Non è che chi monta le macchinette del caffè debba ricordarsi la proprietà distributiva

Al lavoro. Vado nella zona dei distributori e noto che qualcuno ha dimenticato la chiavetta ricaricabile inserita. Il display lampeggia 2.16 €.

Non passa nessuno. Ho pensato che un caffè “offerto” ci sarebbe stato bene. Poi in fondo sono in credito con quella macchinetta. Un paio di volte mi ha fregato il denaro non elargendomi niente: in una occasione mi ha dato solo il bicchiere, nell’altra è andata in tilt. Senza contare di quando mi ha rifilato dell’acqua sporca perché la stronza non avverte che la miscela è esaurita.

L’equilibrio cosmico distributivo andava un attimo chiarito e rimesso in pari.

Tutto questo l’ho pensato in una frazione di secondo, nel frattempo avevo già rimosso la chiavetta, che ho portato in reception affinché la restituissero a chi l’avesse reclamata. Ho preso il mio solito ginseng macchiato – ho scoperto la macchinetta ne fa uno buono – a spese ovviamente mie e non altrui.

Tornando verso il mio edificio l’accaduto mi ha innescato delle riflessioni. Mi sono chiesto: è davvero buona e onesta una persona che ha pensieri truffaldini/maligni seppur poi non li mette in pratica?

Ho concluso che, alla fine, la via giusta non quella di ignorare il male o vivere fingendo che non esista ma riconoscerlo, venirne anche a contatto ma scegliere ogni volta di farne a meno.

Mi sembra ci fu un tizio una volta che andò nel deserto 40 giorni a parlare con un povero diavolo che lo tentava ma lui non gli diede ascolto.

Io però al secondo giorno consecutivo di chiavetta abbandonata avverto che cedo, eh.

Non è che serva un corso di alpinismo per farti scalare il credito

Ho Padre che vive fuori dal tempo, ultimo baluardo della resistenza alla moderna telefonia. Anni fa fu convinto da Madre a comprarsi un cellulare per una qualsiasi evenienza.

L’avrà utilizzato al massimo una volta all’anno, lasciando poi scadere ogni volta il credito. Praticamente a conti fatti ogni telefonata è costata quanto una chiamata in Messico.

Di recente ha dovuto riattivare la SIM per fare una telefonata (la solita esigenza annuale). Si è poi presentato da me indignato:

– Io non ho capito, ho fatto fare una ricarica di 10 euro e mò sono andato a controllare il credito e risultano 4 euro. Io una telefonata ho fatto, ché si sono presi 6 euro?
– Ma tu ora hai un abbonamento?
– Che vuol dire?
– Tu paghi a chiamata o paghi un fisso mensile e chiami quanto vuoi?
– Chiamo quando voglio io ma questi si son presi 6 euro per una telefonata!
– No, aspetta, tu paghi 6 euro al mese e hai tot minuti a disposizione che si consumano a ogni chiamata, adesso non so quanti ne sono nell’abbonamento che hai sottoscritto
– E questi 4 euro di credito allora che sono?
– Sono quelli che ti serviranno il prossimo mese per pagare l’abbonamento. Devi fare un’altra ricarica ovviamente, visto che l’abbonamento costa 6 euro
– E devo pagare 6 euro al mese?
– Sì però parli quanto vuoi…
– Ma a me non interessa, io non voglio parlare proprio con nessuno non mi serve neanche il telefono!

Chiedo quindi ai gestori di telefonia di valutare di introdurre la tariffa Sticazzi Voi Tutti – Summer Edition, per Padre e quelli come lui che non desiderano telefonare.

Non è che passando al telefono senza fili tu pianga per il cavo estinto

Una persona strana come me da qualche parte deve pur provenire. In effetti, ci sarebbero aneddoti da raccontare su alcune abitudini che spiegano perché la mia famiglia sia un po’ eccentrica e io non sia da meno.

Uno di questi riguarda il rapporto con il telefono.

Che non abbiamo mai avuto.
Non ho mai capito perché a mio padre non piacesse averne uno in casa.
A dirla tutta non ha mai amato in generale parlare al telefono.

Lui infatti credo sia l’unica persona in Italia che è stata in grado, più di una volta, di far scadere il credito sul cellulare. Praticamente il decreto Bersani che aboliva la scadenza del credito residuo fu fatto per lui.

Per le comunicazioni (il più delle volte solo per ricevere) abbiamo sempre utilizzato il telefono dei nonni, che abitano alla porta accanto: la casa, infatti, è divisa all’interno in due appartamenti.

Ai miei compagni di classe dovevo sempre spiegare questa storia. Un giorno mi scocciai e dissi “Sì, siamo come 8 sotto un tetto, viviamo tutti insieme, la gente entra e esce dalle porte come gli va”.


Ma in America nessuno chiude mai la porta a chiave? E la gente entra in casa senza bussare?


I nonni avevano il famoso telefono in bachelite nera:

La cornetta poteva essere utile anche come oggetto contundente. L’altra particolarità è che assorbiva l’alito: alzavi la cornetta e dai fori del microfono fuorisciva il pranzo di Natale dell’anno precedente. Una volta, alla vigilia di Pasqua, Madre non ricordava cosa avesse preparato come primo piatto per Natale. Le dissi “Aspetta, ora vado al telefono. Mmh, c’era di sicuro un sugo con la braciola”.

Durante gli anni ’90, quando arrivava una telefonata per me mio nonno ha utilizzato diversi sistemi per avvisarmi.

Iniziò bussando alla porta. Questo avveniva all’epoca delle elementari.

Durante il periodo delle scuole medie passò a bussare sul muro: una parete del soggiorno, stanza dove era il telefono, è in comune con la mia stanza dall’altro lato. Le prime volte sobbalzavo. In un’occasione, preso di soprassalto ruzzolai anche giù dal letto. Col tempo iniziai poi con lo stare all’erta: quando sentivo il telefono squillare dall’altra parte, mi preparavo al toc-toc.

Quando arrivai al liceo, mio nonno nel frattempo era passato all’urlofono: gridava il mio nome senza allontanarsi dal telefono.

In classe si diffuse la leggenda metropolitana che io dormissi a qualunque ora del giorno e che fossero necessarie le urla per svegliarmi. Una convinzione che non riuscii mai a demolire.


Se un giorno diventassi famoso si tramanderà quindi il falso aneddoto che io fossi dedito a dormire sempre, un po’ come la storia di Einstein che andava male a scuola o di Maria Antonietta che invitava il popolo a mangiare brioches.


Che, se non fosse chiaro, seppur da tutti ritenute vere, sono falsità.


Da lì a poco, ricevetti un cellulare.

Era giovane, era alla moda (?), era pesante mezzo chilo. Schiacciare i tasti richiedeva una pressione notevole, tant’è che mi venne un pollice ipertrofico. E poi, invece, mentre lo portavo in tasca più di una volta successe che si accendesse, si autodigitasse il PIN 3 volte e si bloccasse.

Non era semplice da portare addosso. E poi generava equivoci del tipo: Ehi, hai un telefono in tasca o sei solo contento di vedermi?.


Non è vero, non è mai successo ma io giravo con questo pesante cellulare sperando che accadesse.


Ma considerando che nessuno trovava conveniente utilizzare il cellulare per chiamare – sms e il famoso squillo erano le uniche vie di comunicazione – per lungo tempo sono rimasto comunque utente dell’urlofono.