Non è che porti al fruttivendolo delle carte per chiedergli la pesca

Quando ero piccolo, la frutta primaverile-estiva era scadenziata grossomodo così:

– maggio: fragole-ciliegie
– giugno: albicocche. Duravano giusto due settimane. Le prime uscite però erano troppo dure, le ultime troppo morbide, in pratica avevi tre giorni per fare fuori la scorta di quelle mangiabili. Se saltavi un turno e poi qualche giorno dopo ne volevi mangiare una, ti attaccavi, ciccia, nisba, arrivederci all’anno successivo.
– luglio: pesche. Però quelle dure, se volevi la percoca gialla e profumata dovevi aspettare. Niente percoche però a fine agosto perché non avevano sapore.
– agosto: angurie. A casa mia si acquistava l’anguria quando arrivava un tipo col cassonato che si piazzava tra gli svincoli dell’autostrada e della statale a venderle a poche lire al kg. Quando lui arrivava, vuol dire era il periodo per comprarla.

Mi piaceva l’idea di una calendarizzazione. In generale, scadenziare permette a) di viversi un’attesa b) di godersi più intensamente il momento. L’estensione temporale dei momenti e la possibilità di poter scegliere quando fruirne – non essendo più soggetti, anche solo in maniera limitata, alla calendarizzazione – porta in qualche modo a viverli con meno intensità e/o attenzione, data la loro ripetibilità.

È un po’ come quando un mio amico, con l’arrivo della prima connessione veloce, si diede alla fruizione di contenuti piratati in rete. È vero che poté allargare la propria scelta grazie alla disponibilità enorme: dall’altro lato, il consumo eccessivo finì per privare di senso il godimento. Buttava un film a metà, un videogioco all’inizio o ascoltava un disco una volta soltanto per onor statistico.

Oppure è come quelli che ai buffet riempiono i piatti della qualunque perché tanto ce ne è in abbondanza (e gratis). Ancora mi duole una gomitata nel costato che mi diede una signora nel 2016 per farsi largo verso il tavolo, durante un evento. Chissà ai suoi tempi come era calendarizzata la frutta, se c’erano cibi disponibili tutto l’anno o meno. A giudicare dalla voracità con cui si gettò sul buffet, doveva aver vissuto una grande, pluriennale, carestia.

Non è che il fruttivendolo non abbia più argomenti perché è alla frutta

Volevo condividere un fenomeno strano che mi accade.

Prima di acquistare della frutta al supermercato la sottopongo sempre  a un accurato controllo degno di un NAS (Nobile Amante del Saccarosio) volto ad accertarne l’integrità. Il tempo di arrivare a casa, però, e la trovo già in stato di decadimento psico-fisico.

Da notare che vivo a 200 metri da un supermercato, 800 da un altro: per arrivare a casa intendo quindi casa di qui, Budapest, non casa giù a Napoli; un tragitto lungo che invece giustificherebbe il decadimento fruttario ma che non ho mai tentato, non volendo aver problemi ai controlli all’aeroporto ed esser accusato di esportazione/importazione illegale di frutta, cosa che mi costringerebbe poi a trovar un buon avocado.

Ho elaborato alcune ipotesi.

1) Viviamo in un mondo insalubre, permeato da aria mefitica e irradiato da influssi venefici. Essendo la frutta più sensibile a tale malignità, finisce per risentirne molto più in fretta degli esseri viventi. I supermercati sono luoghi – come pochi in giro – ben protetti da tali radiazioni. Ci si sta bene all’interno: prova è che la gente vi passa molto tempo, anche quando vi entra per comprare soltanto mezza cipolla rinsecchita per un frugale soffritto.

Alla fine ne uscirà invece dopo un’ora col carrello pieno di tutto, tranne che della cipolla, per avere una scusa valida per tornare in un così bel posto e godere del suo benefico fattore protettivo (che, come ho detto all’inizio, protegge la frutta dal deperimento istantaneo).

2) La frutta è vittima della stessa sorte dei pesci rossi che da bambini si acquistavano al mercato: in perfetta salute nella vasca fetida di un losco individuo ma che una volta a casa erano pronti per il loro viaggio senza ritorno giù lungo lo scarico del water.

L’esperienza del pesce rosso comportava costi economici ed emotivi alla famiglia e vantaggi al losco trafficante e forse anche ai pesci stessi, che fingevano la loro dipartita per acquisire la libertà; quindi oggi negli scarichi potrebbero vivere gang di enormi pesci rossi, che hai contribuito a creare fornendo loro in pratica un servizio taxi, il che, come la gente impara sull’internet, ti qualificherebbe come una ONG che sta distruggendo Uber.

3) La frutta è programmata per autodistruggersi perché contiene messaggi che spie (nemiche? Amiche?) si stanno scambiando, il che metterebbe te, ignaro acquirente, al centro di un traffico internazionale di informazioni con gravi rischi per la tua incolumità.

4) Si tratta di frutta-soldato, con preparazione militaresca. Quindi, ad esempio, la pera…marcia.

5) La quinta ipotesi, che mi sembra la meno probabile ma che qui cito solo per rigore scientifico (anche se sto cercando di abbandonare tali manie da professorone perché, come mi insegnano, la vera cultura è la vita, infatti ha anche fondato una Università prestigiosa) è che la frutta che vendono sia una vera merda.

Fornirò ulteriori aggiornamenti nel caso io riesca a venire a capo di questa angosciosa e inquietante questione.

Foto di repertorio non mio (non ho repertori di frutta nel mio repertorio)