Ho tagliato i capelli perché speravo di non riconoscermi.
Per un po’ ci sono cascato, finché non sono arrivato a casa e, guardandomi allo specchio, mi sono chiesto Chi sei? Vattene da casa mia prima che chiami la polizia. Allora ho gettato la maschera. Nel bidone della latta, perché era una faccia di tolla.
Si trattava di un bluff perché in realtà non saprei come chiamare la polizia ungherese. Conosco il numero ma non so se chiamandola in altre lingue sappia rispondermi. E, inoltre, “polizia ungherese” è troppo lungo da dire: il tempo di esclamarlo e il malintenzionato è già scappato (Troisi docet).
Di cattivi soggetti a parte il sottoscritto comunque non ne ho visti mai nella mia zona.
Il caso più interessante – per rendere l’idea – si è verificato la settimana scorsa, verso mezzanotte. Un semplice ubriaco che cantava giusto sotto la mia finestra. O forse era uno sobrio che cantava canzoni di un ubriacone (tipo Vászko Rószi, noto artista magiaro).
Volevo omaggiarlo della performance con qualche frase apotropaica dialettale ad ampio spettro geografico (cioè coprendo un ventaglio di improperi Nord-Sud), solo che ha smesso dopo poco. Mi sono sentito molto triste. Un essere umano dovrebbe pur aver diritto di sfogarsi col primo ubriaco di passaggio. Tanto lui beve per dimenticare, quindi non avrà memoria dell’accaduto.
Quando abitavo a Blaha, una zona un po’ più borderline, qualcuno è stato da me apostrofato male ma credo fosse troppo ciucco per rendersene conto. Erano comunque ubriaconi a modo, mettevano le lattine di birra nel cestino.
Il riciclaggio è importante. Vorrei darmi a quello del denaro.
Ho imparato da molto tempo a separare i rifiuti.
I due di picche, ad esempio, vanno nell’organico. Perché in fondo tutto si riduce a una questione di organi.
I feedback negativi al CV vanno nel vetro, perché sono speranze in frantumi.
Gli intenti positivi bloccati sul nascere, nella carta, perché sono castelli di tal materiale.
I Non lo so, nell’indifferenziato.
Potrei aggiungere altro ma temo di non riconoscermi più. Già ho avuto problemi a identificare collutorio e shampoo, causa flaconi simili.
Almeno, comunque, ora il mio taglio di capelli non perderà lo smalto di un tempo.
Il che può sembrare un controsenso. Il blog è uno strumento di comunicazione. E credo che un minimo, tramite i testi, io riesca a trasmettere dei pensieri.
Non è direttamente consequenziale, però, che riuscire a mettere due parole in croce su una pagina equivalga a saperlo fare nel relazionarsi con le persone. Anzi.
Non so se io sia nato incapace a comunicare o se abbia perso la capacità nel corso della vita. Forse è stato nel Vietgatt. Forse in Bolivia con Che Gattara.
A 15 anni comunque già pensavo che io e il resto del Mondo parlassimo lingue diverse. Ma a 15 anni già è tanto sapersi allacciare le scarpe senza dover fare il triplo nodo per non farlo sciogliere, figurarsi mettere due concetti in fila indiana.
A casa forse a livello di ascolto/comprensione/comunicazione ho avuto segnali fuorvianti.
Madre è il tipo di persona che se le muovi una critica o le dici qualcosa che la urta si rinchiude nel mutismo e, come un’inglese, tiene il brunch.
Con Padre invece le conversazioni hanno sempre seguito due princìpi semplici:
– Hai ragione se gli dai ragione. Quindi non c’è motivo di discutere se lui ha ragione.
– Hai torto se gli dai torto. Quindi non c’è motivo di discutere se hai torto.
Se insisti è perché forse non hai afferrato il concetto, quindi affinché possa entrarti in testa alza la voce per superare la barriera del timpano.
Al di là di queste note di colore familiare, ho da tempo maturato la rassegnata convinzione che sono io a non essere in grado di esprimermi. Se non riesco a trasmettere i miei concetti questo non è un problema dovuto agli altri. Accade con più persone, in più contesti.
Ci sono occasioni comunque in cui fatico a tenere salda questa mia convinzione.
La mia collega, CR, ad esempio delle volte mi sembra proprio una vera tonta.
È una persona che stimo per le tante belle qualità che ha ed è una grande amica, ma mi lesiona il sacco scrotale tutte le volte che le dico una cosa e siccome non l’ha capita mi guarda con l’espressione della gallina che osserva una foglia di lattuga in mano al fattore.
Inoltre ho notato che lo stesso atteggiamento lo ha anche la sorella. Quindi è proprio un tratto genetico.
Ma anche queste sono note di colore.
Come disse l’imbianchino al figlio: Un giorno questo colore ti sarà utile.
A volte mi vien da rinunciare a provarci. A dire qualcosa che sia un qualcosa, intendo.
A quelli che obiettano e contraddicono prima che tu abbia terminato di esprimere il concetto.
A quelli che interpretano a modo loro ciò che hai detto, in base a un’idea precostituita nella loro mente.
A quelli che danno una connotazione negativa a ciò che dici, perché pensano tu l’abbia detto per offendere o criticare o giudicare.
A quelli che devono stravolgere o estremizzare i concetti per invalidarli ed evitare un confronto su base razionale.
Il cosiddetto argomento fantoccio o argomento uomo di paglia o straw man argument.
Io rinuncio.
Evidentemente non sono in grado di far pervenire un messaggio al prossimo. Mi esprimo male o, ancora, sono fraintendibile. Ammetto poi di non aver pazienza e diplomazia e questo non giova al mio intento. Ho la calma di Vittorio Sgarbi sotto effetto di caffeina.
Comunicare non fa per me e persistere è un gioco inutile.
È come se mi incaponissi a voler infilare triple come Stephen Curry.
Non sono in grado, perché andare avanti? Troverò altro da fare, un’altra attività. Comunicare non è mia abilità. Si può stare in mezzo alle altre persone lo stesso tenendosi sul generico.
L’alternativa sarebbe quella di rispondere e argomentare soltanto in forma scritta. Certo i tempi sarebbero dilatati in modo abnorme, ma forse potrei lanciare una moda.
Potrei anche offrire un servizio a pagamento. La risposta posticipata, su qualunque argomento.
Vi sentite a disagio nel dare una risposta a chi vi ha chiesto di uscire? Dovreste far presente a qualcuno che il suo comportamento non è stato appropriato in una determinata situazione? Non sapete come argomentare la vostra posizione in una discussione? La risposta posticipata è quel che fa per voi!
Si offre consegna telematica, postale e, in futuro, non escludo anche di persona!
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Milano?
Ho inviato dei CV lì, chissà. Tra l’altro, a livello statistico personale, la fascia oraria 14-16 è quella in cui ho sempre ricevuto chiamate per lavoro.
Rispondo senza pensarci, sapendo di rimetterci 2 euro dalla Wind.
Come è noto, di recente è entrato in vigore il Regolamento UE 2120/2015 che disciplina tariffe e costi standard all’estero: la cosiddetta Eurotariffa. Tale tariffa si applica in automatico a meno che non siano attive altre offerte: la Wind da aprile ha attivato autonomamente in alternativa l’Offerta regolamentata UE, che costa 2 euro al giorno (scalati in automatico al primo sms inviato/chiamata effettuata/ricevuta) e garantisce 15 mn di chiamate, 15 sms, 50mb di traffico. Trovo che la Wind non sia stata molto trasparente nell’informare la clientela sulle modalità di disattivazione¹.
¹ Io del resto non ero stato lesto nel disattivarla, anche perché attualmente non ho esigenze di utilizzare il cellulare per chiamate o sms: Skype/Messenger/Whatsupp sono più che sufficienti per gestire i miei rapporti umani e disumani. E inoltre avevo diffidato chiunque dal telefonarmi dietro minaccia di ritorsioni trasversali.
– Pronto?
– Buonasera, lei conosce Sky?
– No, ma conosco imprecazioni in varie lingue e dialetti. Clic.
Gli operatori call center appartengono a una delle categorie più bistrattate e odiate. A volte poi ci si dispiace anche, quando sovviene che si tratta di semplici persone rese ingranaggi di un sistema perverso.
Per fortuna negli ultimi anni hanno cominciato a delocalizzare anche i call center, così invece di odiare altri italiani potremo prendercela con albanesi, polacchi e rumeni che, diciamolo, già ci stanno sui maglioni e quindi i nostri sensi di colpa sono in salvo.
Alcuni operatori, comunque, meritano di essere bistrattati.
Per un periodo ho lavorato in un’azienda di teleselling, nel dietro le quinte.
E anche dietro qualche sesta: avevo due colleghe possenti e giunoniche.
Il primo giorno ci fecero dare un’occhiata alle catene di montaggio, ovvero le postazioni.
Mi rimarrà sempre impressa la telefonata di un operatore:
– Buongiorno signora, c’è il Sig. Pinco Pallino? Sono Tizio dalla Xyz
– No grazie, non siamo interessati
– SIGNORA! IO HO FATTO UN’ALTRA DOMANDA! Le ho chiesto se c’è suo marito, non mi importa se le interessa o meno!
La signora buttò giù il telefono, ovviamente.
Io avrei buttato lui giù dalla finestra però eravamo soltanto al primo piano.
Pensai che Tizio fosse un folle.
Poi scoprii che era tra i venditori più prolifici per numero di contratti chiusi mensili. La sua tecnica era quella del piazzista irruente di spazzole a domicilio: infilare il piede nella porta al limite della violazione di domicilio.
Di aspetto somigliava a Milhouse dei Simpson.
Con tutto il rispetto per Milhouse e per tutti i Milhouse esistenti, ma un Milhouse non ha l’aspetto di uno che incute timore. Questo Milhouse del call center era un leone da telefono.
Non ho mai lavorato in modo diretto in un call center, seppur in periodi di crisi socio-economica personale e di dubbi sul mio pene per un paio di volte ho avuto la tentazione di provare.
La prima volta mi fece un colloquio un tale che sembrava fosse più sfiduciato di me.
Mi poneva domande annoiate a caso tra quelle più comuni, del tipo Come ti vedi tra 5 anni? o Sogni nel cassetto?.
Il momento più sincero fu quando mi chiese se leggessi. Dissi che avevo appena finito Sostiene Pereira e vidi in quel momento un barlume di lucidità nei suoi occhi. Finalmente mi guardò in volto, dicendo: Grande scrittore, Tabucchi.
Poi tirò un sospiro e si spense di nuovo.
Fu l’unica volta che dopo un colloquio dissi Le farò sapere.
Un’altra volta presi appuntamento per il colloquio però poi in un moto di ribellione successivo decisi di disdire. Pensai che il karma mi avrebbe punito e invece trovai un’altra occupazione.
Un lavoro è un lavoro, ma non sono bravo a vendere spazzole o a infilare il piede nella porta e, oltretutto, non avrei mai il coraggio di chiamare qualcuno alle 8 di mattina del 1° gennaio come fece una volta una ragazza della Vodafone.
Mi trattenni dall’esser sgarbato per compassione e per l’obnubilamento della fase REM da cui ero appena uscito, poi però il mio cervello si attivò quando lei disse “…Allora se lei è d’accordo le attivo la promozione…” e a quel punto, con la voce legnosa e scheggiata come Barbalbero le dissi Nooo. Un’operatrice dovrebbe avere più criterio. E misi giù.
È un brutto mondo. Soprattutto perché ho sprecato 2 euro perché mi ero illuso.
Da quando sono qui sto forse guarendo da una mia malattia.
La sindrome della sega mentale da silenzio.
È una malattia diagnosticata per la prima volta nel XIX secolo in Tanz-ania, terra della disco come dimostra questo reperto archeologico a essa dedicato (attenzione, può provocare epilessia, conati e cognati di vomito):
Si narra che la sindrome fece la propria comparsa durante l’incontro tra l’esploratore Henry Morton Stanley e il collega David Livingstone: tutti ricordano la celebre frase di Stanley (il Sig. Livingstone, presumo?). Cosa disse invece Livingstone? Perché nessuno lo rammenta?
Perché non disse proprio nulla! Era troppo preso a farsi le seghe mentali sul cosa dire e sull’aspettativa che l’altro avesse di sentirsi dire qualcosa, una situazione che nella testa degli infetti dal morbo crea un corto circuito nel cervello, che entra in un loop ciclico-ridondante:
Io ne soffro da tempo, ormai non ricordo più quando ho contratto la sindrome.
Parlo poco e a questo non c’è rimedio. Apro bocca se penso di avere qualcosa da dire, foss’anche una minchiata ma una minchiata che ritengo vitale esprimere.
Come un economista keynesiano sa (come cantava Battisti: keynesiano di un campo di grano?) bisognerebbe però evitare rischi di sovrapproduzione di minchiate altrimenti il mercato (il pubblico che ascolta) dopo un po’ non riesce più a smaltirle. Problema che mi è capitato spesso di dover gestire.
Mi pongo però il problema che gli altri si aspettino che io dica qualcosa o che stiano pensando che io non stia dicendo nulla e mi giudichino in base a questo.
Ultimamente si sta verificando un fatto nuovo. Sento di avere smesso di preoccuparmi del dover dire qualcosa. Sarà perché se intorno a me parlano in ungherese sono esentato dal partecipare. Non credo mai imparerò una lingua che ha 44 lettere nell’alfabeto e 18 casi declinabili e che ha degli scioglilingua che parlano di turchi che picchiano greci con sommo godimento*.
* Öt török öt görögöt dögönyöz örökös örömök között. Letteralmente dovrebbe essere: 5 turchi picchiano 5 greci con eterno piacere.
Anche se va detto che almeno una parola nuova al giorno riesco ad apprenderla. Oggi ad esempio ho scoperto che simpatico si dice szimpatikus, pronuncia “simpàticush”, che sembra detta in un dialetto dell’alta bassa valqualcosa lombardoveneta.
Anche potendo parlare in inglese mi sento comunque esonerato dal dover dire molte cose. E, in fondo, l’inglese è più conciso e sintetico dell’italiano. Pensate solo a quante cose può significare get. Lo piazzi lì al momenti giusto e taac hai risolto la frase.
Sono le famose conversazioni “usa e get”.
Giuro che quando l’ho pensata questa battuta mi sembrava migliore.
Ma anche con gli italiani che frequento, che sarebbero CR, L’Ingrugnito, sorella di CR, altri loro amici, mi sento libero dalla paranoia del dover parlare e di essere giudicato.
La sorella di CR è di viso la sua copia ma hanno caratteri diversi. Laddove CR è posata e tranquilla, la sorella sembra più estroversa, incline alle battute e allo sfottò. Poi l’una (CR) è bionda, l’altra si tinge di rosso, il che insieme agli occhi chiari e agli zigomi pronunciati contribuisce a darle un aspetto un po’ vampiresco. Pertanto, ho deciso di soprannominarla LSD: La Sorella Demoniaca.
Non so se sono guarito o se è un effetto passeggero. Non mi sento più preoccupato dall’essere giudicato male dalle persone se rimango zitto. E, in aggiunta, sono giunto alla conclusione che se qualcuno dovesse pensare male di me non è affatto un mio problema.
Quante cose che si apprendono non imparando le lingue! L’ignoranza ci salverà tutti.
Il modo migliore per concludere l’anno è passare in rassegna l’elenco di persone strane che ho avuto modo di incontrare o con cui ho avuto a che fare nel corso del 2015.
Mi sono reso conto che in giro c’è molta gente esaurita. E, se Tantum mi dà Tantum – come disse la ragazza con un’infezione intima – chissà io chi debbo aspettarmi nel 2016!
10 – Lilla
Lilla non l’ho ancora introdotta, ma è una che lavora dove sto io a Budapest.
Si chiama appunto Lilla, non è un mio soprannome.
Se non ne ho scritto sinora un motivo c’è: non parla. Mai.
Ha il viso di ghiaccio. Non muove un muscolo facciale, forse non respira neanche. Una volta l’ho vista mangiare, quindi credo non sia un robot. È una giovane donna (penso non superi i 25) che ha l’aspetto e il fisico di una modella e veste sempre molto elegante e raffinata.
Non saprei che altro dire, perché in ufficio è praticamente presenza invisibile.
Però ha un’ottima resistenza alcolica. Alla cena di Natale l’ho vista buttar giù 6 bicchieri di rosso e due di palinka (la grappa locale) senza perdere un grammo di aplomb. Complimenti.
E quando dico bicchieri di grappa, intendo proprio bicchieri interi: non i cicchettini.
9 – L’ingegnera
22 dicembre, ore 21. Faccio scalo a Roma. Volo per Napoli.
Di fianco sull’aereo ho una donna che, dopo avermi chiesto l’ora e aver commentato con stupore che il mezzo avesse ben 200 posti (e a prova di ciò mi ha anche mostrato una pagina della rivista di bordo in cui erano elencate le specifiche tecniche dei velivoli della flotta: timore magari che non le credessi?!), attacca a fare conversazione.
Una persona interessante, che, come mi ha raccontato, girava il mondo per supervisionare impianti petroliferi.
Mentre le parlavo dei miei viaggi cominciò però a inquietarmi, perché mi fissava con gli occhi sbarrati e spalancati e una strana espressione di meraviglia. Tanto che non riuscivo a guardarla in faccia e non capivo il perché. Tornato a casa, ho avuto un’illuminazione. La sua espressione, che il Dio dei gatti mi fulmini se mento, era identica a questa:
Una ragazza sorpresa dallo scoprire che un aereo abbia ben 200 posti
8 – Il poeta Fiorentino Ottobre.
Alla stazione Termini mi viene incontro un tizio sulla sessantina, tutto gioviale e sorridente. Trascinando un carrellino di quelli che le sciure utilizzano per fare la spesa al mercato, con un ampio sorriso mi si pianta davanti e fa:
– Permette? Sono un poeta fiorentino!
Io rispondo I’m sorry, I don’t speak italian.
7 – L’Affarista Fiorentino Giugno.
Metto in vendita un lettore mp3 su Subito.it. Mi scrive un tizio dicendosi interessato chiedendomi il prezzo senza spedizione (non era prevista alcuna spedizione, comunque!). Poi mi chiama.
– Tu sei a Roma, giusto? (chiedo)
– No, sono a Firenze
– Scusami, come fai col ritiro? Perché mi hai poi chiesto il prezzo senza spedizione
– No tranquillo poi vedo di organizzarmi (che vuol dire?)
– In che sei laureato? (prosegue)
– Scienze Politiche (ma che ti frega?)
– E com’è questa politi’a? Un gran ‘asino, eh?
– Penso che in Italia sia difficile governare e far politica perché ci sono molte linee di frattura e particolarismi
– E ‘he ne pensi del mio ‘oncittadino, eh?
– Il superamento dei particolarismi rende difficile la pratica di governo, quindi a prescindere dal personaggio l’Italia è un Paese difficile
Una cosa che ho imparato è che la gente non ti ascolta, quindi basta fingere di dire qualcosa con tono saccente e autorevole, come già ho ampiamente dimostrato in passato e come ho intenzione di continuare a fare in futuro.
– Eh ma sai quale è la verità? La gente s’è rotta i ‘oglioni, scusa la parola, ma perché vedi in tempi di crisi non poi mi’a fa’ chiacchiere, prendi pure la ‘osa degli immigrati, se non c’ho soldi mi dici te ‘ome si fa a mantenerli? Qua non c’è lavoro per gli italiani, ma fi’urati te per gli immigrati
– Purtroppo sono processi lunghi che necessitano di valutazioni che al momento il dibattito politico anche a livello europeo sembra non concedere
– Eh se parliamo dell’Europa ti mando giù la batteria del cellulare. Va bene, ‘scolta ti fo’ sapere domani o al più tardi tra due giorni, va bene?
– Va bene
– Allora a presto, tante ‘are ‘ose e buon tutto
– Grazie, anche a te.
Una delle invenzioni più utili dopo il deodorante.
6 – Lo Studente Per qualche tempo ho dato ripetizioni a un ragazzo del liceo. Uno che temo che da adulto si darà all’alcolismo. Oppure sposerà una donna che lo tiranneggerà.
Sua madre, infatti, lo tratta come un perfetto incapace.
Ricordo dopo la prima lezione, quando ci accordammo per la seconda:
– Quindi lei quando è libero?
– Io fino a domenica son qui.
– Allora potremmo fare venerdì. Oppure sabato, che dici, T. (rivolta al ragazzo)?
– … (il ragazzo fissa il vuoto)
– Allora va benissimo, facciamo venerdì. Ma lei è libero anche di mattina?
– Venerdì sì.
– Allora potremmo fare venerdì mattina che è festa a scuola. Va bene, vero, T.?
– …(il ragazzo fissa di nuovo il vuoto ma non si sa se è lo stesso di prima o ha trovato un altro vuoto da contemplare)
– Va bene, allora venerdì alle 10:30. Poi ci penso io a svegliarlo e farlo stare in piedi.
Il povero T. all’università vuole studiare lingue, ma in famiglia non sono convinti.
Interpellato sull’argomento, io risposi che con le lingue si può lavorare in vari ambiti, certo è importante sapersi vendere. Madre Sua disse:
– Eh, appunto…(facendo davanti a lui con la mano un gesto come a dire “purtroppo lui è quel che è”).
Se copia il compito e si fa sgamare, la madre lo rimprovera due volte: per aver copiato e perché è così fesso da essersi fatto scoprire.
5 – Il Seduttore
Ottobre, Roma.
A via dei Fori richiama la mia attenzione un ragazzo ben vestito, con i capelli da Goku e oro che spuntava un po’ dovunque, chiedendomi aiuto per una foto con i Mercati di Traiano sullo sfondo. Ce ne sono volute una decina, perché o erano troppo scure o troppo luminose o passava qualcuno.
Durante i tentativi scambia qualche parola con me e mi racconta di lui. Poi fa:
– Ieri sono stato con un’asiatica, da urlo, amico. Però io voglio divertirmi e fare esperienze: oggi voglio proprio cosare un coso. Sai dove posso andare stasera per cosare un coso?
– Non ho idea perché non sono mai andato in cerca di cosi da cosare
– Dovresti provare
– No amico (ridendo), preferisco le donne
– Certo, anche io. Ma poi ho scoperto che provando cambia tutto. Un uomo sa meglio di una donna cosa piace a un altro uomo (abbassa gli occhi verso la mia cintura)
– Sarà anche così, ma…
– Non vorresti provare? (mi interrompe)…Sai, io ho proprio tanta voglia di cosare un coso (abbassa di nuovo gli occhi)
– Mi dispiace, senti ho l’autobus che mi parte.
“Ha un ritardo ma non è in gravidanza, cos’è? Un autobus di Roma”
4 – L’Enigmista
Lo citai in questo post.
Novembre.
Sull’autobus sale un tale che sembra Edward Nygma 10 anni più vecchio. Ha anche gli stessi occhiali. Si siede davanti a me. Ha degli atteggiamenti ansiogeni: si tiene le mani nervosamente, guarda fuori con aria preoccupata.
A un certo punto, con accento barese, mi chiede:
– Scusi, sa…se questo autobus ferma in qualche posto…
– Come?
– Se si ferma in un qualche posto…un deposito…cioè un posto…
– Al capolinea?
– Sì! Al capolinea!
– Certo, arriva sino alla Stazione San Pietro
– Ok, grazie.
– Però non è un deposito di autobus – preciso – cioè è uno spiazzale e basta, eh
– Sì sì, sta comunque fermo 2-3 minuti e poi dopo riparte, vero?
– Sì, certo
– Grazie (appare tranquillizzato).
– Sa, io sono a Roma a cercare lavoro e casa (aggiunge)
– Ah (non te l’ho chiesto. E li cerchi ai capolinea?)
– Ma non è facile, sa
– Eh, lo so.
Ogni volta che do indicazioni a un turista straniero sento di aver fatto una buona azione. Perché ho riconosciuto negli occhi del visitatore lo sgomento per l’inusitato (per lui) caos urbano delle nostre grandi città – vale per i turisti nordici, chi vive sul nostro stesso parallelo o al di sotto sembra a proprio agio – unito al senso di smarrimento dovuto alla perdita di orientamento.
A questo aggiungo la confusione che le indicazioni date dagli autoctoni a volte generano, anche se non ne comprendo bene il motivo. Insomma, se mi dicono “devi annà de qua” io lo capisco, non mi è chiaro perché risulti difficile per un turista: de qua è destra, de la è sinistra (credo). Semplice, no?
Una buona azione è anche una buona parola spesa al momento giusto. Questa sera ho rivolto un commento positivo a una persona e questa mi ha ringraziato dicendo: fa sempre piacere ricevere opinioni positive sul proprio conto.
Al di là del premio G.a.C. per l’ovvietà della risposta, è indubbio che noi esseri umani abbiamo un’autostima che funziona anche grazie ai giudizi esterni.
Eppure ho l’impressione di vivere in un mondo aggressivo, direi homo homini lupus se avessi degli Hobbes nel tempo libero. È una questione Spinoza. Siamo sempre pronti a dare addosso al prossimo, al remoto e, soprattutto, all’imperfetto perché non tolleriamo i difetti altrui.
In periodi di malessere sociale-politico-economico, inoltre, cresce il disagio dell’individuo. Tale disagio si esplicita in attacchi rivolti all’esterno.
Non voglio partire con un pippone, cito soltanto una cosa che mi ha fatto sorridere per la sua assurdità. Al Comune, da Padre, la settimana scorsa si è presentato un tizio chiedendo di firmare “contro la legge del gender”. In 5 parole ci sono credo almeno tre errori: 1) non si firma contro una legge, si raccolgono firme affinché si tenga il referendum abrogativo; 2) non esiste alcuna “legge del gender”; 3) non esiste alcuna ideologia gender contro la quale si deve combattere. Ma che gender c’è in giro?
Al di là del singolo esempio, una persona che si prende il disturbo, senza informarsi, senza conoscere, di attaccare qualcuno o qualcosa, per me ha un ingiustificato comportamento aggressivo.
Ripenso alla madre del mio alunno prodigio che senza ascoltare i desideri o le volontà del figlio lo derideva perché voleva studiare lingue.
Se non siete d’accordo con me non vi dirò nulla, anzi vi accoglierò con cordialità a braccia aperte. Ho passato anni della mia adolescenza in vacanza in Umbria, quindi mi sento anch’io un po’ gender de Fuligno, pacifico e amabile cuscì.
Mi incuriosisce sempre il rapporto esistente tra il mio barbiere (da ora in avanti il masto, come si usa dire da queste parti) e il suo giovane assistente (da qui in poi, o guaglione).
Oltre a insegnargli i rudimenti della barberia, quando vado a tagliarmi i capelli trovo sempre il masto intento a rivolgere al guaglione dei rimproveri mirati a impartirgli insegnamenti di vita. E il guaglione, ogni volta, prosegue nel proprio lavoro con occhi bassi senza replicare, con l’aria un po’ frustrata. Un rapporto discepolo-allievo degno di una scuola dell’Antica Grecia. Mi chiedo se il guaglione sia conscio dell’importanza di ricevere lezioni che esulano dal mestiere e che investono anche la sfera del saper vivere oppure un giorno troverò il mio barbiere riverso a terra con un paio di forbici nella gola.
Oggi il masto rimproverava il guaglione perché quest’ultimo da un paio di giorni soffre di una zoppia al piede destro, imputabile, secondo il masto, alle scarpe poco comode che indossava. E a ogni cliente indicava sempre le calzature, dicendo: guardate, ha le scarpe storte, ha le scarpe piegate, cercando in loro segni di assenso.
Questo tema coinvolgente, unito all’apprensione per le condizioni di salute del guaglione, mi ha distolto dal tentare di introdurre l’argomento aeroporti come tema ignorante del giorno dal barbiere (forse ricorderete in un post precedente le mie riflessioni sulle conversazioni ignoranti).
E dire che sarei stato sul pezzo, perché sono in ansia dato che a Fiumiciattolo sono ben 3-4 giorni che non accade nulla: niente incendi, niente black-out, niente sommosse popolari per aggredire delle hostess dietro un bancone. Questo vuol dire due cose: o finalmente è tutto tranquillo o si sta per scatenare un cataclisma.
Spero vada tutto bene, in quanto in vista di una giornata da passare a Bratislava (passando per Vienna) ho imparato anche qualche parola di slovacco. Mi piace sentirmi ignorante nel maggior numero possibile di lingue e cerco sempre di imparare qualche parola nuova.
Sono rimasto però sconcertato nello scoprire che in Slovacchia “sì” si dice àno. Istantaneamente la mia perversa fantasia ha pensato che quando un ragazzo fa la proposta di matrimonio a una ragazza, le sta chiedendo un “sì”: in Slovacchia, quindi, un ragazzo si inginocchia davanti una ragazza per chiederle “l’àno”. E poi ho pensato che un matrimonio che cominci con una richiesta (e accettazione) dell’àno nasca su solide basi di fiducia e condivisione e che la società avrebbe bisogno maggiormente quindi di tali valori.
Dopo aver toccato il fondo (schiena), penso ora di poter andare in vacanza e riscaldarmi le idee (visto che in Austria troverò 35°).
Terzo appuntamento con gli aggiornamenti sulla mia vita romana e ora in salsa cinese.
DIDASCALIA RIASSUNTIVA
A fine giugno sono arrivate a casa due cinesi, una maestra di canto e la giovane allieva soprano che è venuta qui a Roma per proseguire gli studi di lirica.
Questa settimana Maestra è partita (per non so dove), quindi a casa è rimasta solo Astro Nascente. Da quando c’è lei l’aria in questa casa è cambiata: letteralmente. Infatti quando rincaso la sera vengo accolto da odori speziati, pungenti e persistenti tipici della cucina cinese.
DIDASCALIA GASTRONOMICA
Per convenzione parlo di “cucina cinese” per quanto in realtà non voglia dir nulla una simile definizione: per un Paese così vasto e popoloso non ha senso infatti parlare di un’unica cucina. È come riferirsi alla “cucina italiana”, ma quale? Quella degli ‘sfinci’ di Palermo o quella della ‘bagna càuda’ di Torino? Non c’è concordanza culinaria neanche tra corregionali: ad Avellino ignorano dei piatti che mangiamo a Napoli e viceversa.
Avrei voluto informarmi su quale fosse la provenienza specifica di Astro Nascente, ma quando le ho chiesto Where are you from?* mi ha risposto Grazie! e non ho insistito per non metterla in imbarazzo. Ma forse avrei dovuto perché quando si stanno imparando nuove lingue è necessario che qualcuno ti corregga o ti ripeta le cose.
* è stata lei a dirmi che parlava inglese meglio dell’italiano
Gli sfinci di san Giuseppe
Sono stato invitato due volte da Astro Nascente a condividere con lei la cena, ma per la fretta ho sempre rifiutato: spero però ci sarà un’altra occasione, perché la cucina cinese (si veda didascalia sopra) mi piace. Per quanto poi la sua presenza resti attaccata alle pareti a lungo.
Coinquilino oggi mi ha chiesto secondo me cosa si potrebbe usare per assorbire gli odori. Non ne ho alcuna idea e non so cosa si possa usare in una cucina, a parte tenere aperte le finestre.
Perciò, cari lettori, sondaggio: cosa usate per assorbire gli odori della cucina quando ci andate pesante col cavolo bollito e il baccalà?
Avevo descritto il discepolo come il classico “intelligente che non si applica”: infatti, come una mensola priva di tasselli fischer, non c’è modo di farlo applicare.
Con me, va detto, lavora e non si schioda dalla sedia per 3 ore di fila; Madre Sua invece si lamenta che con lei non fa nulla: lui si siede, poi 10 minuti dopo si stufa e si alza, va a bere, poi va in bagno, poi si attacca alla playstation mentre lei gli fa i riassunti…
Il modo migliore per tener su una mensola che non sta dritta, è ingaggiare un pratico reggimensola umano. Si applica con facilità, per la gioia della soddisfatta casalinga nella dimostrazione. Correte a comprarne uno!
Ma se il ragazzo è un imbelle a mio avviso è anche colpa di Madre Sua che l’ha cresciuto facendolo sentire inadatto a far qualunque cosa da solo. Lui non fa altro che approfittarne.
Una volta Madre Sua mi chiese dei miei studi universitari e poi mi raccontò che lui vorrebbe iscriversi a lingue ma che in famiglia non son convinti perché non dà accesso a una professione sicura.
Io risposi che con le lingue si può lavorare in vari ambiti, certo è importante sapersi vendere. Madre Sua disse:
– Eh, appunto…(facendo davanti a lui con la mano un gesto come a dire “purtroppo lui è quel che è”)
Settimana dopo Discepolo ha preso 6 all’interrogazione. Certo, non è un risultato eclatante o da festeggiare, però Madre Sua fa:
– È stato fesso. Ha preso 6 senza ripetere, il che vuol dire che se apriva i libri poteva ambire almeno al 7. Invece si è fatto fregare come un fesso.
Settimana scorsa: Madre Sua mi racconta dell’andamento scolastico della settimana. Dice che lui ha combinato un pasticcio al compito di italiano: lei per farlo preparare su delle tracce di attualità gli aveva scaricato da internet il giorno prima dei temi svolti (…no comment) e lui per pigrizia bene ha pensato, il giorno dopo, di copiarne pari pari l’incipit da uno di questi. Se la professoressa se ne dovesse accorgere, sarebbe un guaio.
– Già è grave copiare – esclama Madre Sua – ma lui non è manco buono a farlo!
Sinceramente comincio a trovare un po’ fastidioso che critichi il figlio di fronte a me che in fondo sono un estraneo.
A Lulu, che gli dà altre ripetizioni e che lo segue da più tempo, lui ha detto che mi trova simpatico, perché dissi davanti a Madre Sua che lo trovavo un ragazzo sveglio.
Credo che a prescindere dalla svogliatezza o dal deficit cronico di concentrazione, il ragazzo sia abituato a sentirsi un perfetto incapace. E trovi un modo poi di girarla a proprio vantaggio con la giustificazione che da solo non sa studiare e gli serve una mano.
Da una parte non posso negare di sentire di comprenderlo per la scarsa autostima che ha.
Alle interrogazioni non si offre perché si vergogna. Aspetta che lo chiamino. A volte, anche quando ha studiato, si convince di non saper nulla e all’interrogazione fa scena muta.
E, ovviamente, visto che le scuole son quel che sono, è vittima di bullismo.
Ma cosa c'è dentro un libro? Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto. (Bruno Munari)
Come quelle coperte, formate da tante pezze colorate, cucite insieme tra loro.
Tessuti diversi, di colore e materiale eterogeneo, uniti in un unico risultato finale: la coperta.
Così il mio blog, fatto di tanti aspetti della vita quotidiana, sempre la mia.