Non è che il numismatico sia un artista perché pieno di Talenti

Una cosa che da tatuato ho scoperto è che chiunque ti incontra e vede la nuova opera sentirà il dovere di metterti in guardia:

– Lo sai che devi metterci la pomata?

E io vorrei rispondere No, guardate, grazie che me l’avete detto, io pensavo di dover mettere il braccio nel fornetto dove abbrustolisco il pane per le bruschette per farlo asciugare. Ma non sono così sprucido (= scorbutico) e quindi sorrido e ringrazio il consiglio non richiesto.

Forse vogliamo soltanto sentirci utili un po’ tutti e renderci partecipi. Viviamo come se fossimo dentro un talent show, uno dei vari, orribili, dove la gente applaude uno che sa suonare La Marseillaise con l’ascella o un bambino che a 5 anni sa ballare come Michael Jackson e a 15 sarà un eroinomane.

Crediamo nel mito del “Ce la posso fare anche io!”. Siamo tutti speciali. Alcuni ne sono talmente convinti da raggiungere parossistiche vette di ridicolo. Alle elezioni comunali nel mio Comune un candidato, che tra l’altro conoscevo bene, scrisse sui manifesti, sotto al suo nome, “30 anni”. Nella sua interpretazione lui era speciale per la sua età. Nella mia visione, invece, era l’unica cosa a parte il possesso della patente B di cui potesse vantarsi.

Devo comunque fare una correzione: non è che crediamo che tutti siano speciali. Noi lo siamo, gli altri non son nessuno. Ci autosopravvalutiamo e sottovalutiamo il prossimo e il remoto.

In cuor nostro, ma non lo ammettiamo con noi stessi né ci sogniamo di esternarlo pena il pubblico ludibrio, magari c’è poi invece un giudice interno che ci dice che non possiamo farcela, che la pressione esterna e le aspettative sono eccessive, che qualcuno dovrebbe tirare il freno perché sennò si finisce a sbattere.


Faccio poco testo io che negli anni al giudice monocratico ho sostituito un organo collegiale e messo su un tribunale con tanto di Pubblico Ministero e avvocato della difesa, istituendo inoltre una Corte di Appello e una di Cassazione per avere 3 gradi di giudizio di coscienza. Ciò purtroppo comporta un allungamento dei tempi. Ad esempio sto ancora dibattendo un mio rimorso di coscienza del 2004.


Io allora vorrei rivendicare la realtà del “Non ce la faccio”. Anzi, vorrei istituire la Giornata dell’orgoglio del non farcela. Se cominciassimo a prendere coscienza di non potercela sempre fare forse avremmo qualche ansia in meno e più soldi da non investire in psicoterapeuti.

Certo gli psicoterapeuti avrebbero da ridire o forse no il loro mestiere lo farebbero lo stesso, comunque io non ce la faccio a preoccuparmi anche di loro.


E comunque questa è la nuova – nonché ultima (per ora, credo) – opera sul braccio.

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