Non è che ti serva bussare per entrare nella psiche altrui

Basta fare un giro nei dintorni di qualche spazio aperto di aggregazione per trovare conferma ai propri pregiudizi e stereotipi sulla fauna giovanile locale. Ed è confortante sapere che esista una possibilità del genere: la chiusura e l’isolamento dello scorso anno mi avevano fatto pensare che forse i miei ricordi su come mi causasse disagio e ribrezzo una simile umanità fossero distorti o non corrispondessero più al vero.

Ora però più trovo conferme più ho voglia di restarmene isolato, il che è un bene vista la situazione attuale. Il mio dubbio è che, un giorno, quando sarà finita l’emergenza, io mi ritrovi ancor più intollerante e insofferente verso il prossimo e anche il remoto.

Domenica sera ero uscito di casa per attraversare la strada e andare un attimo alla gelateria di fronte.

Un gaudente fauno locale al volante di un Mercedes – che avrà vinto alla lotteria perché fatico a pensare che, con all’incirca 10 anni di età meno di me, uno possa già essere un piccolo imprenditore capace di garantirsi un mezzo da 35mila € – vede passare due ragazze ed esclama Ciao belle dove andate?.

Loro non danno peso al suo tentativo di fare miciochiamata come si dice oggi con un inglesismo* e tirano dritto.


* Beninteso, non voglio banalizzare. Ho repulsione verso qualsiasi tipo di approccio molesto rivolto al prossimo. Sono così intollerante all’invasione della bolla prossemica che odio persino quello che, di fianco, ti sbircia nel libro che stai leggendo. Ma ho l’impressione che la tendenza a dover dare un nome a tutto ci sia un po’ sfuggita di mano e oggi serva solo a garantire visualizzazioni a Twitter e permetterci a basso dispendio energetico di essere partecipi e ritenere di aver fatto la nostra parte mettendo un cancelletto alle cose.


Nell’esempio di cui sopra, potrei parlare di #bookspying ma non lo farò.


Poi fa uno scattino nervoso con l’auto come a voler superare sulla destra l’auto davanti, senza averne lo spazio. Difatti lo scattino si esaurisce nell’arco di un metro e un po’ giusto poco prima di incontrare me che attraverso la strada.

Mi chiedo sempre cosa frulli nella testa delle persone e, per individui simili, la mia risposta è sempre la stessa: nulla. Anche questo è un pregiudizio, ne son conscio, ma – sulla base di semplici apparenze – fatico a immaginare che, mentre è intento nel suo scattino per vituperare i cavalli dell’auto, costui stia riflettendo sul senso della propria esistenza e sull’origine dell’Universo.

Tendenzialmente quindi suddivido la psiche delle persone in maniera molto semplice. Quelli appunto come il tizio di cui sopra credo abbiano una psiche con necessità molto semplici, come un essere che ha solo bisogno di nutrirsi, defecare e riprodursi.

Poi ci sono tutti quelli che credo avrebbero necessità di uno psicologo e se non ci vanno è solo perché:

– Non possono permetterselo;
– Temono di andarci e scoprire di essere omosessuali;
– Pensano che andarci significhi ammettere di essere malati o avere qualcosa che non va.

Io sono stato da una terapeuta pensando invece di avere qualcosa che non andava.

Ha provato a convincermi che non ho nulla da guarire o curare e che al massimo sono gli altri ad avere qualche problema di funzionalità.

Tralasciando che secondo me i terapeuti dicono così a tutti, la cosa non mi è di conforto alcuno.


Per dire, l’ex fidanzato di un’amica si era convinto a vedere una psicologa dopo che aveva sbroccato*, tal da arrivare a
– puntarsi un coltello alla gola dopo un litigio minacciando di tagliarsi se lei non l’avesse ascoltato
– dare delle testate al muro al telefono per convincerla poi a tornare da lui perché lui stava male

Alla fine la psicologa gli ha detto che lui non aveva nulla che non andava ed era stata lei a esasperarlo e a costringerlo a comportarsi in tal modo.

Il che può anche essere vero eh – io lascio il beneficio del dubbio – ma rinforza il mio pregiudizio sul fatto che gli psicologi provino a convincerti che non è colpa tua.


* Mi si perdonerà l’utilizzo di termini non precisi e tecnici ma oltre a sbroccare non mi viene altro.


Perché se io sono il problema posso anche tentare di risolvermi.

Se lo sono gli altri invece c’è poco da fare e anche ammettendo per assurdo di convincere gli altri ad andare da uno psicologo chi mi assicura che poi lui non gli dica che sono io il problema?

Allora delle volte vorrei davvero trovarmi nel tranquillizzante vuoto della testa del tipo in Mercedes ma la mia paura che sia anche lui un’anima tormentata e afflitta da gravi dubbi esistenziali è tanta che preferisco restare nell’amichevole conforto del pregiudizio perché tutti abbiamo bisogno di qualcosa o qualcuno da odiare, non dobbiamo essere ipocriti e fingerci carichi di buoni sentimenti. L’importante è scegliere la categoria giusta e socialmente accettabile per il proprio odio.

Scegliete la vita: scegliete un lavoro; scegliete una carriera eccetera eccetera ma scegliete anche di odiare il tizio in Mercedes dedito alla miciochiamata, che fa gli scattini nervosi per sorpassare a destra, con il subwoofer da 300W per far sentire a tutti un neomelodico trapper.


Ché io pensavo trapper e neomelodico fossero due tipologie di artisti di per sé già da trovare poco sopportabili, ma la loro fusione in stile Gogeta ha un’aura irritante potentissima.


Non è che il motto del notaio sia “Rogito, ergo sum”

Ogni individuo di questo Pianeta sente di appartenere a un qualcosa di più grande e significativo, per dare un senso alla propria esistenza. Nel caso appartenga invece a un qualcosa di non-significativo, il fatto stesso di caratterizzarlo come tale è una autoesaltazione del sé: guardatemi, sono il primo tra gli ultimi, quindi sono degno di nota.

La mia, ad esempio, è una non-generazione.
Noi nati negli Ottanta siamo compres(s)i tra la Generazione X che ha posato i bomber e i jeans a vita alta e probabilmente oggi vi sta negando un prestito in banca, e i cosiddetti nativi digitali, gente che non ha fatto neanche in tempo a nascere e già era degna di nota perché vomitava la pappa su un tablet. Probabilmente mentre adesso scrivo sul blog c’è una youtuber quindicenne in diretta video che fa centomila visualizzazioni parlando di assorbenti di Hello Kitty.

In teoria siamo ancora noi non-significativi quelli che dovrebbero avere in eredità il mondo da chi li ha preceduti. Un mondo fatto di linee di comunicazione, anticrittogamici, prodotti per la calvizie, cialde per il caffè e agenzie interinali.


Ho tralasciato l’olio di palma perché adesso stanno tutti facendo in modo di farlo scomparire e non lasciare niente alle generazioni future. Se questo non si chiama egoismo, non so.


Ma come si eredita il Mondo? Esiste un notaio che convoca l’interessato e gli comunica che una generazione gli ha lasciato il Mondo o una porzione di esso? E come fa tale notaio a rintracciarti? Usa la geolocalizzazione di Google?

Ho scoperto che Google adesso sa dove sono stato anche se ho cercato di evitare di farglielo sapere. In pratica è una versione 3.0 di una madre.
L’assistente di Google Foto (e non sapevo di avere un assistente) ha organizzato le mie foto senza che glielo avessi chiesto e ha identificato dove mi trovassi in base a ciò che avevo fotografato.

Ma va’? Non lo sapevi? Ma dove vivi?

Ecco, appunto, non lo so più dove vivo.
Ho tre vite separate al momento. Ho il lavoro all’estero, la famiglia al Sud e una Trallallà al Nord. Comincio a sentirmi sfasato. E sono anche preoccupato: se mi cercasse il notaio per consegnarmi il Mondo, riuscirebbe a trovarmi?


Mi sono accorto che avevo già utilizzato la battuta sul rogito, ma mi sento troppo stanco per cambiare titolo.