La perifrastica non è passiva per gusti sessuali, che si conosca almeno questo

– Ragazzi, ma a voi è capitato che dopo la laurea non abbiate più avuto voglia di aprire un libro?
Io ci rifletto su e mi dico che sì, dopo la laurea voglia di studiare ancora immediatamente dopo non me ne venne, né per concorsi né per master, volevo lavorare e basta. Prima che io articoli in parole tale pensiero, lui aggiunge:
– Cioè tipo vado all’edicola, compro la Gazzetta dello Sport e poi penso Noo, tutte queste pagine, chi ha voglia!

Ah. Capisco. Intendeva in questo senso.

Non mi stupisce. Anni fa, all’università, discorrendo di attualità e scoprendolo alquanto all’oscuro di alcuni fatti del mondo, sbottai dicendo:
– Ma lo apri un giornale, ogni tanto? (Vergognandomi poi del mio atteggiamento da maestrino che, purtroppo, non è affatto migliorato col tempo)
– Certo. La Gazzetta dello Sport!

Lo disse ridendo, ma son sicuro che diceva sul serio. Non fu una sorpresa, considerate le sue difficoltà con le doppie e con i congiuntivi. Una volta lo sorpresi a scrivere “abborto”, convinto che si scrivesse così.

L’esempio vivente che qualcosa che non funziona nel sistema universitario – ma anche in quello della scuola dell’obbligo – c’è.

Oggi pomeriggio riflettevo su queste cose e ho montato tra me e me una polemica. In fondo, a cosa serve conoscere l’italiano? È davvero necessario, al giorno d’oggi, sapere quando mettere un congiuntivo in una frase o avere un vocabolario ampio o conoscere il vero significato di un “piuttosto che” per non usarlo in modo barbaro a pene di segugio? A me sembra sempre meno rilevante.

A proposito di membri: mi è tornato in mente un altro aneddoto del periodo universitario.

Dovevamo, in vista di un esame, studiare una sentenza della Corte Suprema Americana, scegliendola da una rosa di documenti fornitici dalla docente. Mi cadde l’occhio su una sentenza riguardante un’accusa di sodomia. Dato che a volte soffro di regressione mentale sino allo stadio “seconda media”, ridacchiando dissi a un collega (non “abborto”, un altro):

– Ehi, perché non porti questa sulla sodomia?
– Ah ah ah!…Ehm, cos’è?
– Come cos’è?
– È il sadomaso? È quello?

Ecco, forse questo è uno di quei casi in cui conoscere l’italiano può servire e fare la differenza nella vita. Immaginate di trovarvi ospiti a casa di qualcuno, per una cena conviviale, due chiacchiere davanti a un buon vino, insomma in un’atmosfera molto tranquilla. Il vostro anfitrione, con garbo e gentilezza, vi propone a un certo punto:

– Le andrebbe un po’ di sodomia?
E voi, non conoscendo il significato della parola, per non deludere il padrone di casa risponderete una cosa simile
– Certo! Però giusto un po’, che devo guidare, non voglio fare tardi…

Magari poi può piacervi, ma almeno sappiatelo prima!

A parte queste amenità, ho ripreso a pensare alla mia polemica sull’importanza dell’italiano, provando a estenderla anche agli studi umanistici. Ne parlavo qualche giorno fa con una persona, che ha un’impronta di studi del tutto opposta alla mia. Così come io posso citare aneddoti su ateniesi e spartani, lei può dilettarsi a parlare di matematica e mitocondri. Io, premettendo che sono il primo a sostenere la necessità dello studio delle materie scientifiche, difendevo l’importanza degli studi umanistici per il contributo che portano alla costruzione mentale di un individuo.

Il caso dello studio del greco, contro il quale la mia interlocutrice puntava il dito,  è per me significativo: più che studiare la lingua per sapere come diavolo si coniughi un ottativo – esercizio che trovo fine a sé stesso -, la cosa che per me ha un valore è lo studio di un pensiero, di una cultura che ha influenzato i secoli a venire.

Sull’importanza di non mettere da parte la cultura umanistica la penso quindi come Umberto Eco e mi piace condividere questo articolo che riporta un dibattito tra lo scrittore e Andrea Ichino: Il liceo classico? Assolviamolo ma va riformato.

Per coincidenza, in questi giorni leggevo un libro di Tiziano Terzani. In Asia, si intitola, ed è una raccolta di suoi articoli dalla Guerra del Vietnam agli anni ’90, frutto di viaggi e periodi di soggiorno in vari Paesi asiatici. C’è un punto in cui mi ha colpito quando parla della dittatura militare in Birmania:

Il livello di educazione del Paese s’è abbassato notevolmente a causa della povertà. Secondo uno studio dell’UNICEF più di un terzo dei bambini dai cinque ai nove anni non va a scuola. Due terzi di quelli che frequentano abbandonano dopo le elementari. Il problema non sembra preoccupare i militari. Al contrario. I soldati sanno che è dagli intellettuali che viene l’opposizione al loro potere: è nelle università che sono nati i movimenti per la democratizzazione e la modernizzazione della Birmania. È per questo che le università, svuotate tre anni fa, sono ancora chiuse e occupate dall’esercito.
[L’aureola psichedelica, Pagan, febbraio 1991]

Ecco, l’ho trovato significativo. Credo che la cultura tutta contribuisca a modernizzare e democratizzare un Paese. Sembra un’ovvietà, ma fino a quanto lo è?

E poi aiuta le persone a trarsi d’impaccio quando parlan loro di sodomia, che non è poco!