Volti e colori

Sono trascorse le 9 di mattina ma il vagone è pieno. Nella decenza, come dovrebbe essere un normale treno delle linee locali a scarsa velocità, senza gente costretta a esibirsi in contorsionismi estremi per restare in piedi, evitando compressioni toraciche cause borse e zaini inopportuni e molestie sessuali del maniaco di turno che prova a verificare che lì sotto le valvole pneumatiche funzionino ancora poggiandosi agli altri.

Sono passate le 9, dicevamo, eppure De André avrebbe detto che tante facce non hanno un bel colore. Corsi, esami, lavoro, le probabili necessità che spingono le persone a salire su questo pezzo di latta: mi sento colpevole di essere in viaggio per motivi che potrebbero apparire futili, quali chiedere un’informazione in un Centro e vedere un amico. Certo, vedere un amico non è futile, ma in mezzo a persone che si spostano per dovere sembra stonare.

Nessuno parla.
A parte una donna nervosa, al telefono, che considera importante condividere a voce alta con gli altri passeggeri i propri affari.

Un uomo di mezza età di fronte a me combatte col sonno. La testa cade giù, come colpita da un pugno invisibile. Si rialza, lui non cede.

Una ragazza mostra tutto il suo desiderio inesaudito di rimanere sotto le coperte. È visibilmente raffreddata. Guarda fuori, pensa.
Un’altra, più avanti, sembra non aver dormito. Due mezzelune scure sotto occhi tristi rendono trasparente il suo animo. China la testa, si tocca più volte il piercing al trago.
La ragazza di fianco sembra impaziente, tediata dal viaggio. Starà pensando al perché non avrà preso la macchina.

L’uomo di mezza età ha perso. Il sonno ha vinto. Lo osservo: le mani sono tozze e gonfie, la pelle è più scura rispetto al corpo. Forse è un meccanico, chissà. Non lavora nell’edilizia, sicuramente, perché chi opera in questo campo esce di casa con i pantaloni da lavoro, sporchi di calce e cemento.

Nessuno parla.
Il Governo, il calcio, un calcio al Governo: in genere le conversazioni tipiche da viaggio. Oggi nulla.

E tu, ricordi quando prendesti il treno per raggiungermi? Com’era il colore dei volti altrui?

9 Pensieri su &Idquo;Volti e colori

  1. Sui volti dell’umanità che mi circonda sul treno, non ci sono colori.
    L’uomo che ha perso il lavoro ha raccolto cose e sogni dentro una valigia da tempo smessa e se ne sta lì, seduto come un pupazzo slambato su un sedile fra gli ultimi.
    Ha gli occhi acquosi pieni di cataratta e lacrime, lo sguardo perso in un punto lontano e la valigia accanto. E non capisco se il treno è la sua ultima dimora o l’ultimo viaggio alla ricerca di un lavoro che a prescindere gli sarà negato.
    Ogni tanto lo guardo, sostiene il mio sguardo, io abbasso gli occhi vergognandomi per questi miei pensieri, per questa mia analisi, per percorrere insieme a lui lo stesso tragitto che mi porterà al lavoro.
    Vorrei trovare il coraggio di allungargli qualcosa, vorrei abbandonasse l’orgoglio di rifiutarla.
    Chissà se i miei pensieri hanno voce. Un lampo nei suoi occhi, impercettibile.
    Si alza, uno sguardo rassicurante alla vecchia valigia e si siede di fronte a me, sul sedile vuoto.
    “Ha mica qualcosa da darmi?” mi chiede con un timbro di voce incolore.
    “Sì, certo” dico piano aprendo la borsa.
    Un piccolo aiuto non risolve nulla, non cambia certo la vita eppure scendendo dal treno mi sembra che sul quel pezzetto di umanità che ho appena incontrato ci sia adesso il pallido colore della speranza.
    Io spero tanto di non sbagliarmi.

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  2. Ogni volta che ho viaggiato su mezzi pubblici è stato sempre ad orari troppo lontani dal primo caffé; ero io il primo a non parlare, e forse neanche mi sforzavo di osservare.
    Semplicemente non ero acceso.
    C’è stata qualche eccezione, soprattutto per viaggi per occasioni piacevoli. Ed in quei casi non parlavo, perché da osservare c’era davvero tanto a volerlo fare. Oppure parlavo con i miei compagni di viaggio, perché un viaggio è sempre una occasione particolare per scoprire qualcosa, anche sul sedile accanto al tuo.

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  3. Mi chiedo sempre se le persone si osservino sul treno. Se si facciano domande sugli altri, senza curiosità ma solo presi dalla consapevolezza di avere un altro essere umano accanto, un altro universo. Vedo giovani volti abbassati sul telefonino a chattare con chissachi, facce di teste cadenti di notti insonni o di fatiche irrecuperabili; vedo bimbi che ancora sorridono e schiamazzano tra loro e giovani uomini in tessuto grigio sulla rampa del manager; vedo mani bianche e callose ed elettrici capelli di donne mai in ritardo che accudiscono vecchi e case. Vedo studenti che ancora ci credono (per fortuna). Vedo me, che osservo, incontro sguardi che sembrano dire “che guardi?”. Un saluto, bel post.

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Si accettano miagolii

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