Non è che un esame ti riempia di fiducia perché ti dà il credito

Giovedì ho sostenuto l’ultimo esame. Ora manca solo il tassello finale, la seduta ad aprile (certo, in mezzo ho una tesi da completare).

È una bella soddisfazione e anche una liberazione. Anche perché questo esame l’avevo rimandato a lungo: doveva essere il primo, poi pensai di riprovarlo l’anno successivo (cioè l’anno scorso), e, alla fine, è diventato l’ultimo.

Mi sono reso conto che portare avanti un percorso di laurea, per il me stesso attuale, è un po’ faticoso.

Fin quando si tratta di preparare esami in forma scritta, ricerche, presentazioni, tesine eccetera riesco a conciliare l’attività con il resto della mia vita, anche perché per scrivere qualcosa basta anche una mezz’ora al giorno. Tra l’altro, come ho già raccontato su questo blog, mi capita durante il giorno mentre sto facendo altro di pensare a quel che devo scrivere – sia un post di cazzeggio qui sopra o una ricerca – e, quando mi metto davanti al pc, devo solo trascrivere quel che avevo in mente.


Delle volte appartenere alla specie dei rimuginanti, quelli col cervello diviso in omaso, abomaso e rumine, ha i suoi vantaggi.


Prendere in mano un libro da 600 pagine da conoscere a fondo mi è invece impegnativo. Tra il lavoro, lo sport, la gestione di una vita di coppia e di una casa, non basta aprirlo per mezz’ora al giorno come fosse un testo di narrativa. Mezz’ora mi serve giusto per concentrarmi, mi ci vorrebbero 3 ore in cui avere la certezza e la tranquillità di non avere altro da fare. Cosa che, mi son reso conto, attualmente non ho.

È quindi per questo sono ancor più soddisfatto del risultato. Nel 2020 quando decisi di prendere una seconda laurea, in storia, lo feci un po’ per sfida, un po’ per hobby, un po’ per passione. Un po’ perché se a settembre di ogni anno non inizio qualcosa mi sento demotivato. Non nascondo a tratti mi sia stata di peso questa scelta, per il discorso di sopra. Però sempre meglio far qualcosa che piace che ricevere un calcione, diceva il saggio, quindi il senso è: non ti lamentare o riceverai un calcione.

Diciamo però che studiare lo metto nella lista delle “Cose divertenti che non farò mai più”. Per ora.

Non è che all’ingegnere edile piacciano i libri corposi perché son dei mattoni

Da qualche mese in città ha aperto una libreria. Non una di quelle appartenenti alle grandi catene. Anzi, a dire il vero ospita libri di case editrici minori o poco conosciute.

Il proprietario è uno di quelli che lavora per passione. A volte ti dà l’impressione che le opere che ospita nel locale li abbia lette tutte. Se gli chiedi un consiglio dandogli indicazioni riguardo genere/contenuti/romanzi-letti-in-precedenza lui comincia a metterti in mano libri su libri che conosce invitando ad accomodarti e a sfogliarli con calma.

Ho imparato a dirgli Stop! al quarto volume che mi impila addosso. Se non altro perché:

  1. Avere troppa scelta mi getta nell’indecisione;
  2. Avere troppa scelta mi fa sentire obbligato a studiarle tutte in modo approfondito;
  3. Avere troppa scelta mi fa sentire in colpa perché poi lui dovrà rimettere a posto i libri.

Ho deciso di sostenerlo rivolgendomi sempre a lui per i miei acquisti. Sia perché trovo cose che mi piacciono e di cui non verrei a conoscenza in modo normale sia perché quantomeno lui è un vero lettore e sa capire i gusti altrui.

Ho avuto a che fare in passato con personale di libreria che aveva il modo di fare di un salumiere:

– Qualche consiglio su qualche romanzo…Qualcosa con personaggi introspettivi, che si interrogano sulla propria vita e le relazioni con gli altri…Tipo Il Senso di una fine di Barnes, oppure anche Pastorale Americana metterei in questa categoria…
– Lì ci sono i nuovi arrivi, c’è l’ultimo di Fabio Volo
– Ah.

Questa libreria sta diventando invece per me un rifugio sicuro. Un luogo dove scambiare due chiacchiere e prendere un caffè.

All’interno vi trovo sempre anche un tizio un po’ strano. È amico del proprietario. O forse solo un complemento d’arredo.

È del tipo strano ma innocuo. Almeno credo. Oggi mi chiedeva se fosse penalmente perseguibile un omicidio in acque internazionali.

Costui dice che ho una faccia conosciuta.
Quando mi dicono così io rispondo di avere la stessa sensazione. Anche se magari non è vero e il volto del mio interlocutore mi è più anonimo di un Anonymous.

In realtà questo tizio da libreria mi sembra realmente di averlo già visto. Non lui in persona, ma il suo genere. Esistono persone che appartengono a dei generi: sembrano somigliarsi tutti, frequentano la stessa tipologia di ambienti, magari parlano anche allo stesso modo. Tra di loro forse non si conoscono nemmeno, ma tu che li vedi vivi in una perenne sensazione di déjà-vu: Ma questo mi sembra di averlo visto….

Un esempio di genere sono ad esempio le Devastate da Concerto. Quelle che l’unico sprazzo di lucidità l’hanno avuto nel 1995 mentre ordinavano un caffè macchiato.

Gli occhi sporgenti, indice di ipertiroidismo o di abusi di ketamina. Capelli tagliati corti davanti (male) a formare una frangetta da paggetto o novizio sacerdote. Magre come un Fassino e naso aquilino. Calze a rete nere anche a ferragosto. Una Tennent’s in mano anche se in quel posto non le vendono. Età indefinibile tra i 18 e i 40.

A ogni concerto dove vado vedo una tizia così.

Il dubbio orrendo che poi ti sorge è: quando sono gli altri ad aver l’impressione di averti già visto da qualche parte, non è che sei anche tu parte di un genere? E quale?

Ricorda: il prossimo genere potresti essere tu.