Non è che il trappista sia quello con le scritte in faccia che canta con l’autotune

Devo andare a Bruxelles un paio di giorni per lavoro. Non sono molto avvezzo alle trasferte pagate. Invidio chi è trasfertista di professione, Business Class e taxi anche per andare ai servizi igienici, senza porsi problema. Io invece ho quel timore reverenziale nel chiedere l’hotel più vicino all’edificio dove devo andare anche se costa 10€ in più.

In compenso, dato che ho tempi stretti per il ritorno, invece del bus-navetta Centro città/Aeroporto, ho chiesto quello col servizio “Ti veniamo a prendere dove vuoi”. Costa di più, ovviamente: eh questi lussi che ci concediamo!

Il Belgio mi fa ricordare mia zia. Era una vera ultras, non perdeva occasione di dire in Belgio hanno questo, in Belgio fanno quest’altro. Mia zia aveva viaggiato molto e visto molte cose, anche se tendeva a essere un po’ monotematica e insistere su certi argomenti, come il Belgio per l’appunto, quasi volesse spingerti a tutti i costi ad accogliere la sua fede.

Credo questo modo di fare derivasse dalla sua profonda impronta cattolica.


La religione è un’ottima spiegazione per molti atteggiamenti della società, dalla sindrome di una colpa intrinseca che si porta dietro l’umanità (“Ci meritiamo l’estinzione”, come si sente dire a volte) alla sofferenza che viene spesso imposta negli ospedali alle partorienti.


Le profonde convinzioni di mia zia, tipo quella sul Belgio, erano spesso oggetto di sarcasmo da parte dei miei.
I miei non sono mai stati in Belgio.

Più passa il tempo e più sento in qualche modo di esser stato guastato dalle azioni e dal modo di pensare di Madre e Padre. In realtà guastare presupporrebbe che in origine io fossi sano, mentre invece son venuto fuori così in un processo di costruzione, quindi forse sono in realtà un prodotto finito integro che, però, sente di avere un qualcosa di strutturalmente non conforme.

Ma fino a quando e fino a quanto possiamo dare la colpa all’educazione ricevuta e al contesto in cui siamo cresciuti? Nel discorso al brindisi del mio tramemonio ho esordito con “Noi siamo la somma delle nostre esperienze”. È una frase che vado ripetendo da anni.

È una frase cui però forse, all’avvicinarmi del mio otto più trenta, sto smettendo di credere.

Perché sei tu. Non sono le cose brutte o l’educazione. Sei tu.

in italiano (io preferisco però la voce di Aaron Paul / Jesse Pinkman)

Vado a riempirmi di birre trappiste.

Non è che se l’aria ristagna usi il collutorio per aver un buon alito di vento

Beati quelli che si aspettano, perché non saranno mai in ritardo (Gintoki 2, 1).

Una volta aspettai un’ora sotto casa. Dopo lo squillo per segnalare il mio arrivo, attesi il fisiologico lasso di tempo di preparazione femminile. Quando giudicai che fosse eccessivo, feci un altro paio di squilli.


Non esiste un parametro per decidere se l’attesa sia eccessiva. Diciamo che va valutato sempre a occhio, a seconda della persona e del tipo di uscita.


Poi passai a telefonare, ma non rispondeva. Alla fine chiamai sul fisso e rispose. E lì realizzai che non ci eravamo affatto dati appuntamento.

Fu però carina a scendere lo stesso, anche in tempi brevi.

Io se fossi stato una donna sarei stata una di quelle che impiega 2 ore per prepararsi. Sono puntiglioso sul mio aspetto e debbo curare i dettagli. Se un pelo della barba non mi piace perché non rispetta la simmetria architettonica pilifera debbo tagliarlo. Non esiste che me ne vada via dandogliela vinta.

Quando ho poco tempo ho imparato a ottimizzare. Una volta mi sono lavato i denti mentre urinavo.


Era una cosa lunga. Effetti del tè verde.


Essere un ambidestro torna utile di tanto in tanto.

Ci sono cose che invece non puoi controllare. Ad esempio, quando si ha fretta le lenti a contatto non andranno mai bene e renderanno l’occhio simile a quello di Sauron. A Mordor a causa dell’embargo non c’era disponibilità di gocce oftalmiche.

Potrei sembrare vanitoso, in realtà curo un semplice stile barbonal.

Sono, comunque, maniacale. Come cantavano gli Elio, Quando c’ho la ragazza faccio la conchetta per sentirmi il fiato. Con la differenza che lo faccio anche se devo solo andare a comprare il giornale. Gli edicolanti vanno rispettati.

A volte mi chiedo quanta gente si faccia la conchetta.

Me lo sono chiesto oggi, quando è arrivato il Capo dei Capi. Ha scambiato velocemente due parole con me, prima della pausa pranzo.

Aveva il classico alito da uomo d’affari attempato. Digiuno, un caffè veloce, ore di discorsi e il risultato è che in bocca si forma un misto di afrori: poltrona degli anni ottanta in tessuto, mai lavato, su cui la gente ha fumato, mangiato, ha poggiato la testa coi capelli unti di sebo, e bagno pubblico dove per entrare bisogna dare 50 centesimi alla signora delle pulizie, che, sì, lo pulisce, ma resta quello sgradevole odore di tubo di scarico in eternit in sottofondo.

La mia reazione mi avrà reso un po’ strano ai suoi occhi: gli parlavo come fossi una torre pendente, i piedi più vicini a lui rispetto al busto e alla testa.

Comunque è stato gentile, ha portato in ufficio una grossa confezione di cioccolatini assortiti belgi, belgici, belghi…ha portato una grossa confezione di cioccolatini assortiti dal Belgio.

Di bruxismo e parigine

Le vacanze son già finite. Eh già.

Ho passato 4 giorni in solitaria in quel di Chiusi (di cui magari parlerò in un post a parte), prima di partire per il Belgio, con breve tappa a Parigi.

Il simpatico Ivàn, il padrone di casa che ci ha ospitato a Bruxelles, mi ha scambiato per Kurt Cobain. O meglio, mi spiego. Su Airbnb ho come immagine del profilo questa qui:


Quando ho contattato Ivàn, dicendogli ciao, io e il mio amico Tizio vorremmo visitare Bruxelles e bla bla, lui mi ha risposto

Hello Gintoki,
The place is available for you at this date. You are welcome.
Is Tizio a person or your cat?

Sulle prime non l’ho capita, poi ho pensato ok avrà visto la foto e avrà fatto la battuta.

Se non che, quando a Bruxelles ci ha aperto la porta, dopo avermi visto mi ha fatto: Non t’avevo riconosciuto, hai tagliato i capelli.

Ok. Certo. Magari sì, sarebbe meglio avere la propria faccia su Airbnb visto che qualcuno dovrà tenerti sotto lo stesso tetto, ma chi mi ospiterebbe vedendo la mia vera faccia?!

Passiamo ad altre cose particolari.

In Belgio non stampano i menu. Il motivo è comprensibile, avendo più birre che abitanti e cambiandole ogni sera, stampare i menu costerebbe un patrimonio. Quando la prima sera ci siamo seduti in una brasserie e abbiamo chiesto un menu, il cameriere perplesso ha staccato una lavagnetta dal muro sulla quale c’era scritto col gesso cosa offriva la casa.

Italiani.

Certo, siamo stati sempre migliori di quel gruppo di quattro italiani che è arrivato con delle vaschette di alluminio in mano, si è seduto al tavolino fuori la brasserie, le ha aperte e ha cominciato a mangiare. La cameriera gli ha fatto notare che quella non era un’area pic-nic e loro se ne sono andati scontenti. Li ho ritrovati a mangiare su delle panchine poco più avanti.

Da quel momento abbiamo deciso di fingerci spagnoli, greci o qualunque altra popolazione mediterranea.

Nelle campagne belghe è impressionante il numero di mucche allo stato brado a poca distanza dei binari ferroviari. Penso sia nata lì l’espressione sul famoso sguardo della mucca che osserva passare il treno.

Ho visto un tizio che pretendeva di portare a spasso il gatto come se fosse un cane. Lo teneva in braccio, poi lo metteva a terra e riprendeva a camminare incitandolo a seguirlo. Il gatto, un po’ smarrito, si guardava intorno, cosicché il padrone lo riprendeva in braccio, percorreva qualche metro e poi tentava di nuovo di metterlo a terra.

Io i turisti comincio a non sopportarli più. Si piantano davanti a te imbambolati e non si muovono. Sì, certo, anche tu sei un turista, direte. Ma io se devo fare una foto la faccio e mi tolgo, tempo due secondi. E non intralcio la strada. A volte sono lì lì per lasciarmi scappare un “via dai coglioni”, poi mi trattengo perché o potrebbero essere italiani o comunque si potrebbe capire. Il che, comunque, non sarebbe forse un male.

Due che si passavano una cicca di sigaretta stile Coppi & Bartali:

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I waffle col cioccolato fuso. Ho detto tutto.

Ho viaggiato da Bruxelles a Brugge senza che nessuno mi controllasse il biglietto del treno. Questo mi ha fomentato piani criminali nella testa. Al ritorno mi è stato controllato ma non con il palmare, il controllore l’ha solo pinzato con l’obliteratrice portatile. Essendo un biglietto preso online e stampato, ho pensato non ci vorrebbe nulla allora farsene uno a casa da soli copiandone il modello! Altri piani criminali.

I parigini son più gentili di come li ricordavo. Il tornello della metro mi aveva lasciato passare il biglietto ma le porte erano rimaste chiuse: io stavo per tornare indietro quando, con un colpo di bacino che sarebbe valso cartellino rosso diretto per fallo da dietro, un tizio mi ha spinto in avanti bofonchiandomi contro qualcosa del tipo “vai vai”. Gentilissimo. Ma cos’hanno sempre da correre?

È bello notare che dal 2011 quando ci andai la prima volta, non è cambiata la moda di un certo standard femminile di parigina: filiformi, un po’ androgine, cappello, giacca. Bevono un bicchiere di vino fuori una brasserie, si portano il mac-coso per scrivere fuori un bar, probabilmente parlano di vernissage.

C’è un ristorante basco a Parigi dove la specialità è una grossa escalope ricoperta di patate, ricoperta di funghi, ricoperta di besciamella, ricoperta di salsa non so cosa. Penso sia illegale in diversi Paesi e anche nei peggiori bar di Caracas.
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Lo so, dall’aspetto sembra vomito. Ma è una goduria del palato. Se la finite tutta, vi vengono a stringere la mano. Usciti dal ristorante è consigliabile incidersi un braccio e ciucciar via il colesterolo prima che entri in circolo.

I mercati rionali di frutta, verdura e pesce sono uguali in tutto il mondo. Almeno il mondo che ho visto. E la voce dei fruttivendoli che urlano i prezzi della frutta è sempre uguale. È un mestiere che richiede una predisposizione, quindi?