Come disse il filosofo, Kant e ti passa.

Questa mattina avevo in mente di scrivere un altro post, una volta tornato a casa stasera.
Poi, in ufficio, è accaduta una cosa che mi ha fatto sorridere.

Io ho l’abitudine, quando sono impegnato in attività che richiedono un “pilota automatico” attivo e, quindi, la mente libera, di cantare. Non ho grandi doti, anzi prendo pure delle stecche paurose, però in certi frangenti mi parte la vena canora.

Non so cantare cose difficili, mi astengo dal lanciarmi in pezzi complicati. Al massimo mi concedo un Bob Dylan. A volte i Doors, Riders on the storm, avendo una voce un po’ tendente al baritonale. Qualche Nirvana, spesso la loro versione di Where did you sleep last night. Che è una domanda che avrei voluto e vorrei rivolgere a donne che ho conosciuto o che conosco.

Comunque, per lo più, mi vengono in mente vecchie canzoni italiane che, pur non rientrando in cima alle mie classifiche di preferenze musicali, sono musicalmente semplici, orecchiabili, gradevoli. Il mio cavallo di battaglia è Ragazzo di strada dei Corvi.

Mi capita di canticchiare anche in ufficio. Ma come, canti al lavoro?! E certo. Sono quello che fa meno rumore, a tratti qui sembra di essere in un mercato del pesce.

Oggi mi è partita Il tempo di morire. Non l’avevo mai cantata, di Battisti mi viene Pensieri e Parole, tutt’al più.

All’improvviso la collega che ho di fianco si volta, con gli occhi lucidi, dicendomi: “Mi hai fatto venire il freddo addosso”. Ho pensato Oh cavolo, ho la voce di Frank Sinatra e non lo sapevo?!

Poi mi ha spiegato:
“Giusto oggi moriva, 4 anni fa, il papà di mio marito. E questa era la sua canzone preferita, la cantava sempre al karaoke. Non l’avevi mai tirata fuori da quando sei qui. E, pensa, si chiamava come te”.

Non so, son quelle cose strane che accadono e fanno sorridere.

E potrò raccontare che ho cantato e una donna si è commossa (e non per la terribile esecuzione!)!