Non è che il Voodoo Chile sia una religione di un Paese sudamericano

Credo qualche post fa io avessi già parlato del non distruggere le convinzioni altrui; in particolare, mi riferivo alla convinzione di Padre su una bottiglia di vino che credeva gli avessi regalato io.

Oggi ho ripensato a questa cosa. Stavamo conversando riguardo Jimi Hendrix e lui mi ha parlato di un brano che il chitarrista ha composto con Curtis Knight: Ballad of Jimi del 1965, in cui uno dei due protagonisti del testo della canzone a un certo punto della storia muore. Five years, this he said, he’s not he’s just dead, recita il testo.

Jimi Hendrix in effetti è morto nel 1970: come tante storie leggendarie intorno al rock – questa forse è più di nicchia – anche questa ha circolato, sulla base dell’idea che la canzone abbia predetto la morte di Hendrix.

In realtà tutto ciò è falso: quella del 1965 è una demo e aveva un testo diverso che è stato cambiato in studio (inserendo la cosa dei cinque anni), con altri arrangiamenti, dopo la morte di Hendrix.

Padre non è tipo da credere alle leggende metropolitane, però in questo caso crede realmente che la canzone con la “predizione” sia del 1965 e trova pazzesca la coincidenza.

Conoscevo vagamente la storia, ho poi cercato informazioni appurando, per l’appunto, che non corrisponde al vero. Ma non dirò a mio padre come stanno le cose. Alla fine le storie che raccontiamo sono parte di noi, soprattutto se l’argomento ci interessa. Padre ad esempio è un grande appassionato di Jimi Hendrix.

Tutti noi conosciamo dei fattoidi, aneddoti o credenze che nella realtà sono diversi da come immaginiamo. Delle volte siamo consci della loro non veridicità, altre volte no. Ci sono fattoidi buoni o, per meglio dire, innocui, e altri che invece sarebbe il caso che si estinguessero.

Mi ricordo diversi anni fa ero convinto che nel Pantheon nonostante l’oculo non piovesse dentro, come fattoide appunto vuole. Raccontai questa cosa anche a una mia amica giapponese, che una volta venne in visita a Roma – credo fosse il 2013 – e mi chiese il favore di accompagnarla. Spero non abbia mai scoperto la verità. Oppure magari non gliene fregava niente ma le destò ammirazione la mia conoscenza.

Meglio fattoidi che fattoni, in questo caso.

Non è che ci sia cura per la rabbia

I balconi si stanno tingendo di azzurro anche qui in provincia, più lontano dal centro storico. Confesso che, pur essendo tifoso, lo trovo anche io un po’ eccessivo. Quantomeno aspetterei che fosse ufficiale, dovrebbe essere questione di un mese.

Però, d’altronde, se male non arreca a nessuno, quale è il problema?

Una volta sentii qualcuno (in realtà più di qualcuno) dire: con tutti i problemi che ci sono, che c’è da festeggiare?

In realtà io credo che proprio perché ci sono tutti questi problemi forse forse trovare qualcosa per cui entusiasmarsi non sia un male.

Sono questioni molto complesse. L’intrattenimento non può e non deve diventare un oppiaceo o peggio un bel fettone di prosciutto sugli occhi. Anche però l’esser negativi non può e non deve diventare una pillola da assume giornalmente con la quale avvelenarci il fegato per dover espiare una qualche forma di colpa che ci portiamo addosso, per non sentirci in difetto se per un giorno ce ne dimentichiamo.

Le persone stanno male. Ne sono sempre più convinto. E me ne accorgo, più che dai rimedi palliativi con cui si drogano, dalla rabbia che hanno e che esternano.

Oh, io non sono un monaco zen e non faccio eccezione. Vorrei poter sparare onde energetiche dalle mani. Però, ecco, c’è rabbia e rabbia. Pur dando per scontato che sia sempre sbagliata e che un corretto esercizio della forza non deve implicare per l’appunto l’azione rabbiosa, stabiliamo che esistono frangenti in cui sia non dico giustificata ma quantomeno comprensibile.

Ti bloccano il cancello con una sosta selvaggia mentre devi correre al pronto soccorso? Hai perfettamente ragione ad arrabbiarti.

È la rabbia indistinta, quella generalizzata, quella contro dei nemici astratti, che non trovo invece comprensibile.

È la rabbia per frustrazione, perché, pur vivendo in una società che ci permette di avere tante cose, facciamo spesso una vita di merda. Un lavoro di merda. Subiamo spese di merda.

Tutto ciò, però, mi dispiace ma non è colpa di chi festeggia uno scudetto in anticipo o dell’autorizzazione alla farina di insetti o della Sirenetta afroamericana. Certo, ognuno ha le proprie priorità e preoccupazioni: la mia sarebbe avere la certezza di godere tra 30-40 anni (visto che penso di essere giovane e di avere una discreta aspettativa di vita) ancora di acqua potabile. La paura di qualcun altro (che magari tra 30 anni manco ci sarà), oggi, è che magari “visto l’andazzo” (quale andazzo?), si troverà un giorno circondato da perbenismo senza poter essere più libero di dire ne*ro di merda. Sono scelte. Dovrebbe vincere l’acqua tutta la vita rispetto al razzismo, ma son scelte.

Non mi sento di arrabbiarmi con questa persona. Per lo meno non sempre, ci sono dei giorni in cui vorrei invece l’onda energetica di cui sopra. Mi sento però il più delle volte semplicemente di dire Mi dispiace.

Mi dispiace perché quelli come me, presunti progressisti, che si ammantano di un’aura di intellettualità dall’alto di un pene, sono in realtà individui sostanzialmente incapaci di esprimersi in modo assertivo. Colpevoli di aver lasciato che tante persone si arrabbiassero, magari perché qualcun altro – che assertivo manco è ma non gliene frega niente, punta sulla forza dell’urlato – gli aveva detto di farlo.

Cosa si può fare, ora? Non ne ho idea. Facciamo che per oggi vado a prendere dal fondo del cassetto la mia sciarpa azzurra e domani vedo.

Non è che ti serva un pugile per stendere i panni

Ieri ci siamo ritrovati una mutanda, alquanto striminzita (un tanghino direi), sul balcone, piovuta da uno stendipanni dei piani superiori. L’abbiamo gettata nei rifiuti.

Convenivamo che, avendo 3 piani sopra di noi, non volevamo girare di domenica mattina (ma anche fosse stato un lunedì) bussando alle porte per chiedere chi fosse la proprietaria o anche il proprietario (metti caso) perché l’antica mutanda andava portata in salvo. Può essere anche una situazione imbarazzante per chi apre la porta e si vede davanti uno con in mano il proprio tanghino. Magari alla gente non piace o è gelosa della propria privacy.

L’episodio, così in fretta liquidato, mi ha invece immerso in dei dubbi morali.

Pensavo, se la proprietaria (o il proprietario) nel raccogliere i panni ha notato la sparizione forse sarà ora ancor più in imbarazzo perché pensa che c’è qualcuno nel palazzo in possesso della sua mutanda.

Anche gettare il capo nei rifiuti, ripensandoci, forse non è stata una buona azione: va bene che non sembrava certo un capo costoso però magari ci teneva per un qualche motivo. Liberatevi dei tangheri ma non dei tanghini. E il dubbio di coscienza che mi viene è: se fosse stata una mutanda tipo de La Perla, che hanno un rapporto di inversa proporzionalità tra dimensione e prezzo, l’avrei gettata? Non credo.


No, in quel caso la mettevo in vendita su internet al doppio del valore fingendomi una modella.


Quindi la discriminante è il valore del capo? Un maglioncino a collo alto sì, una mutanda no? Siamo diventati così materiali? Che tempi, signora.

La soluzione agli inconvenienti sarebbe, secondo me, che in un condominio venisse posizionata una scatola degli oggetti smarriti. Uno va, di notte magari, con impermeabile e cappello, a depositare l’oggetto o il capo rinvenuto. Chi ha smarrito qualcosa passerà, sempre con aspetto travisato, a controllare che, metti caso, qualcuno non abbia trovato ciò che ha perso. Mi sembra molto più discreto e per niente inquietante.

In ogni caso, tenetevi stretti le vostre mutande.

Non è che ti prendi un’ascia per accettare i consigli

Esiste nelle persone la tendenza a voler cercare soluzioni semplici a problemi complessi. Credo che quello di semplificare sia un approccio frutto dell’evoluzione, come modalità di ottimizzazione delle risorse. Se ricordo bene, qualche legislatura fa qualcuno creò anche il Ministero per la Semplificazione. Spero che ci sentiamo tutti meglio semplificati, da allora.

La metodologia semplificativa si manifesta anche nel farla troppo facile, offrendo agli altri consigli e indicazioni all’apparenza non difficoltosi da seguire. Nella realtà non si rivelano affatto un gioco da ragazzi seguirli, per motivi indipendenti dalla volontà del singolo. Faccio degli esempi.

Ambiente
Bisogna consumare a km 0.
Magari non un km 0 costituito da un’area di 1.100 km quadrati dove vivono 3 milioni di persone e con la densità abitativa più alta d’Europa dove l’ultimo pezzo di terra è stato utilizzato per occultare qualche cadavere.

Oppure, magari hai anche un km 0 di tutta campagna ma fatta di allevamenti di maiali e mucche che inquinano di più della soia coltivata in Canda e importata.

Medicinali
Consumare entro 7 giorni dall’apertura.

Un tubetto di pomata da 100 grammi che costa quanto un tartufo bianco e di cui userai un microgrammo per 2 giorni (un tartufo almeno ti dura di più).

Psicologia
Abbastanza discutibile è sentir dire, rivolto a chi ha l’ansia, “Devi stare tranquillo”.

Come se l’ansia una persona se la provocasse per diletto. O come se non ci avesse pensato a dover stare tranquilla e una volta ricevuto il prezioso consiglio si quietasse immantinente, al suon di “Ah già che sciocco non ci avevo pensato”.

Psicologia/2
Sempre nella categoria benessere interiore, mi piace molto il “Circondati di persone positive/che ti apprezzano/che ti fanno stare bene”.

Non è molto semplice in contesti come famiglia e lavoro dove mica si può scegliere con chi avere a che fare.

Salute
Un consiglio degno delle migliori ovvietà è il leitmotiv estivo Non uscire nelle ore più calde. Mi chiedo che ne pensino rappresentanti, muratori, addetti manutenzione stradale, giardinieri e tutti quelli che lavorano all’aperto o devono passarci molto tempo.

Salute/2
Per combattere lo stress bisognerebbe prendersi più spesso una vacanza e staccare.
Intanto:
– Lavoro+Scadenze incombenti = 0 tempo
3) Soldi – (Spese+bollette+mutui+affitti)= 0€

Trasporti
Ogni volta che guido in città non posso fare a meno di pensare a una delle prime cose che ti dicono a scuola guida durante la pratica: non prendere i tombini con le ruote.

Le strade: