Non è che se fai il corriere ti imbarazzi se ti guardano il pacco

Tutti meritano che qualcuno li attenda con trepidazione come si attende una consegna da Amazon (Pablo Neruda).

Ci sono molte cose che mi infastidiscono.
Sentire sui mezzi pubblici l’alito altrui, in particolare di quelli che, pur tenendo la bocca chiusa, lo emettono dal naso.
Le linguette a strappo per aprire le confezioni alimentari, che ti restano in mano oppure che tirano via solo una striscia.
I sassi che si incastrano nella suola degli anfibi.

Inoltre mi irritano i ficcanaso.

Ogni volta che in ditta qui arriva un pacco per qualcuno, parte il pellegrinaggio in ossequio alla Ingenua Curiosità per vedere cosa l’altro ha acquistato.

Oggi è stato consegnato un pacco per CR, ritirato da me in quanto lei è via per un paio di giorni. Qualcuno si affacciava, ne soppesava con lo sguardo le dimensioni. Poi è arrivato Mitja, ribattezzato Minchia, che, tutto giocoso, ha cominciato a fare “Ma cosa ci sarà qui dentro? Zac zac verrebbe voglia di tagliare via lo scotch e vedere”.

C’è un carico di cazzi tuoi, se vuoi farteli.
È quel che avrei voluto rispondere.

Dopo è arrivato anche un pacco che aspettavo da Amazon.
L’ho ritirato e sono tornato nella mia stanzetta. Dall’altra parte ho sentito Aranka Mekkanica che mi chiedeva “Cos’hai comprato?”. Io ho fatto finta di non aver sentito. Lei allora ha fatto capolino dalla porta per ripetere la domanda: io ero però chino sulla scrivania concentrato sul lavoro e lei ha ritenuto di non dovermi disturbare.

In realtà stavo contemplando la mia lista della spesa, ma lei non poteva vederlo.

Una persona sarà libera di godersi il proprio pacco senza che gli altri vi mettano il naso, spero.
Insomma, se avessi acquistato una vagina portatile autovibrante dal Giappone dovrei invitare tutti in ufficio ad ammirarla?


No, non ho acquistato una vagina portatile autovibrante dal Giappone, ma un semplice telefono. Che è autovibrante, va detto.


A tal proposito tra i rimpianti che ho del mio viaggio in Giappone – ormai tre anni fa – c’è quello di non aver approfondito abbastanza il mondo della perversione in quel Paese. Dal punto di vista di un osservatore curioso di tutto ciò che è folkloristico, lo dico senza ironia o battute.

Immaginate un popolo che, probabilmente più di tutti gli altri nel mondo, diventa sempre più asessuale.
Salvo poi rinchiudersi nelle proprie case a godersi pornografia – un mercato lì sviluppatissimo – e giochi per la solitudine.

Ciò che ricordo che mi colpì fu una sorta di pistolone aspiratutto che una volta vidi in vetrina in un negozio che vendeva di tutto, dall’elettronica (al primo piano) ai manga erotici (al secondo). Il funzionamento credo fosse semplice, il gaudente solitario vi infila all’interno il membro e poi…non lo so, il mio shock alla vista di tale attrezzo è stato tale che per me lo maciulla e lo riduce in una poltiglia liquida e il pistolone dopo si può usare come Super Liquidator.

Perché del proprio pacco si fa ciò che si vuole, e più non dimandare!, come disse Virgilio mentre firmava la ricevuta al corriere.

L’esperto di grammatica è in decadenza perché declina.

Con il capolinea ho un rapporto difficile.
A cominciare dalla declinazione al plurale della parola: come si dice?

Il plurale delle parole composte italiane è sempre fonte di grattacapi eppure la grammatica dovrebbe essere uno dei capisaldi del sapere di ogni buon cittadino, a mio avviso. Lo so, quelli come me sono sempre dei guastafeste, pronti a correggere il minimo errore altrui. Ma io lo considero solo come uno dei miei passatempi, come recitare degli scioglilingua o sistemare i portapenne. Non dirò altro perché non voglio che facciate i ficcanasi (o le ficcanaso) sulle mie abitudini. Dicevo che volevo parlare di capolinea e, perché no, anche di capistazione.


GRAMMAR-GAME
Adesso provate a ricavare le varie regole grammaticali per la formazione del plurale dalle parole scritte in corsivo.


La prima volta che presi un autobus, da solo, anni e anni fa, sbagliai direzione perché non lessi bene la tabella. Accortomi di aver sbagliato autobus, pensai Fa niente, arriverò al capolinea e prenderò quello giusto. La cosa più logica sarebbe stata invece scendere appena resomi conto dell’errore e aspettare alla fermata sul lato opposto, ma il mezzo si era allontanato sempre di più dal centro città attraversando terre desolate, disabitate e anche un po’ zozze, quindi non me la sentii di scendere.

L’episodio si verificò altre due volte, su altrettante linee diverse. In entrambi i casi raggiunsi il termine della corsa in zone brulle e anche brutte e la cosa mi spinse a odiare i capolinea.

L’ultimo episodio mi si è verificato di recente: allo stazionamento degli autobus (cui stavolta ero arrivato intenzionalmente) al gabbiotto informazioni chiediamo quale fosse e quando partisse il mezzo per la nostra destinazione. L’omino ci scruta e poi esclama, con tono accusatorio, “Voi dove eravate?”. Ho pensato che stesse per dirci “So cosa avete fatto la scorsa estate”, ma invece ha aggiunto
“È partito proprio adesso alle vostre spalle, e stranamente una volta tanto era puntuale”
“E quando parte il prossimo?” chiedo, con candida ingenuità
“Eh non si sa. Vi conviene prendere il treno”.

Nella vita i capolinea sono come il mio primo viaggio in autobus. Innanzitutto è imprevisto e poi te ne accorgi del suo approssimarsi dal cambiamento del contesto intorno a te, che diventa sempre più arido e meno accogliente.

Le relazioni, ad esempio, terminano in questo modo. Almeno per quel che ho vissuto: prima del capolinea c’è un percorso desolante (più o meno lungo, dipende dalla resistenza dei singoli allo scoglionamento) che si fa sempre più accidentato e frustrante. Rimanete solo tu e un tizio ubriaco sul sedile in fondo che puzza come gli avanzi di un ristorante cinese.


Non è vero, basta con le battute scorrette sui ristoranti cinesi.
Nei ristoranti cinesi non buttano via nulla e quello che avanza dai piatti lo ricompongono per formare altri piatti.


La morale è: sali sugli autobus giusti e, se proprio sbagli, scendi prima del capolinea.


Comunque ho notato che capolinea si può declinare al plurale anche come capilinea.