Non è lo stilista causa iperlavoro cerchi rimedi per combattere lo strass

La settimana scorsa sono stato in trasferta a Genova. Come preve-temevo qui, è stato un vero sequestro di persona. Addirittura durante la riunione (8 ore) non si faceva neanche pausa caffè. Certo, dopo avere assaggiato quello che servivano al bar della mensa aziendale, capisco anche perché non si abbia voglia di fermarsi per un caffè.

Il barista ci teneva a dire che lui è nato a Napoli e quindi lo sa bene come si fa il caffè.


Immagino che a seconda di dove nasci ti carichino il software con le capacità basiche tipiche del luogo: a Napoli il caffè, a Livorno il caciucco, a Bologna i tortellini, eccetera, così anche se ti trasferisci per i successivi 50 anni ti resterà la conoscenza. Ecco cosa fanno quando si portano via il neonato appena partorito!


L’altra cosa che ho notato è che le mie colleghe sono tutte iper-accelerate. Delle volte, questo l’avevo già notato interagendoci a distanza su Teams, devo dire loro Rallenta. Si comportano così anche dal vivo. Apprensina a volte ha la testa così piena di monologhi accelerati che parla anche da sola. Anche io lo faccio, ma quando son da solo veramente. Se sono in macchina con uno di fianco magari evito!

Io non so se il lavoro le abbia ridotte così o se, causa il lavoro, devono assumere anfetamine e quindi accelerarsi. Non hanno condiviso con me questo segreto e me ne dispiace.

Io so che – ma è il mio punto di vista dall’alto di un gatto – delle volte bisogna magari tirare il freno.

Oggi ad esempio, in riunione online, si parlava del telelavoro; sinora abbiamo usufruito di quello illimitato, da Novembre sarà limitato. Su questo tema, è nata poi la questione dello straordinario: con il telelavoro non viene mai computato e in quest’anno e mezzo o poco più di lavoro a distanza tanto straordinario svolto sarà andato perso.

Apprensina però ha osservato:

«Ok, ma senza telelavoro lavorando in sede avreste fatto quegli straordinari? Io no, soprattutto quando ero vincolata ai mezzi pubblici alle 18:00 max 18:30 me ne andavo»

Risponde Performina:

«Io sì, invece. Quando era il turno del padre di tenere mia figlia io restavo anche fino alle 20:30 in ufficio. Tanto visto non c’è nessuno a casa che mi aspetta, tanto vale che resti».

Premesso che ognuno fa quel che gli pare e se si trova bene con quel che fa, tante care cose e non sono affari miei. Però non ho potuto fare a meno di trovare tutto ciò un po’ triste.

Va bene che se quella sera sei senza figlia non hai urgenza di tornare. Va bene anche che magari tornare e trovare la casa vuota sia un po’ deprimente e quindi non forse non ti vien molta voglia.


È una mia speculazione, beninteso. Magari invece quando ci torna alle 21 è contenta di stravaccarsi sul divano con una busta di Chipster a fare le puzze in libertà fino a che non è ora di dormire.


Ma diogatto, fa’ qualcos’altro, passeggia, corri, salta, nuota, qualunque altra cosa che non comporti il chiudersi 12 ore in ufficio!

 

Non è che il marinaio utilizzi estremi rimedi a mari estremi – Pt. 2

Nella puntata precedente avevo parlato del “momento formativo” che mi aspettava nel Quartier Generale.

Ero pronto a tutto pur di difendere me stesso, anche a mettere in scena Il Sociopatico. Cosa che avevo iniziato a fare nei giorni precedenti.

Dato che mi aspettava una trasferta con sveglia alle 5 di mattina e ritorno a casa alle 22 circa, avevo chiesto la cortesia, oltre ai biglietti del treno, di procurarmi un alloggio per ripartire il giorno dopo. Avevo sempre provveduto a spese mie, facendo risparmiare danaro, per una volta male non faceva (è un mio diritto). Per tutta risposta senza il mio assenso mi hanno fatto i biglietti con sveglia alle 5 e ritorno previsto entro le 22. Al che io ho fatto Il Sociopatico: ho provocatoriamente scritto nella mail che alle 22 non avrei trovato mezzi per tornare a casa (una mezza verità, un passaggio ovviamente si rimedia ma questo non l’avevo detto), come potevo risolvere? In risposta mi hanno detto che mi avrebbero rimborsato un taxi. Che sarebbe venuto a costare più di una stanzetta per dormire lì! Chi mai opterebbe per questa soluzione, se non dei veri Sociopatici? Questa non me l’aspettavo proprio.

Non è finita: oggi, per la pausa pranzo tra i lavori del momento formativo, ci hanno fatto arrivare delle pizze. Ho aperto un cartone e mi sono trovato davanti una margherita col ragù alla bolognese sopra. Chi mai ordinerebbe uno scempio di pizza del genere? Dei Sociopatici, ovviamente!

Insomma, per ben due volte mi hanno spiazzato con la loro sociopatia.

Il momento clou è stato incontrare la mia nemica (vedasi sempre la puntata precedente): fin dall’inizio mi ha osservato mentre parlava, quando c’è stata la pausa mi è venuta incontro esclamando Gintoki! Finalmente ci incontriamo!.

Poi è caduto il silenzio. Non sapevamo che altro dirci. Ho finto quindi di strozzarmi con un cornicione di pizza.

È stato strano. Così battaglieri nelle nostre mail, così freddi e impacciati dal vivo. Sembrava un incontro tra due che si sono conosciuti in una chat di cuori solitari.

È a quel punto che ho realizzato: quella che pensavo fosse tensione professionale nelle nostre comunicazioni era in realtà tensione sessuale. Il che spiega poi l’imbarazzo nel trovarsi vis-à-vis.

Esordi di mail come questi:
Carissimo, forse non ci siamo capiti (lei)
e
Carissima, no infatti non ci siamo capiti. Bastava specificare che… (io)
o l’aggressività di certe sue affermazioni
Ti ribadisco la totale disponibilità del nostro ufficio (“ti ribadisco”? Più che un’offerta di aiuto sembra un’intimazione)
sono state potenti esibizioni di carica erotica in cui ognuno dei due cercava di dominare sessualmente l’altro.

L’aspetto più scabroso dell’intera vicenda è che a queste schermaglie assistono, senza mai intervenire, altri colleghi che leggono sempre in copia. Persone che assecondano il nostro voyeurismo ricavandone probabilmente anche loro piacere sessuale nell’ammirarci.

All’epoca in cui frequentavo il corso di Antropologia & Antropofagia il Prof. Durbans dell’Università di Scarborough ci aveva accennato alla mailergofilia, cioè alla perversione del trarre piacere sessuale dalle mail di lavoro (dal greco εργον, ergon, lavoro) raccontandoci di un esperimento condotto nel ’86 con dei bonobo. Si sa che questo animale vive la propria sessualità in modo libero, come ci ricorda Caparezza:

 

Il sesso non era comunque oggetto dell’esperimento.

Ai bonobo infatti erano stati forniti dei personal computer per verificare se l’esclamazione “Anche una scimmia saprebbe fare questo lavoro meglio di te” potesse avere un qualche fondamento.

L’esperimento fu interrotto dopo una settimana quando si scoprì che quando i bonobo si scambiavano comunicazioni professionali molto vivaci – alcune anche molto aspre e severe come accade su un vero posto di lavoro – nel loro cervello si accendevano le aree del tatto, del sistema limbico, dell’ipotalamo e della corteccia. Le stesse coinvolte durante un orgasmo. La ricerca venne fatta sparire per lo scandalo che avrebbe destato.

Mai pensavo di scoprire tratti così strani della mia sessualità. È proprio vero che non si finisce mai di imparare cose nuove di sé.

E voi, siete sicuri che quando al lavoro scrivete a qualcuno mandandolo a quel paese non vi stiate in realtà procurando un piacere sessuale? Frasi come “L’ho fanculizzato e ho goduto” si prestano a interpretazione…

Non è che a tenere un corso chiami un allenatore perché deve fare la formazione

Quelli per cui lavoro amano spendere danaro. Settimana prossima devo andare in trasferta presso la sede centrale per un corso di formazione di 2 ore, 2 ore e 30 massimo se vogliamo tenerci larghi se qualcuno ha domande dai no per favore così andiamo tutti via prima.

Quindi mi pagano 100 euro di treno (a me ed altri da altre zone d’Italia) per una cosa che poteva essere organizzata via Skype.

A ciò va aggiunto che secondo loro avrei poi dovuto farmi 4 ore di viaggio, andare al corso, terminare e correre in stazione a rifarmi 4 ore di viaggio nello stesso giorno. Ho detto per cortesia, lasciatemi partire il giorno dopo. Mi pago io da dormire, ma lasciatemi tranquillo.

A dire il vero trattandosi in ogni caso di una trasferta di lavoro avrei potuto chieder loro di provvedere anche all’alloggio. Non me la son sentita. Anche perché trattandosi di un ente no profit mi fa scrupolo sottrar loro denaro. Hanno apprezzato (e ci credo).

Non sono ancora entrato nella mentalità di quelli che Mi faccio rimborsare pure le Mental per profumarmi l’alito. E ce ne sono anche dove lavoro di persone con questo modo di pensare.

Nella vita invece bisogna pretendere. Me ne sto rendendo conto soltanto ora come se adesso fossi entrato nella maggiore età e stessi scoprendo il mondo. L’umiltà non paga, in realtà non lo fa neanche la presunzione sfacciata: il segreto a mio avviso è essere presuntuosi facendo finta di essere umili.

Guardate in Todo Modo (qui un estratto) il Presidente di Volonté come è così umile, un’anima penitente, nella sua ambiziosa e smodata sete di potere!

Abbiate sete!

Non è che il medico vada allo stadio per curare il tifo

Per la rubrica “Una cosa divertente che non farò mai più”, sono andato allo stadio in trasferta.

A dire il vero non ci sono andato di proposito – di proposito partendo da casa mia, intendo – l’ho deciso perché mi sarei trovato già in quelle zone per altri motivi. La città inoltre è tranquilla, il pubblico di casa piuttosto amichevole con noialtri e lo stadio piccolo ma ordinato. Il tutto quindi mi invogliava.

Essendo al completo il settore ospiti mi ero procurato un biglietto tra il pubblico di casa, dove comunque ci sarebbero stati anche tifosi miei conterranei vista la vasta affluenza.

In tribuna avevo di fianco un signore col figlio, un bambino di 8 anni al massimo.

Il fanciullo sembrava molto incuriosito dalla curva del settore ospiti. Molto festaiola e vivace ma pacifica, in effetti attirava l’attenzione.

La curva mentre sta preparando una grigliata per il dopo partita perché si era fatta una certa e lo stomaco chiamava

Il padre a un certo punto lo riprende invitandolo a prestare attenzione all’incontro o quantomeno ad ammirare la curva opposta, i loro, invece di guardare gli altri.

Passano 10 minuti e il bambino è di nuovo intento a guardare incuriosito e un po’ ammirato la curva avversaria. Il padre, con freddezza e una spruzzata di agrumi lo richiama di nuovo, spazientito. Cosa lo ha portato a fare allo stadio se poi lui si incanta a guardare gli altri?

Il bambino china la testa, si fa rosso in viso e piange. Il padre accortosi di averla fatta fuori dal vaso lo rincuora.

Secondo tempo. L’arbitro fischia un calcio di punizione contestato, contro i padroni di casa. Dagli spalti si leva quasi unanime un Idiota! Idiota! all’indirizzo del direttore di gara. Anche il padre di famiglia partecipa.

Poi, si volta verso il figlio e lo incita Dai, su! Anche tu, digli Idiota! Idiota!.

Avrei voluto anche io avere un figlio. Per dirgli, al termine dell’incontro:

Figliolo, ricordi il signore che avevamo di fianco? Ecco, quello è un coglione. 

Poi ho pensato che in realtà non vorrei mai che mio figlio crescesse nella consapevolezza, inculcatagli da me, che sia semplice e doveroso dar del coglione o dell’idiota a qualcuno. O, ancora, demonizzare l’avversario.

Ma ho anche pensato che mio figlio avrebbe il diritto di riconoscere un coglione quando ne vede uno.

Per uscire da questo dilemma, prima che sia troppo tardi, ho deciso di sottopormi a una vasectomia e riprendere l’operazione per proiettarla nel corso di un vernissage artistico in cui presenterò il mio concetto di Arte Infeconda.

Biglietti in prima fila a breve in prevendita su tickettuan.

In basso, degli omini del calciobalilla (riconoscibili dalla divisa e dall’assenza di braccia) a bordocampo esclusi dal gioco per aver rullato. Delle canne.

Non è che un veicolo così perfetto che si presenta da solo sia un’auto referenziale

Sono tornato sano e salvo dalla trasferta,dalla quale ho ricevuto alcune conferme.

La prima è che i miei superpoteri sono ancora attivi. Per chi non lo sapesse, io ho il potere di rompere qualcosa soltanto toccandola. È per questo che il mio alter ego supereroistico l’ho denominato Deathtouch: sto pensando di cedere i diritti alla Marvel per un Cinepolpettone.

Ero in albergo, dopo aver fatto lo shampoo prendo il phon dal muro. Vuuu Vuuu. Lo ripongo. Lo riprendo. Clic. Muto. Riclic. Rimuto. Che ti è preso (esclamo)?. PEM! e fa una scintilla e muore.

La seconda conferma è che le persone ci tengono tanto a raccontarti cosa fanno, in maniera così esasperata da perdersi nell’autoreferenzialità. Tu magari volevi sapere dove fosse il distributore dell’acqua e loro ti raccontano di quando hanno condotto un progetto per distribuire ghiaccioli agli Inuit pigri.

Ieri io e Analfa, la mia collega, abbiamo rischiato di perdere il treno causa un meeting mattutino che si è protratto fino a 10 minuti prima della partenza.

Quando Analfa ha chiesto Ma quindi quale è la Regione che ha prodotto più risultati? io col pensiero le ho inviato un messaggio che diceva pressappoco Che cazzo fai? Non vuoi andartene da qui? ma mi ha guardato strano senza recepire.

Lo Straziatore, il nostro referente logorroico che ti strazia con le sue chiacchiere, ha parlato per un quarto d’ora rispondendo alla sua domanda in 5 secondi e per il resto del tempo raccontandoci di vertenze col Garante della Privacy e di quanto in questo Paese siano salate le multe.

Se ne incontrate uno, fuggite, sciocchi!

Non è che se ti rimborsano tutto ma sei a disagio allora sei sp(a)esato

Il bello di fare nuove esperienze è fare nuove esperienze, disse una volta un saggio.

Non avevo mai avuto il piacere di fare una trasferta tutta spesata e, citando DFW, è una cosa divertente che non farò mai più.

Le persone che incontro sono tutte gentili e disponibili. Anche troppo. Ho la sensazione di essere in ostaggio. Il mio referente, l’uomo che parla al telefono anche se la persona all’altro capo non è in linea (vedasi post precedente), non ci – io e una collega – lascia un secondo. Me lo sono trovato pure che mi attendeva fuori dal bagno.

È il secondo pomeriggio consecutivo che insiste chiedendo se abbiamo bisogno di compagnia per la sera. È la seconda sera che decliniamo gentilmente con mille inchini e genuflessioni sperando di esser lasciati liberi.

Ho stretto così tante mani che ho la tendinite e quando tornerò a casa penseranno io abbia ripetutamente omaggiato la memoria di Onan in albergo.

Ricordo un nome ogni 5 mani, il che è una buona media, solo che il conto non torna perché a qualcuno ho stretto la mano più di una volta e il nome che avevo imparato l’ho dimenticato alla stretta successiva.

Ogni persona di ogni reparto/ufficio che incontro mi dà depliant, brochure, cartelle, riviste. Non è impietosito dalla pila di materiale che ho sottobraccio e me ne rifila altro.

Una tizia ci ha messo davanti due scatole piene di penne. Pensavo fosse l’invito a prenderne una a testa, cosa che abbiamo fatto.

Lei ci ha guardati e ha spinto le scatoline in avanti. Era chiaramente un’intimidazione e un “invito” a prendere le scatole intere. La mia l’ho portata in giro sotto l’ascella e ora le penne non scrivono più perché inzuppate di sudore.

Penne all’ascellana, una ricetta di mia invenzione (non posso mostrar direttamente le penne perché sennò qualcuno potrebbe dalla foto copiarmi la ricetta!)

La mia collega sembra una persona a posto. A parte che quando ci sentiamo su whatsupp sembra un’analfabeta funzionale.

Esempio di conversazione:

(in viaggio)
Lei: Ti va un caffè?
Gintoki: Certo
G: In che carrozza sei? (eravamo saliti in città diverse)
L: Ci vediamo al vagone dove c’è il bar
G: Ok
L: 5
G: Ah l’ho appena superata
L: Ho una camicia blu (non ci si doveva vedere al vagone-bar?…Ok torniamo indietro…)
G: Arrivo
G: Fatti vedere
L: Sono seduta e ho una camicia blu (non mi sembra corrispondente al “fatti vedere”)
G: Ma sei nella 5?
G: Vediamoci direttamente al bar, non ti vedo
L: Ok
G: Scusa ma su che treno sei?
G: Io sto sul 9616. Mi fai venire il dubbio che siamo in treni diversi
L: 9518
L: Che dubbio? (ma come che dubbio! L’ho appena scritto! E ti ho dato il numero del treno)
G: Siamo su treni diversi
L: Infatti (ma infatti cosa! L’ho detto io prima!)

Ho ancora un giorno e mezzo di tutto ciò avanti a me e comincio a temere di non poterne uscire. Se sparirò ricordatemi come un gatto di pace.