“Dobbiamo pensare a una frase da mettere sulla pergamena funeraria”.
Hai detto niente.
Quando mi chiedono di’, scrivi, pensa qualcosa, la mente mi collassa in un buco nero. Al punto che per evitare di pensarci troppo, per i giochi basati su Pensa a un numero io tanti anni fa me ne sono scelto uno e da allora indico sempre lo stesso.
Che non dirò perché casomai mi trovassi a fare un gioco con un lettore di questo blog poi mi fregherebbe.
Mia zia se ne è andata una settimana fa.*
E io al momento mi sento bloccato nel formulare un pensiero commemorativo. Non è che non senta nulla. Al contrario ci sono tante di quelle cose che sento di voler dire ma che ho difficoltà a tradurre perché qualsiasi parola finisce fagocitata dal buco nero che ho in testa.
L’unica cosa cui riesco a pensare è quanto sia strana la gente che presenzia ai funerali. Alcuni li vedi e ti chiedi se siano lì per un legame col defunto o se stavano solo passando per caso.
Poi ci sono quelli che quando si avvicinano a porgere le condoglianze si presentano. Il che ci sta, se non ci siamo mai conosciuti o non ci si vede da anni. Solo che alcuni sembra che vogliano a tutti i costi un riconoscimento alla loro identità o alla loro presenza lì.
«Io sono Piercarolambo da Casamia di Sotto»
«Grazie di essere venuto»
«Il figlio della cugina della zia di tua madre»
«Ok»
«Cioè io e tua madre diciamo siamo cugini»
«Ok»
«Abbiamo fatto le scuole medie insieme»
A quel punto cerchi con lo sguardo un’altra persona nelle vicinanze che, vedendoti, si avvicinerà per porgere le condoglianze, interrompendo la sequenza di identificazione del soggetto precedente ma, purtroppo, iniziandone un’altra.
«Io sono Giangiuditta di Porticato Nuovo»
«Grazie di essere venuta…»
Perché poi c’è sempre anche l’usanza di precisare la provenienza, come tal Brancaleone da Norcia.
Al che io ai funerali ho preso l’abitudine di stare distanziato qualche metro dai miei familiari. Ho risolto il problema: dato che quelli che non ti conoscono ti avvicinano per circostanza vedendoti lì, stando a distanza nessuno dei “cercatori di riconoscimento” arriva.
Sarò antipatico, ma a me il rituale di persone che non conosco che vengono a porgere omaggi e cordoglio tenendoci però molto al fatto che tu sappia chi siano (ripeto, non essendoci mai visti né conosciuti è un po’ difficile), pesa assai.
Poi ci sono quelli che controllano chi è presente e chi no.
E poi controllano, tra quelli presenti, chi si avvicina a porgere le condoglianze e chi no.
E poi controllano, tra quelli che porgono le condoglianze, quelli che Ma con che faccia tosta?!.
E io trovo tutto ciò davvero strano.
Vivere senza un’altra persona ancora nella tua vita, sarà strano.
* Nel momento in cui questo post sarà online sarà trascorsa una settimana. In realtà è frutto di momenti diversi e fa strano sapere che sto parlando ora a un eventuale lettore futuro facendo riferimento a un passato che a tratti per me è presente. Credo di aver utilizzato diverse volte la parola strano ma non ho voglia di correggere.
Oh, poi la frase è stata prodotta. Ragionandoci prima un attimo con mia cugina poi ho elaborato due ipotesi di scrittura pedalando verso casa a tarda notte. Il buio mi fa pensare meglio. Anzi, mi rende spontaneo. Sarà che mi fa sentire protetto: quando penso di giorno mi sento vulnerabile ai miei stessi pensieri. È una cosa che non riesco a spiegare meglio quindi rinuncio a farlo. So solo che tra il buio in testa e quello fuori si crea una sorta di equilibrio.
Mi dispiace per tua zia.
Credo che il momento del “ti ricordi, io sono…” sia inevitabile, In queste situazioni: un funerale è il tipico momento in cui si manifesta più o meno tutta la famiglia (compresa la sezione che io chiamo “il rettilario”) nello stesso posto.
Ci sono parenti che incontro solo ai funerali, in pratica.
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Da amante delle mostre di rettili e anfibi posso confermare che una sezione apposita del genere “parentame”, dovrebbe venire inclusa nell’allestimento.
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All’ultimo funerale a cui sono stata, quello di mia nonna, di parenti eravamo solo 3, me compresa. Poi c’era veramente gente passata di lì per caso. Le condoglianze le ho ricevute anche io, ma con la frase : era tua parente? E tu sei? Non so quale tristezza sia peggio. In ogni caso la storia della protezione del buio la capisco: capita anche a me
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Sì, quella domanda è capitata anche a me.
Al funerale di mia nonna ricordo una signora mi chiese:
– E tu chi sei?
– Io sono il figlio di…
– Ah, bravo!
Avrei voluto rispondere Ah grazie, ho lavorato tanto per avere questa parte…
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😂
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Pedalando verso sud.
Io anche ho un numero fisso per i giochi numerici.
I funerali sono strani, io ho l’impressione che, esclusi i piú consumati celebratori, siano tutti imbarazzati: d’altronde il funerale è il luogo ed il tempo del presentatore folle..
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Ma chi consuma il consumato celebratore?
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Come già prima di te si domandava Giovenale.
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Senza avere risposta perché chiedeva alle persone sbagliate.
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Esatto. Io ti dico che è stato Giangi.
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Issimo, proprio.
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Giargianese come i diodi.
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Entrato nel televisore.
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Pronto per la bronzatura.
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E per andare sotto con gli schiaffoni.
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Altre barricate!
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Scrivere è un ottimo modo per nutrire i buchi neri, a un certo punto invertono i motori e cominciano a produrre bellezza 🙂
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Secondo una teoria non confermata ma dedotta dalla relatività (non ricordo se generale – dietro la collina? – o ristretta), da qualche parte nell’universo esisterebbero buchi bianchi che, estemporanei o perenni, butterebbero fuori materia.
Magari è lo stesso principio!
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…che permette alla notte cupa e assassina di diventare una giornata generosa e piena di sole 🙂
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Parole da libro spaziale.
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A distanza tutto assume un aspetto diverso. E i buchi neri si riempiono di nuove prospettive.
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A volte occorrono distanze siderali…
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Sai che figata ritrovarsi nello spazio!
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Basta che dallo spazio non si finisca nell’ospizio…
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Ospì_zio!
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