Non è che abbondi col risotto perché il riso fa buon sangue

Sono andato a farmi un prelievo di sangue. Il medico, mentre eseguiva l’operazione, mi raccontava che a San Valentino ha effettuato un sacco di prelievi a coppie (di persone unite in una relazione, quindi no parenti) che quel giorno sono venute a farsi le analisi.

Proprio così: prelievi di coppia a San Valentino.

C’è un significato dietro tutto questo? Tipo “Legati per il sangue”? Io e Te tre ml sopra le cellule? “Amore, per te butterei il sangue”? “Sei un mito-condrio per me”?

Per carità, magari ci sta che se due persone devono farsi le analisi magari preferiscano andare assieme. Oppure, che si possa trattare di analisi preventive per escludere malattie veneree (non ci vedrei nulla di strano). Ma proprio a San Valentino? Sto immaginando il laboratorio diagnostico che effettua delle promozioni: Valentine’s day; sconto di coppia Paghi 1 e Prelevi 2, e via dicendo.

Poi parlo io che sono andato lì il giorno dopo il mio compleanno: sia all’accettazione, sia nella sala prelievi, mi hanno riso in faccia per il bel modo secondo loro di festeggiare. Il dottore, ridendo, voleva anche regalarmi la campana (o si chiama camicia?) per il prelievo incrostata internamente di sangue, come ricordo.

Direi nel loro caso quindi che il sangue fa buon riso.

Non è che un esame ti riempia di fiducia perché ti dà il credito

Giovedì ho sostenuto l’ultimo esame. Ora manca solo il tassello finale, la seduta ad aprile (certo, in mezzo ho una tesi da completare).

È una bella soddisfazione e anche una liberazione. Anche perché questo esame l’avevo rimandato a lungo: doveva essere il primo, poi pensai di riprovarlo l’anno successivo (cioè l’anno scorso), e, alla fine, è diventato l’ultimo.

Mi sono reso conto che portare avanti un percorso di laurea, per il me stesso attuale, è un po’ faticoso.

Fin quando si tratta di preparare esami in forma scritta, ricerche, presentazioni, tesine eccetera riesco a conciliare l’attività con il resto della mia vita, anche perché per scrivere qualcosa basta anche una mezz’ora al giorno. Tra l’altro, come ho già raccontato su questo blog, mi capita durante il giorno mentre sto facendo altro di pensare a quel che devo scrivere – sia un post di cazzeggio qui sopra o una ricerca – e, quando mi metto davanti al pc, devo solo trascrivere quel che avevo in mente.


Delle volte appartenere alla specie dei rimuginanti, quelli col cervello diviso in omaso, abomaso e rumine, ha i suoi vantaggi.


Prendere in mano un libro da 600 pagine da conoscere a fondo mi è invece impegnativo. Tra il lavoro, lo sport, la gestione di una vita di coppia e di una casa, non basta aprirlo per mezz’ora al giorno come fosse un testo di narrativa. Mezz’ora mi serve giusto per concentrarmi, mi ci vorrebbero 3 ore in cui avere la certezza e la tranquillità di non avere altro da fare. Cosa che, mi son reso conto, attualmente non ho.

È quindi per questo sono ancor più soddisfatto del risultato. Nel 2020 quando decisi di prendere una seconda laurea, in storia, lo feci un po’ per sfida, un po’ per hobby, un po’ per passione. Un po’ perché se a settembre di ogni anno non inizio qualcosa mi sento demotivato. Non nascondo a tratti mi sia stata di peso questa scelta, per il discorso di sopra. Però sempre meglio far qualcosa che piace che ricevere un calcione, diceva il saggio, quindi il senso è: non ti lamentare o riceverai un calcione.

Diciamo però che studiare lo metto nella lista delle “Cose divertenti che non farò mai più”. Per ora.

Non è che non sai dire il plurale di ‘belga’ e allora dici che hai un amico belga anzi due

Anni fa avevo una sorta di mito del Nord Europa.

Città con larghi viali alberati, spazi verdi, ciclabili ovunque, trasporti efficienti, bar con caffè biologici imbevibili e dentro un tizio col cappellino di lana anche a luglio e le cuffie JBL con lo sguardo concentrato su un IMac che finge di stare inventando la prossima applicazione di successo mentre beve un matcha latte biodinamico.

Ho visto diverse città, sempre da turista. L’opinione di un turista penso come inutilità sia seconda solo a quella di chi passa davanti un ristorante e, trovandolo chiuso, mette una cattiva recensione su Tripadvisor.

Adesso sarà che sento di invecchiare ma credo che non baratterei il Mediterraneo, con il suo stile di vita, le persone, le abitudini alimentari, con nient’altro. Ricordo una volta a Reykjavík una estemporanea conversazione alla fermata dell’autobus con un ragazzo originario dell’Albania e che lavorava nella città islandese. Mi disse, rassegnato: “Sì, qui lavoro, pagano bene – ma costa tutto caro – ma non si vive come da noi al Sud”.

Poi magari avrò incontrato l’unica persona insoddisfatta dell’isola.

Sinceramente non ho mai amato i confronti: stabilire dove e cosa sia meglio è soprattutto questione di carattere ed aspirazioni, a mio avviso. Parlo sempre però di luoghi al di sopra di un certo standard in grado di garantire il soddisfacimento di necessità primarie: poi, come dicevo, dipende da come è fatta una persona e cosa va cercando.

Succede poi alla fine che ognuno guarda al proprio giardinetto (che può coincidere come estensione a qualsiasi cosa: a un giardino, a un paesello, a una città, a una metropoli e così via) e poi lo confronti con i giardinetti altrui, con il loro bel carico di storture e luoghi comuni.


Ho detto giardinetti e non cespuglietti (che andavano più di moda negli anni ottanta).


Tutte queste riflessioni mi sono venute in una birreria a Bruxelles, mentre per accompagnare il litro e mezzo di trappista che avrei bevuto (e il mal di testa conseguente) avevo chiesto un salamino a fette.

Me l’hanno portato. Cosparso di origano.

Chi è che mette dell’origano su un insaccato? Questi nordici sono proprio dei barbari!

La foto è puramente decorativa: l’episodio increscioso non è avvenuto da Moeder Lambic (sempre una garanzia in fatto di birre)

Non è che il trappista sia quello con le scritte in faccia che canta con l’autotune

Devo andare a Bruxelles un paio di giorni per lavoro. Non sono molto avvezzo alle trasferte pagate. Invidio chi è trasfertista di professione, Business Class e taxi anche per andare ai servizi igienici, senza porsi problema. Io invece ho quel timore reverenziale nel chiedere l’hotel più vicino all’edificio dove devo andare anche se costa 10€ in più.

In compenso, dato che ho tempi stretti per il ritorno, invece del bus-navetta Centro città/Aeroporto, ho chiesto quello col servizio “Ti veniamo a prendere dove vuoi”. Costa di più, ovviamente: eh questi lussi che ci concediamo!

Il Belgio mi fa ricordare mia zia. Era una vera ultras, non perdeva occasione di dire in Belgio hanno questo, in Belgio fanno quest’altro. Mia zia aveva viaggiato molto e visto molte cose, anche se tendeva a essere un po’ monotematica e insistere su certi argomenti, come il Belgio per l’appunto, quasi volesse spingerti a tutti i costi ad accogliere la sua fede.

Credo questo modo di fare derivasse dalla sua profonda impronta cattolica.


La religione è un’ottima spiegazione per molti atteggiamenti della società, dalla sindrome di una colpa intrinseca che si porta dietro l’umanità (“Ci meritiamo l’estinzione”, come si sente dire a volte) alla sofferenza che viene spesso imposta negli ospedali alle partorienti.


Le profonde convinzioni di mia zia, tipo quella sul Belgio, erano spesso oggetto di sarcasmo da parte dei miei.
I miei non sono mai stati in Belgio.

Più passa il tempo e più sento in qualche modo di esser stato guastato dalle azioni e dal modo di pensare di Madre e Padre. In realtà guastare presupporrebbe che in origine io fossi sano, mentre invece son venuto fuori così in un processo di costruzione, quindi forse sono in realtà un prodotto finito integro che, però, sente di avere un qualcosa di strutturalmente non conforme.

Ma fino a quando e fino a quanto possiamo dare la colpa all’educazione ricevuta e al contesto in cui siamo cresciuti? Nel discorso al brindisi del mio tramemonio ho esordito con “Noi siamo la somma delle nostre esperienze”. È una frase che vado ripetendo da anni.

È una frase cui però forse, all’avvicinarmi del mio otto più trenta, sto smettendo di credere.

Perché sei tu. Non sono le cose brutte o l’educazione. Sei tu.

in italiano (io preferisco però la voce di Aaron Paul / Jesse Pinkman)

Vado a riempirmi di birre trappiste.