Come altre parole in napoletano, zèza trae origine dal mondo del Teatro e affonda le sue radici nella commedia dell’arte tra Cinquecento e il Seicento.
Zèza non è altra che il diminutivo di Lucrezia, capricciosa e caricaturale moglie di Pulcinella, ingannato da lei con moine e smorfie e comportamenti maliziosi.
È un vocabolo che si presenta invariato nella versione maschile e femminile, cambiando solo l’articolo che lo accompagna: o zéza e à zèza.
Il significato non è però il medesimo in senso stretto.
Nella sua versione femminile la zèza ripropone i caratteri del personaggio di Lucrezia. È ‘na zèza infatti, colei che cerca di farsi notare a tutti i costi, si perde in ciance, smorfie, moine, a volte in ammiccamenti gratuiti e leziosi. È la classica persona che magari si finge dolce e un po’ svampita per attirar simpatia e sembrar carina.
Diverso è il caso in cui si tratti di un uomo: pur facendo sempre riferimento a una persona poco seria, si sta però etichettando un uomo che fa il cascamorto con modi smielati e un po’ falsi. Come stile ricorda un po’ il fareniello di cui abbiamo già parlato.
Ma diversamente da altri termini di cui si è un po’ persa la memoria delle origini storiche, di Zeza ancora oggi sopravvive l’originale versione.
Dalla commedia, nel Seicento, la Zèza si diffuse per piazze e strade come scenetta di Carnevale musicata. La storia, cantata in vernacolo, è quella di Vincenzella (detta anche Tolla), figlia di Pulcinella e Zeza, che vorrebbe sposare Don Nicola. Il matrimonio è osteggiato da Pulcinella, mentre Zeza vorrebbe che la figlia si “godesse la vita” e, essendo dedita sempre a prendersi gioco del marito, fa incontrare di nascosto i due amanti. Pulcinella li sorprende e ne scoppia una lite in cui è però lui stesso ad avere la peggio e dover capitolare, acconsentendo alle nozze.
La canzone nel corso dell’Ottocento venne sempre più boicottata dalle forze dell’ordine per i contenuti troppo osceni e licenziosi ma è sopravvissuta nell’entroterra, dove ancora oggi viene messa in scena con a volte varianti nei nomi dei personaggi e nei dialoghi. Un vero pezzo di teatro popolare che rivive a ogni Carnevale in particolare in Irpinia, dove famose sono la Zeza di Mercogliano, quella di Solofra, quella di Bellizzi, quella di Montoro e mi sia perdonato se dimentico qualche località.
Anche per oggi è tutto e…non fate i zezi. A meno che non sia Carnevale.
L’ha ribloggato su Viaggio al termine della notte.
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socio! i tuoi audio mi fanno morire!
zèza ci voleva proprio!
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ahaha mi espongo al pubblico ridicolo 😀
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ecco..
è quello che penso di me!
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BellOoo nun fa ‘o zez: fatt’ accattá a chi nun te sap !! E cheSt è
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ahahah avrei dovuto inserire questa nell’audio XD
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Eh!
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Alludi?
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Sniff sniff.
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E si ri-allude!
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Alle barricate!
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Tutto fa barricata.
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Ci credi che non ricordo quando ho scritto «Alle barricate»?
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Non capisco!
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Ma certo!
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