Non è che cerchi attenzione dal succo di pomodoro perché è concentrato

Leggevo su Il Post questo articolo: Perché le videochiamate sono sfinenti. Non potevo fare a meno di andare col pensiero, quando viene citato lo “stress emotivo”, a Infinite Jest e il suo racconto del fallimento dell’esperienza del videofono:

Venne fuori che c’era qualcosa di tremendamente stressante nelle interfacce telefoniche visuali, che in quelle solo audio stressante non era stato affatto. Gli utenti videofonici sembrarono rendersi improvvisamente conto di essere caduti in un’insidiosa ma stupenda illusione riguardo alla telefonia solo vocale. Non l’avevano mai notata prima, l’illusione – è come se fosse stata così complessa sul piano emozionale da poter essere capita solo nel contesto della sua perdita. La buona vecchia conversazione telefonica tradizionale solo audio consentiva di presumere che la persona dall’altro lato stesse prestando un’attenzione completa alla telefonata, e al tempo stesso faceva sì che tu potessi distrarti quanto ti pareva. Una conversazione tradizionale solo vocale – nella parte che si appoggiava all’orecchio la cornetta aveva solo 6 piccoli fori ma la parte in cui si parlava (piuttosto significativamente, parve in seguito) ne aveva 6^2 , cioè 36 – permetteva di immergersi in una specie di fuga semiattenta, ipnotica quanto il viaggiare in autostrada; mentre si parlava si poteva guardarsi intorno, scarabocchiare, darsi una sistematina, levarsi pezzettini di pelle morta dal bordo delle unghie, comporre haiku sulla rubrica telefonica, mescolare qualcosa sui fornelli; si poteva perfino condurre una conversazione parallela interamente separata con un’altra persona nella stanza usando il linguaggio gestuale ed espressioni facciali esagerate, e tutto questo dando sempre l’impressione di essere attentissimo a ciò che diceva la voce all’altro capo del telefono. Eppure – ecco la parte retrospettivamente meravigliosa anche mentre si divideva l’attenzione fra la telefonata e ogni altro genere di piccola cosa, in qualche modo non veniva mai in mente che l’attenzione della persona con cui si era al telefono potesse essere scarsa come la nostra. Durante una telefonata tradizionale, per esempio, mentre si stava eseguendo, diciamo, un attento esame tattile del mento in cerca di brufoli non si era in alcun modo oppressi dal pensiero che l’altra persona al telefono potesse magari a sua volta dedicare una buona percentuale della sua attenzione all’esame tattile del suo mento. Era un’illusione, e l’illusione era auricolare e auricolarmente supportata: la voce all’altro capo della linea telefonica era densa, fortemente compressa e incanalata proprio nel tuo orecchio, e ti faceva pensare che l’attenzione del proprietario della voce fosse compressa e focalizzata… anche se la tua stessa attenzione non lo era, ecco il punto. Questa illusione bilaterale di attenzione unilaterale era gratificante in maniera quasi infantile, su un piano emozionale: si giungeva a credere di poter ricevere la completa attenzione di qualcuno senza doverla ricambiare.

Io a essere sincero lo stress di restare concentrato non lo avverto: mi deconcentro prima che arrivi. Una volta mi stavo pure addormentando.

Ho provato a immaginare dei rimedi per aiutare chi come si trova in difficoltà di fronte a una video-conversazione e deve mantenere l’attenzione.


AVVERTENZA: L’autore del post declina ogni responsabilità per eventuali danni derivanti da un uso poco accorto dei suggerimenti proposti.


  1. Il fachiro. Difficoltà: Doloroso. Prendere un cuscino, spingervi dei chiodi dentro e poi sedervicisi sopra. Sconsigliato per lunghe conversazioni. Dal riquadrino sullo schermo che mostra la vostra faccia monitorate il vostro stato: se state sbiancando troppo vuol dire che vi state dissanguando.
  2. Il guardone. Difficoltà: Coinvolgente. Aprite una finestra sul desktop con un video porno, così almeno restate con lo sguardo fisso sul monitor. Il problema sorge se vi fate coinvolgere troppo dalle scene.
  3. Il genio. Difficoltà: Recitazione. Muovetevi a scatti e pronunciate parole frammentate a caso, dando l’illusione che la connessione sia disturbata. I più bravi riescono anche a depixelarsi il viso. Se sarete abbastanza convincenti potrete far cadere la comunicazione con la giustificazione dei problemi di rete per prendervi 5 minuti di pausa. Alternativa: bloccarvi in una posa casuale fingendo un freeze.
  4. Il fisionomista. Difficoltà: Non ridere. Osservate bene le facce delle persone in video e cominciate a immaginarle con delle caratteristiche diverse. Mettete a uno i baffi. Un naso da troll a un altro. Le corna a un altro ancora. No, forse gliel’hanno già messe (ah ah ah…).
  5. Lo sparring partner. Difficoltà: Resistenza. Ingaggiate un pugile che vi tiri un gancio al minimo segno di cedimento o di distrazione da parte vostra.
  6. L’imitatore. Difficoltà: Costanza. La tecnica richiede allenamento. Ogni mattina contemplate una foto di Toninelli ed esercitatevi a mantenere il suo sguardo concentrato: PALAZZO CHIGI - CONSIGLIO DEI MINISTRI

Ma l’idea migliore viene sempre da Infinite Jest:

il Tableau trasmissibile (Tt) […] era in pratica la fotografia di un essere umano incredibilmente in forma e attraente e ben fatto le cui reali somiglianze con il chiamante si limitavano alla razza e al numero di arti, e il cui volto rivolgeva uno sguardo concentrato in direzione della telecamera videofonica. Sullo sfondo c’era l’arredamento sontuoso ma non ostentato del genere di stanza che rifletteva al meglio l’immagine di sé che si desiderava trasmettere, e così via.
I Tableaux erano semplicemente fotografie d’alta qualità a pronta trasmissione, ridotte a formato diorama e fissate con una staffetta di plastica alla telecamera videofonica, non molto diverse da un coprilente.

(Si può sempre prendere spunto e sostituire la propria foto con quella di un Toninelli)

Se parli di me, io ti bloggo

Ho di recente superato il traguardo dei 300 followers. Un numero importante, che mi mette addosso anche una certa pressione e ansia da prestazione: riuscirò a soddisfarli tutti o no?

Ho pensato, per sfoltire un po’ il numero di lettori, quale trovata migliore di un bel post in cui mi rendo antipatico? No, scherzo. Ma ho constatato che nella mia liste di categorie sociali non ho ancora analizzato quella più rilevante: il blogger. Pertanto, eccoci qui.

Premessa: le categorie, come tutti i miei scritti, sono frutto di ironiche estremizzazioni e non aderenti esattamente alla realtà, quindi non riferite a nessuna persona specifica.
Nessun blogger è stato maltrattato per la produzione di questo post e per i test e gli esperimenti sono stati usati solo blogger i cui corpi sono stati volontariamente donati alla scienza.
Per eventuali reclami, l’URB (Ufficio per le Relazioni con i Blogger) è aperto il 31 settembre, il 31 novembre e il 30 febbraio. Munirsi di numero. Le blogger carine e intelligenti dovranno lasciarlo, invece.

I blogger (questi sconosciuti)

Casa Vianello – Ovvero, la blogger (ma spesso è anche un maschio) che racconta la propria vita tra le mura domestiche, tra sveglie a orari impossibili, gatti che vomitano sui tappeti, coniugi con strane fisime e pranzi bruciati nel forno. La vita è sempre movimentata da assurdi contrattempi ed esilaranti scenette, come in una sit-com. Nei periodi di maggiore frustrazione e soprattutto se ci sono figli in casa può tramutarsi in una Casalinga disperata, che troverà nel blog l’unico momento di relax, dopo una giornata passata ad ascoltare i capricci dei figli, le lamentele dell’insegnante e, dulcis in fundo, i capricci e le lamentele del marito.

Bridget Jones – La sua domanda esistenziale è: “Solo a me capitano gli uomini sbagliati?”. Nel proprio blog racconta le disavventure sentimentali di cui è costantemente vittima a causa di incontri sfortunati. In genere i suoi uomini rientrano in una di queste specie:
– è bello ma noioso, a cena non fa altro che parlare di quando ha vinto il torneo di calcetto condominiale segnando il gol decisivo in finale e della crescita dell’azienda di spurghi & clisteri che dirige;
– è carino e simpatico ma una frana a letto;
– è bravo a letto ma ha i modi garbati di un Neanderthal, terminata la prestazione la caccia via con un calcio, un rutto e una bestemmia (ai più abili riesce di bestemmiare ruttando);
– è bello e bravo ma poi si scopre che è uno che cercava soltanto un’amante (perché ovviamente non aveva detto di essere sposato).

Fabio Volo – Il nome dice tutto. Poeta (secondo lui) e seduttore (sempre secondo lui), ci racconta di quando ha incontrato lei e l’ha conquistata dicendole “Io sono un uomo. Tu sei una donna” e così via tra ovvietà e aforismi che fanno presa sul pubblico femminile e anche su quello maschile, che lo identifica come maestro di saggezza e ne assimila le perle.

L’Enigmista – Sottotitolo: “Ma che minchia dice?”. È quello che scrive post criptici, ermetici e oscuri, narrando di “Squarci che liberano la pressione costretta lasciando a terra le nostre velleità…” mentre chi legge penserà “Wow, che bello”. In realtà sta descrivendo di quando ha forato con la bicicletta ed è rimasto a piedi.*

Il confuso – Quello che non sa perché mai abbia aperto un blog, perché mai continui a scriverci e perché mai non si decida a chiuderlo. Ogni tanto pone questa domanda anche ai lettori, che dovranno rispondere “nooo, non smettere” perché sennò fa brutto.

Una fashion blogger

La fashion blogger – La mutazione genetica frutto degli scarti della società moderna sversati nella blogosfera, il Godzilla emerso da acque di colonia radioattive. Ogni giorno c’è una donna che si sveglia e all’improvviso decide che lei dovrà fare tendenza e orientare la moda della stagione (come altre centinaia di migliaia di proprie simili: quante mode escono all’anno, quindi?). Il primo passo dopo il risveglio è l’invasione: facebook, twitter, instagram, pinterest, tumblr, le piattaforme sulle quali sbarca con lo stesso impeto delle truppe Alleate in Normandia. La sua giornata tipo inizia su Instagram, dove pubblica la foto della colazione su un tavolino con vista mare, perché lei non è come i comuni mortali che a casa si fanno un caffè e due fette biscottate, no, lei prende cappuccino (con la cremina e il cacao che formano un cuore), ciambelle e torta, che viene da chiedersi a quanto abbia la glicemia se ogni giorno comincia così. Il dubbio è che vada in realtà a importunare le persone al bar e a fotografare le colazioni altrui. Ci sono poi due scuole di pensiero per ciò che concerne i vestiti da indossare, pardon, per l’outfit: la foto di tutto l’armamentario disposto con cura sul letto e la foto di lei con i vestiti addosso davanti allo specchio. La data dello scisma tra queste due chiese non è ben precisa. Le fotografie sono molto importanti, purché fatte con stile, cioè basta che ci sia una smorfia. Parafrasando Lo Stato Sociale:
Sono così fashion che devo comunque fare una smorfia quando mi fotografo e se non faccio una smorfia allora faccio la smorfia come se non mi accorgessi che mi sto fotografando.
Ogni anno molti fashion blog muoiono di morte naturale per consunzione dell’autrice, nell’indifferenza generale.

La cavia da laboratorio – Una fashion blogger che ha seguito un percorso evolutivo diverso, magari per povertà; convinta del messianico compito di portare luce nel mondo del make up, è la tester per eccellenza di prodotti cosmetici e altre sostanze sconosciute da recensire sul proprio blog. Vista la propria indigenza perenne, si nutre o di campioncini gratuiti che raccatta stando tutto il giorno su internet o di prodotti che scrocc…fa acquistare alle amiche.

Benedetta Parodi – Così come sembra ci sia più gente che scrive che gente che legge libri, ci son più blog di ricette di piatti che di gente che ne mangia. Il mondo dei blog di cucina è lo youporn del cibo, una volta entrati in questa dimensione se ne diventa dipendenti, ci si perde in mezzo a tutti i generi, vegan, slow, bio, fusion, asian, sembrano etichette di video porno invece sono categorie di ricette. La blogger in cucina è la pornografa della tavola, ti mostra piatti che credi di poter replicare anche tu a casa: povero illuso, perché non verranno mai uguali.

Adam Kadmon – È parente di Quello delle verità nascoste che agisce sui social, a volte è la stessa persona. Anche lui si sente investito del ruolo – conferito non si sa da chi – di portatore di luce nelle coscienze ottenebrate degli esseri umani. Il suo blog vi darà la vaga impressione di entrare in un negozietto cinese Tutto a 1 euro, dove non ne uscirete se prima non vi sarete fatti convincere da qualcosa. Non usa mai lo stesso colore consecutivamente per sottolineare una frase chiave, perché non sia mai che cali l’attenzione del lettore. Tutto ciò che racconta è INCREDIBILE, SCANDALOSO e VERGOGNOSO, questi tre aggettivi sono necessari per la certificazione D.o.c. (delirio occulto complottista). La tattica di approccio col lettore è aggressiva come quella di un venditore di Folletto col cliente: se non compri la merce, sei un povero fesso che si lascia sfuggire l’occasione.

Amélie – Quella che si piace e si compiace della propria stramberia, di essere uscita di casa con i calzini di colori diversi, di aver comprato un paio di scarpe Lelly Kelly e di amare abbinamenti alimentari inusuali che sarebbero classificati dalla CIA come armi chimiche. Tutte cose di cui poi racconterà nei propri post. Ama scattare foto artistiche di altalene appese agli alberi e biciclette appoggiate ai muri. Attenzione: lei in realtà non ama affatto la fotografia, ma ama sé stessa che scatta le foto. Sempre con la testa fra le nuvole e i piedi nelle pozzanghere, perché dovrà poi raccontare sul blog di essersi schizzata i jeans, può avere diversi sviluppi evolutivi una volta adulta, da una Casa Vianello a una perenne incazzata col mondo, ma talune si bloccano a questo stadio di eterna pupa e non sfarfallano. Ne esistono anche versioni maschili che a volte sconfinano nel nerdismo, dove nei casi più gravi dalla crisalide si può assistere allo sviluppo di un tremendo Sheldon Cooper.

Sheldon Cooper – Il saccente nerdone che conosce tutto e il contrario di tutto, o almeno ne è convinto. Odia l’umanità con la quale purtroppo è costretto a relazionarsi e, a differenza della Amélie, pur essendo uno stramboide non è conscio di esserlo, al contrario sono gli altri a risultargli anormali mentre lui si piace e si compiace della propria presunta “normalità”. Può essere una creatura placida e tranquilla, ma è anche in grado di scatenare i propri peggiori istinti quando vede toccate le proprie passioni, potrebbe invocare la pena di morte per chi ha sbagliato la pronuncia di un nome di Game of Thrones, tanto per dirne una.**

Poi ce ne sarebbero tante altre ancora, c’è l’Ulisse, quello che è sempre in viaggio e regala ai lettori reportage fantastici che però gli attirano tante bestemmie per invidia, c’è lo Scrooge che ha sempre qualcosa da lamentarsi e ce l’ha con tutti, c’è la neomamma che fa tenerezza anche se sente la necessità di raccontare con orgoglio della produzione intestinale del proprio figlio, c’è quello che scrive guide su qualsiasi cosa, anche su come si scrive una guida su un blog, c’è il Marchese de Sade e la Lady Godiva coi loro blog a luci rosse, c’è il poeta maledetto/cimiteriale…e poi c’è quello che sfotte gli altri perché non sa che altro scrivere!

* Faccio outing: I did it.
** Secondo outing: mentre ne scrivevo, mi sono accorto di riconoscermi in parte. Però non chiedo la pena di morte, anche perché sono il primo ad avere un problema coi nomi e poi in GOT ce ne sono troppi. ” A morteee!”.

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=D Segnati le ossa che ora vengo a mischiartele