Non è che quel quadro sia diventato sottile perché è di-Magritte

Le persone che frequento in Terra Natìa sono in genere mie coetanee o più giovani: con una statistica a spanne direi che l’età media delle mie conoscenze sia intorno ai 27-28 anni.
Questo potrebbe essere indice di un mio ritardo nell’uscita dai favolosi anni venti: così, per non sentirmi in difetto rispetto all’ordine naturale delle cose, sono uscito con un gruppo di Over 30, cui sono stato introdotto, tutti ammogliati o in-procinto-di. Sicuro che costoro, da buoni adulti, potessero farmi da mentori per il mio ingresso nel mondo della adulteria.

Non ho considerato che, nelle serate in cui son da soli, liberi dai ceppi familiari, gli Over 30 ammogliati o in-procinto-di regrediscono a un tardo adolescenzialismo*, che è più o meno l’epoca in cui andavano in giro a “castigare” (cit.) il resto d’Europa.


Quindi credo di dover ringraziare costoro quando chiedo un accendino perché il mio è scarico e vengo guardato con l’occhiata da “Ah, italiano, certo, certo, accendino, vuole scopare”¹.


¹ Ho cominciato quindi a chiedere di scopare per avere un accendino.


*E alcuni sembrano veramente molto tardi, di mente².


² Sono molto teneri, comunque. Così come degli adolescenti che promettono alla madre di non far tardi, loro controllano spesso l’orologio perché hanno promesso alle compagne di rientrare in orario consono e di molestare soltanto verbalmente le minorenni.


Ho dovuto rinvigorire le mie skills di intellettualismo, messe a dura prova dagli over-adolescenti, passando poi il pomeriggio seguente al Ludwig, il museo di arte contemporanea.

Come molte persone che si intrattengono con quest’arte, non capisco niente. Una volta al MADRE (Museo d’arte contemporanea Donnaregina di Napoli), anni fa, mi fermai a contemplare un estintore poggiato in un angolo finché non mi dissero “Quello è un estintore”. Al che risposi: “Questo è ciò che credi tu. Questo non è un estintore”. Adesso quell’estintore è al Guggenheim grazie alla mia intuizione. Se non ci credete, quando passate al Guggenheim cercate bene e vedrete un estintore.

Il Ludwig è un posto bellissimo. La struttura è essa stessa un’opera d’arte, a mio avviso, e merita una visita solo per questo.

Si sviluppa su tre piani ed essendo io avvezzo ad atti dadaisti ho ovviamente cominciato la visita dal 2°, per poi andare al 3° e poi scendere al 1°.

La mia scelta sulla sequenza della visita non è stata errata: il primo piano è deserto e non frequentato, perché ospitava soltanto un’esibizione di stampe di autori ungheresi.

Ho ritenuto opportuno non andarmene via subito da quel piano, però, per rispetto di coloro che avevano prodotto tali stampe. E perché avevo pagato un biglietto che andava consumato sino in fondo.

Uno dei sorveglianti presenti al primo piano ha preso a seguirmi.
Odio i sorveglianti nei musei che ti pedinano, ma ne esistono tipologie diverse. Ci sono quelli discreti, quelli che ti osservano a distanza, quelli che fanno finta di camminare in modo casuale ma in realtà ti stanno seguendo ma lo mascherano con un’espressione da “Oh! Che combinazione, ci incrociamo di nuovo”.

Costui, invece, paranoico e inospitale come credo questo popolo in fondo intimamente sia, mi pedinava. Ovunque andassi percepivo il tap-tap delle sue scarpe lucide sul parquet.

Inizialmente non credevo mi stesse seguendo, così ho fatto delle prove, o meglio, delle finte come il portiere quando deve parare un calcio di rigore: finge di essere propenso a gettarsi da un lato per indurre il rigorista a tirare dall’altro, poi all’ultimo momento cambia direzione.

Dopo un paio di esperimenti ho capito che non abboccava alle mie finte e continuava a seguirmi.

Allora ho iniziato ad accelerare il passo. Lui ha fatto lo stesso.

Ho deciso quindi, svoltato l’angolo, di approfittare del lasso di tempo in cui non ero visibile ai suoi occhi per correre lungo la stanza contigua e svoltare di nuovo nella stanza precedente dall’altro ingresso per arrivargli alle spalle. Avrei voluto vedere lo stupore nei suoi occhi quando, una volta svoltato nella stanza accanto, non mi ha trovato!

Abbiamo continuato così a rincorrerci.

Adesso scrivo mentre sono ancora intento a scappare nel museo: sono diventato un’installazione contemporanea, performance dinamico-estemporanea della corrente dei correnti.