Non è che sui congiunti chiedi parere a un salumiere perché ne sa di affetti

Sono giorni confusi e proprio quando ancora ci stavamo interrogando sui congiunti e sugli affetti, interviene a lanciare un altro spunto di riflessione il Vice Ministro alla Salute che afferma, cito testualmente, “Anche un’amicizia può essere un affetto stabile, come un fidanzato, se è considerato un amico vero e non è una scusa”.

Io qui mi perdo un attimo perché mi chiedo: è necessario anche mi congiunga carnalmente coi miei amici come con una fidanzata? No perché non è che mi senta molto invogliato a farlo. Va bene il bene ma manteniamolo a uno stadio platonico.

Anche sulla definizione di “vero amico” ho da pensare. Credo di avere, sparsi in giro un po’ dovunque, diversi “veri amici”: tutti selezionati da ubriaco. Sono il tipo di bevitore, infatti, che quando supera una certa soglia alcolica comincia ad amare tutti.

Prima di ridere, vorrei prendere a citazione Erodoto, che, parlando dei Persiani, scrive

«Quando sono ubriachi, sono soliti decidere le cose più serie. Ciò che a loro piacque mentre decidevano, il padrone della casa, nella quale sono riuniti a consiglio, lo ripropone il giorno dopo, quando sono sobri; se lo approvano anche da sobri, mettono in atto la loro decisione; se non lo approvano, ci rinunciano. Tuttavia, se la prima volta hanno deliberato da sobri, tornano a decidere quando sono ubriachi.»

Quindi il mio stadio di alterazione in realtà è un metodo decisionale.

Per venire alla questione posta dal Vice Ministro, nella valutazione sull’amicizia andrebbe considerato se il giorno dopo la bevuta si prova lo stesso per quella persona. Se si è amici partendo da sobri, invece, bisognerebbe allora berci su per considerare la cosa.

Quindi l’idea è che alla riapertura la cosa migliore sarebbe quella di andare a incontrare un amico o presunto tale portandosi dietro da bere.

Doppia bottiglia di tutto, così ognuno ha la propria e non si rompono le distanze. E l’amico, se è amico vero, avrà provveduto a fare lo stesso.

Non è che quando sei stufo vai dal barbiere per darci un taglio

Ho tagliato i capelli perché speravo di non riconoscermi.

Per un po’ ci sono cascato, finché non sono arrivato a casa e, guardandomi allo specchio, mi sono chiesto Chi sei? Vattene da casa mia prima che chiami la polizia. Allora ho gettato la maschera. Nel bidone della latta, perché era una faccia di tolla.

Si trattava di un bluff perché in realtà non saprei come chiamare la polizia ungherese. Conosco il numero ma non so se chiamandola in altre lingue sappia rispondermi. E, inoltre, “polizia ungherese” è troppo lungo da dire: il tempo di esclamarlo e il malintenzionato è già scappato (Troisi docet).

Di cattivi soggetti a parte il sottoscritto comunque non ne ho visti mai nella mia zona.

Il caso più interessante – per rendere l’idea – si è verificato la settimana scorsa, verso mezzanotte. Un semplice ubriaco che cantava giusto sotto la mia finestra. O forse era uno sobrio che cantava canzoni di un ubriacone (tipo Vászko Rószi, noto artista magiaro).

Volevo omaggiarlo della performance con qualche frase apotropaica dialettale ad ampio spettro geografico (cioè coprendo un ventaglio di improperi Nord-Sud), solo che ha smesso dopo poco. Mi sono sentito molto triste. Un essere umano dovrebbe pur aver diritto di sfogarsi col primo ubriaco di passaggio. Tanto lui beve per dimenticare, quindi non avrà memoria dell’accaduto.

Quando abitavo a Blaha, una zona un po’ più borderline, qualcuno è stato da me apostrofato male ma credo fosse troppo ciucco per rendersene conto. Erano comunque ubriaconi a modo, mettevano le lattine di birra nel cestino.

Il riciclaggio è importante. Vorrei darmi a quello del denaro.

Ho imparato da molto tempo a separare i rifiuti.

I due di picche, ad esempio, vanno nell’organico. Perché in fondo tutto si riduce a una questione di organi.

I feedback negativi al CV vanno nel vetro, perché sono speranze in frantumi.

Gli intenti positivi bloccati sul nascere, nella carta, perché sono castelli di tal materiale.

I Non lo so, nell’indifferenziato.

Potrei aggiungere altro ma temo di non riconoscermi più. Già ho avuto problemi a identificare collutorio e shampoo, causa flaconi simili.

Almeno, comunque, ora il mio taglio di capelli non perderà lo smalto di un tempo.

Non è che un avvocato prenda un antiemetico contro il rigetto del ricorso


Per l’argomento trattato, questo post potrebbe dare il voltastomaco.


Un giovane ungherese medio – o da dito medio – vive il proprio weekend in questo modo: alle 21 è già ubriaco. Alle 22 si aggira per le strade in versione morto vivente. Alle 23 comincia a vomitare. Alle 24 in genere ricomincia a bere.

Il vomito non è fonte di imbarazzo e chi è colto da malessere non cercherà un posto appartato per liberare il proprio stomaco. Vero è che quando parte il conato – e anche il cognato e tutto il parentado – c’è poco da fare, ma il giovane di qui si libera senza remore dove gli capita. Occorre prestare quindi massima attenzione a possibili e improvvisi bombardamenti liquidi.

Se sei di sesso maschile – ma a volte anche di sesso femminile va bene – capita che qualche ragazza ubriaca ti cada addosso. I giovani di qui si accoppiano infatti in questo modo, si cadono addosso a vicenda attendendo che, come in una reazione atomica, lo scontro abbia degli effetti.

Un attimo dopo averla allontanata da te e rimessa in piedi alla bell’e meglio, vedrai la fanciulla cadente rigettare anche l’anima o qualsiasi cosa serbi nel suo intimo (che di sicuro comunque non è Chilly).

Allora realizzi che ti aveva preso per un cesso.

L’esperto di grammatica è in decadenza perché declina.

Con il capolinea ho un rapporto difficile.
A cominciare dalla declinazione al plurale della parola: come si dice?

Il plurale delle parole composte italiane è sempre fonte di grattacapi eppure la grammatica dovrebbe essere uno dei capisaldi del sapere di ogni buon cittadino, a mio avviso. Lo so, quelli come me sono sempre dei guastafeste, pronti a correggere il minimo errore altrui. Ma io lo considero solo come uno dei miei passatempi, come recitare degli scioglilingua o sistemare i portapenne. Non dirò altro perché non voglio che facciate i ficcanasi (o le ficcanaso) sulle mie abitudini. Dicevo che volevo parlare di capolinea e, perché no, anche di capistazione.


GRAMMAR-GAME
Adesso provate a ricavare le varie regole grammaticali per la formazione del plurale dalle parole scritte in corsivo.


La prima volta che presi un autobus, da solo, anni e anni fa, sbagliai direzione perché non lessi bene la tabella. Accortomi di aver sbagliato autobus, pensai Fa niente, arriverò al capolinea e prenderò quello giusto. La cosa più logica sarebbe stata invece scendere appena resomi conto dell’errore e aspettare alla fermata sul lato opposto, ma il mezzo si era allontanato sempre di più dal centro città attraversando terre desolate, disabitate e anche un po’ zozze, quindi non me la sentii di scendere.

L’episodio si verificò altre due volte, su altrettante linee diverse. In entrambi i casi raggiunsi il termine della corsa in zone brulle e anche brutte e la cosa mi spinse a odiare i capolinea.

L’ultimo episodio mi si è verificato di recente: allo stazionamento degli autobus (cui stavolta ero arrivato intenzionalmente) al gabbiotto informazioni chiediamo quale fosse e quando partisse il mezzo per la nostra destinazione. L’omino ci scruta e poi esclama, con tono accusatorio, “Voi dove eravate?”. Ho pensato che stesse per dirci “So cosa avete fatto la scorsa estate”, ma invece ha aggiunto
“È partito proprio adesso alle vostre spalle, e stranamente una volta tanto era puntuale”
“E quando parte il prossimo?” chiedo, con candida ingenuità
“Eh non si sa. Vi conviene prendere il treno”.

Nella vita i capolinea sono come il mio primo viaggio in autobus. Innanzitutto è imprevisto e poi te ne accorgi del suo approssimarsi dal cambiamento del contesto intorno a te, che diventa sempre più arido e meno accogliente.

Le relazioni, ad esempio, terminano in questo modo. Almeno per quel che ho vissuto: prima del capolinea c’è un percorso desolante (più o meno lungo, dipende dalla resistenza dei singoli allo scoglionamento) che si fa sempre più accidentato e frustrante. Rimanete solo tu e un tizio ubriaco sul sedile in fondo che puzza come gli avanzi di un ristorante cinese.


Non è vero, basta con le battute scorrette sui ristoranti cinesi.
Nei ristoranti cinesi non buttano via nulla e quello che avanza dai piatti lo ricompongono per formare altri piatti.


La morale è: sali sugli autobus giusti e, se proprio sbagli, scendi prima del capolinea.


Comunque ho notato che capolinea si può declinare al plurale anche come capilinea.


Rispetto ed Eccitazione

(una libera versione di Orgoglio e Pregiudizio)

Quando una festa va scemando verso la fine è come ritrovarsi su di un campo di battaglia. Il grosso dell’esercito è andato via, restano dispersi vivi, feriti e morti. Stasera mentre attendevo di levare le tende, ho agganciato una moribonda.

Urge una premessa. Avevo letto di recente, credo su un blog, un quesito su se fosse lecito provarci o meno con una ragazza ubriaca (da sobri). Ora, non ricordo quale fosse il blog e chiedo perdono per prendergli l’idea senza citarlo. Se l’autore legge qui, manifesti la propria esistenza. Stasera mi è tornato in mente lo stesso interrogativo.

Mentre attendevo di sgombrare il campo, dicevo, stravaccato su un divano, aggancio una moribonda. Una ragazza che non conoscevo prima della festa e che per tutto il tempo non avevo neanche considerato. Non credo stesse proprio ubriaca marcia, stava nello stadio stordimento-mi manca un po’ l’equilibrio/cado-mi si scioglie la lingua-faccio osservazioni strane. Diciamo che nella scala dove il marciume è l’ultimo step (prima del coma etilico), lei a vista credo stesse due gradini sotto con un piede alzato verso il penultimo.

Eravamo rimasti da soli e abbiamo cominciato a parlare, uno di fronte all’altro. Poi mi alzo e mi siedo di fianco a lei. Ci parlo e la guardo parlare, ne osservo i lineamenti del viso, tutto, e penso che mi farò avanti. Avevo anche creato un contatto: a forza di stropicciarsi gli occhi, il mascara le era andato a farsi un giro per tutta la palpebra lasciando scie come se fosse passata una sudicia lumaca, così tiro fuori un fazzoletto dicendo che l’avrei aiutata a toglierlo*. Mentre con una mano compio questa azione di maquillage, con l’altra le tengo il viso. Era il momento perfetto per baciarla, era lì, stesa davanti a me. Avevo calcolato tutto, la padrona di casa che era in giro a rimettere in ordine si era allontanata e ciò mi garantiva una finestra temporale di libertà adeguata (non credo sarebbe stato elegante davanti a lei).

Invece non ho fatto niente. Perché ero sobrio (infatti avevo bevuto molto poco) e mi è sembrato di approfittare del suo stato di stordimento. Certo, nulla toglie che avrebbe potuto poi allontanarmi, mi sembrava in grado di intendere e di volere abbastanza.

Però non lo so, mi sembrava di non essere ad armi pari. Mentre riflettevo, la finestra temporale si è chiusa e si è fatta ora di andar via.

La prossima volta mi ubriaco anche io e tagliamo corto.

* La mia “geniale” tecnica, messa a punto nei laboratori Garnier dove vengono anche testati i rasoi pentalama e gli assorbenti in lactifless, consiste infatti, prima di agire, nel creare un contatto fisico preliminare innocuo ma confidenziale, tipo sistemare i capelli, la maglia e così via. Una cosa più da personal stylist che da seduttore, diciamo. Manderò il cv a Enzo Miccio.