allo stesso modo gli input dall’esterno. Da persone diverse, viaggi diversi.

Inebriato da questa mia scoperta e sentendomi ispirato, ho provato a ri-scoprire altre cose ovvie. Come ad esempio scoprire il detto mai fidarsi delle apparenze: entrato in casa e non vedendo in giro la coinquilina cinese, né notando nel frigo la sua solita provvista di bibite gassate di ogni sapore, colore, colorante ed emulsionante, ho sperato che avesse levato le tende.

Pia illusione: dormiva. Alle ore 13 si è alzata dal letto e ha iniziato a fare i suoi vocalizzi lirici.


Riassunto delle puntate precedenti per chi non c’era e se lo fosse perso e per chi c’era ma non gliene fregava niente e anche se lo riscrivo non so se gliene fregherà: a Casa Romana c’è una cinese, astro nascente della lirica, che è qui per specializzarsi come soprano.


Vorrei concludere questo post con una nota di colore. Ho appreso soltanto oggi che qualche giorno fa il Papa si fosse recato da un ottico per cambiare gli occhiali, destando curiosità e stupore nei cittadini.


Non capisco le reazioni: un Papa non usa occhiali? E se li usa, dovrebbe mica fabbricarseli da solo?!


Ho provato anche io grande curiosità e stupore nel rendermi conto che l’ottico era lo stesso cui mi ero recato io per far sistemare i miei occhiali, quello simpatico e sovrabbondante di lettere ‘a’.

Ora, non so se nel negozio Sua Santità abbia incontrato lo stesso tizio con cui ho avuto a che fare io, ma ho provato a immaginare la scena:

PF: Mi scusi fratelo…sono aquì porqué coi miei occiali non vedo bene…
O: ‘a Francé: ma chi t’aaaa dato ‘ste lenti? Pure ‘na talpa ce vede mejo, mò t’aaaa dò io ‘na lente seria.
PF: Grassie…

Sì, più o meno sarà andata così.


ERRATA CORRIGE
Purtroppo non è lo stesso. Il mio era all’inizio di via del Corso (partendo da Piazza del Popolo), il Papa è andato in quello nella parallela, a via del Babuino.

E so anche il motivo: PF deve aver letto il mio post e deciso che quello dove sono stato non gli piaceva.