Non è che ci sia cura per la rabbia

I balconi si stanno tingendo di azzurro anche qui in provincia, più lontano dal centro storico. Confesso che, pur essendo tifoso, lo trovo anche io un po’ eccessivo. Quantomeno aspetterei che fosse ufficiale, dovrebbe essere questione di un mese.

Però, d’altronde, se male non arreca a nessuno, quale è il problema?

Una volta sentii qualcuno (in realtà più di qualcuno) dire: con tutti i problemi che ci sono, che c’è da festeggiare?

In realtà io credo che proprio perché ci sono tutti questi problemi forse forse trovare qualcosa per cui entusiasmarsi non sia un male.

Sono questioni molto complesse. L’intrattenimento non può e non deve diventare un oppiaceo o peggio un bel fettone di prosciutto sugli occhi. Anche però l’esser negativi non può e non deve diventare una pillola da assume giornalmente con la quale avvelenarci il fegato per dover espiare una qualche forma di colpa che ci portiamo addosso, per non sentirci in difetto se per un giorno ce ne dimentichiamo.

Le persone stanno male. Ne sono sempre più convinto. E me ne accorgo, più che dai rimedi palliativi con cui si drogano, dalla rabbia che hanno e che esternano.

Oh, io non sono un monaco zen e non faccio eccezione. Vorrei poter sparare onde energetiche dalle mani. Però, ecco, c’è rabbia e rabbia. Pur dando per scontato che sia sempre sbagliata e che un corretto esercizio della forza non deve implicare per l’appunto l’azione rabbiosa, stabiliamo che esistono frangenti in cui sia non dico giustificata ma quantomeno comprensibile.

Ti bloccano il cancello con una sosta selvaggia mentre devi correre al pronto soccorso? Hai perfettamente ragione ad arrabbiarti.

È la rabbia indistinta, quella generalizzata, quella contro dei nemici astratti, che non trovo invece comprensibile.

È la rabbia per frustrazione, perché, pur vivendo in una società che ci permette di avere tante cose, facciamo spesso una vita di merda. Un lavoro di merda. Subiamo spese di merda.

Tutto ciò, però, mi dispiace ma non è colpa di chi festeggia uno scudetto in anticipo o dell’autorizzazione alla farina di insetti o della Sirenetta afroamericana. Certo, ognuno ha le proprie priorità e preoccupazioni: la mia sarebbe avere la certezza di godere tra 30-40 anni (visto che penso di essere giovane e di avere una discreta aspettativa di vita) ancora di acqua potabile. La paura di qualcun altro (che magari tra 30 anni manco ci sarà), oggi, è che magari “visto l’andazzo” (quale andazzo?), si troverà un giorno circondato da perbenismo senza poter essere più libero di dire ne*ro di merda. Sono scelte. Dovrebbe vincere l’acqua tutta la vita rispetto al razzismo, ma son scelte.

Non mi sento di arrabbiarmi con questa persona. Per lo meno non sempre, ci sono dei giorni in cui vorrei invece l’onda energetica di cui sopra. Mi sento però il più delle volte semplicemente di dire Mi dispiace.

Mi dispiace perché quelli come me, presunti progressisti, che si ammantano di un’aura di intellettualità dall’alto di un pene, sono in realtà individui sostanzialmente incapaci di esprimersi in modo assertivo. Colpevoli di aver lasciato che tante persone si arrabbiassero, magari perché qualcun altro – che assertivo manco è ma non gliene frega niente, punta sulla forza dell’urlato – gli aveva detto di farlo.

Cosa si può fare, ora? Non ne ho idea. Facciamo che per oggi vado a prendere dal fondo del cassetto la mia sciarpa azzurra e domani vedo.

Non è che se una cosa ti salta subito all’occhio poi devi disinfettarti col collirio

Venerdì mentre stavo dando la calce ai tronchi degli alberi uno schizzo mi è finito nell’occhio.

Come, non usi una protezione, mi si dirà. Certo, avevo gli occhialini, ma quando stavo ormai finendo e mi mancava solo l’ulivo erano così appannati che non vedevo più se stavo realmente pitturando il tronco o stavo spennellando a caso nell’aria, così li ho alzati, tanto, mi son detto, ormai ho terminato e sinora non è schizzato niente.

Bravo merlo.

Mi sono subito sciacquato con abbondante acqua fresca e ho rimosso la puntina di calce dall’angolo della sclera, poi sono andato dal medico perché, pur non riscontrando problemi a parte un po’ di bruciore, non si può mai sapere. Mentre andavo a farmi vedere la mia preoccupazione era se mi avesse mandato al Pronto Soccorso: non perché ciò avrebbe voluto dire che era grave ma perché immaginavo il personale sanitario guardarmi male per rubar loro del tempo a causa della mia superficialità. Non so voi ma ho l’impressione che oggi non ci si possa più permettere di rompersi una gamba o tagliarsi un dito.

Vedevo già il Presidente della Regione che, in un video, tra un lanciafiamme e un altro, mi rivolgeva un pensiero, apostrofandomi come quell’imbecille che in un momento di gravità come questo ha deciso di intasare il sistema sanitario perché gli pesava troppo tenersi gli occhiali, poverino. “Glieli vado a cavare io di persona gli occhi”, concludeva.

Ci stava bene pure un titolo di Libero, che, con la proverbiale eleganza, titolava “Terrone e pure coglione”.

Comunque niente di serio, il medico mi ha dato solo del collirio da utilizzare.

Mentre tornavo a casa, osservando le strade, ho notato una cosa.

I tabaccai sono i nuovi bar. Gli anziani, col pretesto di far la fila, li usano come punti di ritrovo.

Qualcuno griderebbe allo scandalo, ma, riflettendoci, tecnicamente dove sta il problema per loro?

Il contagio non si è capito bene come è arrivato in Italia ma forse è stato uno che è tornato dalla Cina che poi è andato a cena fuori, ha organizzato partite di calcetto, eccetera. E non era anziano.

Al Sud sembra un contributo importante l’abbiano dato quelli che sono scesi dal Nord. E non erano anziani.

La gente poi ha cominciato a prendersela con quelli che vanno a correre. E non sono di certo anziani.

Sarà che, sotto sotto, gli anziani abbiano semplicemente capito che il problema non sono mica loro a essere a rischio ma che siamo noialtri a essere rischiosi?

Come si dice: i giovani sono il futuro. Se non riusciamo a fermarli prima.

Sagace.