Non è che un agente segreto prenda i medicinali alla farma-CIA

Alcune considerazioni sparse.


Sulla seconda pagina della mia agenda ho scritto Al lavoro: ricordarsi sempre di tacere. Non ricordo perché la scrissi, ma è una cosa che funziona. Non è un invito a starsene silenziosi e remissivi come un ficus benjamin che in un angolo non si decide a seccare definitivamente, è uno schema di salvaguardia: di sé stessi, intendo. Bisogna stare attenti a quel che si dice, perché poi qualcun* (e c’è sempre) apparirà all’improvviso, sorprendendovi come un mal di pancia appena avete fatto il vostro ingresso in un luogo che non potete abbandonare immediatamente, dicendovi che quella volta avete detto che….Quindi, tacete.

Ho un caro amico che non ne può più dell’azienda dove lavora. Diciamo che è un rapporto che, dopo l’entusiasmo iniziale, non si è mai impostato benissimo per una serie di ragioni professionali. Cui va aggiunto il fatto che il mio amico non riesce proprio a farsene una ragione – ed è lì ormai da 3 anni – che i colleghi parlino in dialetto e bestemmino ogni tre per due. Per la cronaca: il mio amico sta in Veneto. Vorrei dirgli forse che si è trasferito nella regione meno adatta.

Ho un altro caro amico, del quale forse ho già parlato, che ha l’ansia per conto terzi. Quando lui non ha l’ansia per sé stesso – e ne ha solo che non lo ammette e non lo ammetterà mai -, ce l’ha nei confronti degli altri. Gli racconti che non si trovano librerie da IKEA perché sono esaurite in magazzino e tu ne stavi cercando due-tre per sistemare casa? Lui: «Ah e questo è un bel problema, e ora come fate? Come le trovate delle librerie?» Gli racconti che devi partire e prendere il treno? Lui: «Ah ma vedi bene se poi trovi traffico arrivi tardi perde il treno ma non ti conviene partire il giorno prima bla bla», e via così. Se uno non lo conoscesse penserebbe che voglia portare sfiga, in realtà è semplicemente naturale: a lui in automatico parte il pensiero che le cose andranno male o che un imprevisto possibile diventerà altamente reale. La mia filosofia di vita è lasciare che le persone, se non arrecano danno a sé stessi e/o al prossimo, si sentano libere di essere come siano, se si trovano bene a essere così. Quindi quando lui parte con i messaggi ANSIA faccio spallucce e dico «In qualche modo si risolverà». Anche se, delle volte, mi incazzo perché penso ma davvero ci si trova bene a stare così? Ma forse anche a me viene l’ansia ingiustificata.

Rimango sempre colpito quando in farmacia fanno lo sconto. È una cosa cui non mi ci abituo mai né che mi lascia contento: sarà che non è che in farmacia uno ci va come se entrasse in una pasticceria. Forse sono un ingrato.

La settimana scorsa invece ho pagato l’assicurazione dell’auto. Dopo una strisciata di POS che mi ha alleggerito di un bel po’ di denaro, me ne sono andato dall’agenzia salutando e ringraziando. Appena uscito in strada mi sono chiesto cosa mai avessi io da ringraziare visto il salasso subìto.

Venerdì ho la seduta di laurea. Sarà una bella liberazione. Intanto però dovrò cominciare a pensare in quale nuova attività io debba cimentarmi in futuro.

Non è che basti sbattere contro una rotativa per fare una testata giornalistica

Quando compro un biglietto del treno cerco di scegliere sempre un posto isolato, in fondo alla carrozza.

È più che altro per una questione di comodità: non hai qualcuno di fianco da disturbare se vuoi alzarti o che a sua volta ti disturba se deve alzarsi. Non c’è qualcuno di fronte che osserva quel che fai o che stende le gambe costringendo le tue a riporle sotto il sedile come un bagaglio a mano.

In realtà poi non mi dispiace aver di fronte qualcuno con cui scambiare due chiacchiere generiche. In genere. Attualmente invece non voglio avere contatti col prossimo. Non si sa mai. Potrei ritrovarmi con un terrapiattista. Un respiriano. Un fan dei Modà.

Potrei poco tollerare una simile eventualità.

La settimana scorsa ho avuto una sorta di crollo nervoso dopo una serie di eventi.

Ho dato una testata contro il pianale del portabagagli di un furgone. Nello stesso punto in cui la settimana precedente avevo dato una testata contro la sbarra sporgente del portapacchi dell’auto.


Sia il pianale che il portapacchi stanno bene e hanno rinunciato a farmi causa per lesioni.


Nei giorni precedenti avevo cominciato ad avere dei presagi di rovina incombente. Salivo in auto col pensiero che mi sarebbe venuto addosso qualcuno. Così, de botto, senza senso.

Sarà che ho cominciato a vedere intorno a me molti incidenti. Ogni volta che trovavo traffico sapevo che era accaduto qualcosa più avanti. Oggi un tizio è finito addosso a un altro che aveva inchiodato di colpo.

Anche io ho inchiodato di colpo a uno Stop per non entrare nel bagagliaio di uno. Lo zaino che avevo sul retro si è ribaltato. Si sono ribaltate anche delle mensole che trasportavo. Per fortuna il portatile aziendale che avevo nello zaino ha attutito il colpo sacrificando il proprio schermo per impedire che le mensole si rovinassero.

Nello stesso giorno una persona al lavoro mi ha fatto alterare. Dopo averla messa a tacere, non pago, nel gruppo Whatsapp le ho scritto un panegirico di repliche punto su punto, accusandola, insieme alle altre persone del suo gruppo, di “indolenza e neghittosità”. Era dal 2012 che non utilizzavo questa espressione.

Come mai tutti questi anni prima di ripescarla? Sarò stato indolente e neghittoso?

Non è che in Argentina si scansino perché “Evita” per loro è importante

Ho un amico che ultimamente sembra non parlarmi più.


“Sembra” è un modo per dire che non mi parla ma non so se non mi parli per caso o per desiderio.


 

Non mi scrive, non mi cerca, se ne va ai concerti da solo. Potrei aver fatto qualcosa e in effetti sto facendo qualcosa in questo periodo, ma non capisco in che modo questo qualcosa possa influire su di lui e sul suo comportamento.

Potrei chiedere chiarimenti. Purtroppo chiarire è una delle cose che mi mette più a disagio in questo mondo. Seconda solo a quando busso alla porta di un bagno e nessuno risponde e poi entro e dentro c’è qualcuno intento a mingere.


Tra parentesi dovrebbe sentirsi lui a disagio ma chissà perché il disagio lo provo io. Il che mi induce a pensare che ci siano persone che non rispondono alla bussata proprio per mettere a disagio il prossimo.


Non sono bravo in questi frangenti.


Chiedere chiarimenti, intendo.


Allora taccio, mi eclisso, mi raccolgo nella mia propria intimità perché penso che se qualcuno vuol evitarmi io poco posso farci.

È la soluzione più comoda assumere un comportamento simile ed evitare il confronto. Io evito. Sempre.

Evito le persone per strada. Mi scanso assumendo pose matrixiane. Anche perché molti ormai non sanno più come si passeggia. Fissano il cellulare, parlano con qualcuno senza guardare avanti, guidano i passeggini come se fossero dei panzer tedeschi che invadono la Francia. Oggi una signora mi è passata sul piede col passeggino, mi ha chiesto scusa ritraendolo indietro e ripassandomi sul piede. Così, perché non aveva altro da fare.

Evito il traffico stradale introducendomi in vie laterali e infilandomi in giri tortuosi che mi fanno allungare il percorso. Vuoi mettere però l’aver evitato lo star fermo imbottigliato?

Evito autostrade e superstrade se posso percorrere una via piacevole da guidare. Ultimamente però il navigatore mi ha una volta portato in una zona che neanche i peggiori bar di Caracas e in un’altra mi ha condotto in una selva oscura. C’erano anche tre bestie ad aspettarmi. O forse erano degli abitanti autoctoni.

Evito di telefonare se posso scrivere.

Evito i farmaci se posso risolvere con un tè+miele+propoli+goccio di alcool. Evito questa brodaglia se posso riempirmi di paracetamolo.

Evito di toccare qualsiasi cosa una volta tornato a casa se prima non ho lavato le mani.

Evito di proseguire questo post.

Non è che devi mettere la freccia per dare una svolta alla tua vita

Capita delle volte al volante di perdere di vista il tragitto esatto, oppur di doversi fermare a riflettere sulla strada da percorrere o ancora di dover invertire la rotta; al che, per non intralciare, ovviamente, le altre auto, in genere imbocco la prima stradina laterale, deserta, inesplorata, magari senza uscita o che comunque non presenti segni né di traffico veicolare né di aerobiosi o di fotosintesi clorofilliana, nella quale insomma io possa essere certo che il mio veicolo non crei intralcio.

Ed è lì che, appena effettuata la svolta, quando alzo gli occhi verso lo specchietto retrovisore mi ritrovo un’altra auto incollata al culo con l’altro automobilista che dallo specchietto vedo incrocia il mio sguardo con i suoi occhietti vispi ed è lì, proprio lì in quel momento, perché deve passare.

E io allora, a parte pensare che esista un’organizzazione di C.A.G.A.C.A.Z.Z.I. (Camion e Automobili Guidati da Autisti Che Appaiono Zelanti Zuzzurelloni Improvvidi) che mi perseguita facendomi comparire qualcuno alle spalle proprio quando vorrei fermarmi, ripenso al fatto che in generale – automobili a parte – vorrei prendermela con l’universo che mi mette ostacoli, deviazioni, interruzioni o qualcuno attaccato al posteriore, ogni qualvolta vorrei raggiungere un semplice lineare percorso nella vita da A a B senza problemi.

Eppur non ci riesco, la mia razionalità mi impedisce di pensar ciò e quindi non so proprio con chi prendermela.

Eppur si muovono (le palle che girano).

Non è che Ajaccio sia impraticabile perché ci son sempre lavori in Corso

In chimica la normalità è la misura della concentrazione di soluto in una soluzione.

Io mi sento poco concentrato in questo periodo e fatico a trovare soluzioni.
Figuriamoci una normalità.

Nella via dove abito stanno costruendo un condominio da 6-7 unità abitative. I lavori dovevano durare 6-7 mesi. Ci stanno lavorando da un anno e mezzo. Non è normale.

Stamattina sono uscito con l’auto. Quando sono rientrato, un’ora dopo, la mia strada, in corrispondenza del condominio di Penelope, non c’era più. Al suo posto c’era un fossato tra un marciapiede e l’altro.


Il condominio di Penelope è quello che viene costruito di giorno e disfatto la notte.


L’operaio nella scavatrice mi fa Devi passare?.
No, guardi, mi piace stare in auto a farmi cullare dal borbottio del motore mentre osservo i lavori in corso.

Non era normale questa domanda.

Non sono potuto passare e ho abbandonato l’auto in strada. Pure questo non è normale.

Tutti i week end c’è il blocco della circolazione, tranne che per le auto Euro-qualcosa. Questo sabato, in giro c’era lo stesso volume di traffico che c’è di solito negli altri giorni. Non è normale.


In pratica l’unico a non poter circolare sono io che ho un’auto Euro-Numero Relativo.


Mi hanno chiesto 5000 euro per un’auto usata 1149 cc e 55 kw immatricolata nel 2010. Non è normale.

Sono uscito di casa il 30 ottobre a mezze maniche come fosse estate. Non è normale.

Il mio medico era raffreddatissimo. Prima di congedarsi, ha starnutito schermandosi con la mano. E poi me l’ha porta per salutarmi. Non è normale.

Le persone stanno male a causa di ciò che è giusto fare. Perché in certi casi se vuoi star bene in realtà stai sbagliando, quindi è meglio star male accettando ciò che è giusto sia fatto. Tutto questo non è normale.

Oggi un anziano signore in fila in posta cantava romanze in un dialetto meridionale indecifrabile. Ha proseguito cantando anche mentre era allo sportello. Ha continuato a cantare mentre abbandonava l’ufficio postale alzando la voce man mano che si allontanava. In barba all’Effetto Doppler.

Mi è sembrata la cosa più normale di questo mondo.

Il Vocaboletano – #15 – Taluorno

Siamo giunti al 15esimo episodio del Vocaboletano! Come cos’è? È il corso di napoletano facile presentato da me e crisalide. L’avevo già detto? Va bene, non ditemi che è diventato un taluorno

Con questo termine si suole indicare una noiosa ripetizione, costante e fastidiosa, puntuale come una cambiale. Anzi, proprio una cambiale può essere considerata un taluorno. Può esserlo una rata. Le bollette. Il traffico sulla tangenziale delle 8 del mattino. Anche il collega assillante e fastidioso con l’alito di toner esaurito può esser qualificato come un taluorno.

Un tipico detto napoletano è Ogni gghiuorno è taluorno. Ascolta l’audio.

Non c’è una ipotesi unica sulle origini del termine. Una vorrebbe farla derivare dal un latino un po’ barbaro tal+urnus, per l’appunto ripetizione. Si tratta di una forzatura, a mio avviso.

L’ipotesi più plausibile è quella che ricollega taluorno al latorno, una litanìa ripetuta e incessante cantata durante le cerimonie funebri. Dal lamento funebre reiterato è possibile sia quindi avvenuto il passaggio, per estensione, a indicare una lagnanza continua.

La cosa interessante è che tale tradizione non sembra essere di origini Campane, bensì Pugliesi, dove esisteva il rito funebre de lu taluerno. Dal taluerno si è arrivati poi al taluorno in Campania.

L’accezione di “canto ripetuto” è presente nel testo di una delle canzoni napoletane più note al mondo, Funiculì Funiculà:

Lu core canta sempe nu taluorno
sposamme oi né

Infine, vorrei usare il pretesto del vocabolo per citare una poesia di Peppino de Filippo, in cui viene utilizzata in un verso:

Ingenuità
Papà me fa ‘na mazziata ‘o juorno,
che me ne ‘mporta? Seh… m’aggia fa’ gruosso!
Allora fernarrà chistu taluorno
e tanno have che ffa’ cu ‘nu brutt’uosso.
– Se sa, quann’uno è gruosso è meglio assaje,
te spasse, tiene ‘e solde, vaje suldato,
vide città ca nun he visto maje…
‘A verità? Pur’io me so’ scucciato.
– Chesto succede pecchè vuje tenite
‘nu pate sulo… Se capisce, allora.

‘O mio pure me vatte, che credite?
ma raramente, quanno vene ‘a fòra.
Pecchè chillo ca vene ogne matina
mme porta ‘e caramelle… ‘a fresellina.

Papà mi dà le botte ogni giorno
ma che m’importa, dovrò crescere
e allora finirà questo tormento
e in quel momento avrà a che fare con un osso duro
Si sa, quando adulto è molto meglio
ti diverti, hai il denaro, sei un soldato
vedi città che non hai mai visto
La verità? Anche io sono stufo
Questo succede perché voi
avete un solo padre. È comprensibile, allora.

Il mio pure mi dà le botte, cosa crede?
Ma di rado, quando torna da fuori.
Perché quello che si presenta ogni mattino
mi porta caramelle e freselline.

Non è che per liberarti del mistico lo mandi a fare in culto

Ho un amico che afferma che, da ragazzino, per ingannare il tempo durante le lunghe estati solitarie e tedianti nell’entroterra irpino, ribaltava le mucche.

La procedura non sarebbe difficile. È necessario puntare le mani sul ventre dell’animale e iniziare a spingere con un movimento ondulatorio. Quando l’oscillazione – favorita dal fatto che per quanto grossa la mucca poggia su caviglie sottili – avrà raggiunto il punto critico, una spinta più forte farà accasciare di lato il bovino, che poco dopo si rialzerà come se nulla fosse.

Sono invidioso di non avere un passato di cui vantarmi così interessante come appunto può essere l’esperienza del ribaltamento mucche. Certo, la cosa sembra un po’ scortese nei confronti di animali placidi e tranquilli. Si sa inoltre che gli animali sono meglio di quelle persone che dicono che gli animali sono meglio delle persone e le mucche rientrano nella categoria di animale “meglio” a mio avviso.

Inoltre, sono anche capaci di procedere in fila indiana. Cosa che non riesce ai ciclisti.

O anche ai fedeli di una mini processione religiosa che ho incrociato lunedì. Erano in dieci. Quattro reggevano un baldacchino con sopra la Vergine Maria, gli altri erano disposti in fila. Affiancati. Occupavano lo spazio di due camion.

Mi sfugge il perché, ma credo sfuggisse anche alla Madonna. Insomma, credo che potendo scegliere eviterebbe di essere sballonzolata in mezzo a smog e traffico.

Mi incuriosisce sempre la forte compenetrazione del culto mariano nel Sud. Una passione, se così si può dire, che sembra sovrastare quella verso le figure religiose principali, fino a raggiungere risultati – se vogliamo e senza offendere nessuno – un po’ kitsch, come questa opera che ho immortalato sabato all’ingresso di un campo di calcetto tra le campagne incolte e impresentabili dell’agro-nolano:

Che il mondo non sia un posto giusto e perbene lo si evince dal fatto che se una simile opera fosse stata prodotta da Cattelan varrebbe milioni. Lui verrebbe accusato di vilipendio e blasfemia. E quindi varrebbe ancora di più.

La portata dissacratoria nell’opera la si evince dalla sua struttura vagamente vulvare: siamo d’accordo che Malizia sia sotto le ascelle di chi se lo spruzza, ma non posso fare a meno di ricondurre la forma della composizione a “l’origine del mondo”.

Un mio amico scrittore che la penna non l’ha vista, tant’è che sono anni che deve completare il suo libro, vorrebbe dedicare un capitolo proprio alla simbologia femminile presente nelle raffigurazioni mariane.

Nulla di nuovo, ricordo che nell’unico libro suo che ho letto – un errore di gioventù – Dan Brown ci fece una testa così lui e il calice sacro, il femminino sacro, il triangolino sacro eccetera.


Alcuni potrebbero non essere d’accordo col mio commento sprezzante sullo scrittore, d’altro canto la mia è un’opinione dall’alto di un niente, ma la scrittura di Dan Brawn, almeno ne Il Codice da Vinci, trovo che fosse scialba, troppo elementare e senza stile.


Ma se Dan Brown è diventato famoso così allora spero possa diventarlo anche il mio amico.

E come si suol dire: che la vulva lo accompagni.

Non è che a dicembre nel monastero addobbino l’abate

È più forte di me.
Cerco di stare lontano da determinati argomenti, per quieto vivere.
A volte ci riesco, altre volte no.
Finisco per sentire qualcosa dentro che mi rode e mi spinge verso quell’argomento.

Ho deciso quindi di parlare dell’evento principale di questo dicembre.

Il Natale.

Il Natale è come le Olimpiadi.
Si attende con trepidazione e grande entusiasmo.
Salvo poi lamentarsi perché la sua organizzazione crea tanto traffico per le strade, sperpero di soldi e, alla fine, diciamocelo, finisce sempre tutto in un magna magna.

Uno dei temi scottanti intorno al Natale riguarda il presepe.
Non si è ancora capito se non bisogna esporlo pubblicamente per evitare di attirare il terrorismo dell’ISIS oppure se bisogna invece farlo per evitare di attirare Matteo Salvini.

Per evitare problemi, Padre costruisce presepi nudi che, all’occorrenza, possono essere benissimo spacciati per modellini medioevali.

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Buonasera, buonasera, questa sera in studio avremo Caterina Sforza, Federico da Montefeltro e Lorenzo de’ Medici per discutere della riforma sul Consiglio dei Settanta, di cui avremo un plastico in studio.
[Bruno della Vespa]

Riguardo al cibo, premesso che non so bene quali siano le usanze in altre zone d’Italia, a Napoli è cosa buona e giusta fare il cenone il 24 sera, il pranzone il 25 e, poi, un pranzo anche il 26 con gli avanzi del giorno prima.

Purtroppo capita sempre che non restino avanzi dal giorno prima, quindi si cucina daccapo un pranzone per il 26 per onorare la tradizione perché sennò poi fa brutto e dicono che siamo provinciali, siamo tirati.

Negli ultimi anni una corrente riformatrice vorrebbe si riducesse il numero dei gozzovigliamenti, per dare un taglio agli sprechi alimentari e alle spese correlate.

Tale spinta riformatrice incontra l’opposizione di chi sostiene che abbiamo il Natale più bello del mondo e che vada bene così com’è.

Al coro dei difensori della tradizione ci siamo uniti anche noi non credenti/non osservanti, sostenendo che se venisse abolito il Natale non avremmo poi nulla da criticare.

Certo, rimarrebbe la Pasqua, ma quella se la filano in pochi.
Serve solo per capire in che giorno dell’anno organizzare una gita sotto la pioggia.

Perfino la celebre pastiera, dolce tipico pasquale, si è ormai votata al Natale per acquisir più notorietà.

Comunque la si pensi, al termine di ogni Natale ci si sente così:

Guarda quanti mondi. Guarda, mondi di quanti. E tu cosa cerchi?

Dal punto di vista della meccanica dei quanti potrebbero esistere gli universi paralleli. O forse no. O forse sì. O forse esistono e non esistono contemporaneamente, perché nella mia ignoranza ciò che ho capito di fisica quantistica è che tutto è vero e tutto è falso insieme. Un po’ come la storia di Schrödinger  e dei suoi gatti.

Una volta rimasi colpito da questa frase:

La bugia, finché non la scopri come tale, è verità.

Bella vero? È Coelho.

Falso.
Ergo Proxy (sta cominciando a piacermi questo gioco. Attribuisci anche tu citazioni a caso a personaggi tra i più citati in rete).

La frase poi continuava così
Scoprire la verità che si cela nella bugia forse è giusto ma non è detto che ciò ti dia la felicità

Che un po’ quel che diceva Caterina Caselli, la verità ti fa male lo so. Sembra che molte persone siano spaventate dal venire a contatto con la verità, preferendo rimanere nello stadio precedente di non conoscenza. È anche questo un mondo parallelo, una realtà a parte in cui ci si rinchiude.

D’altro canto, una cosa può quindi essere ritenuta reale fino a quando non si interviene per appurarne la veridicità: ma nel momento in cui lo si fa, potremmo riprendere, si è compiuta una manipolazione del sistema, invalidando la verifica.

Se questo sia sempre vero, non lo so.
So che ad esempio se sono in coda e c’è la fila di fianco che sembra scorrere più veloce (il più delle volte è solo un’impressione), se mi sposto, la fila che ho lasciato sembrerà prendere a scorrere essa stessa più veloce. Lo avrebbe fatto lo stesso se fossi rimasto al mio posto? Magari sono io a rallentare il traffico?

Ecco, sarebbe bello trovare delle risposte sulla piccola realtà quotidiana con degli esperimenti di fisica. In realtà penso che già qualcuno li faccia, basti pensare al fatto che esistono i Premi Ig Nobel per premiare le ricerche scientifiche assurde o improbabili.

Io vorrei ad esempio qualcuno che studiasse il metodo migliore per entrare in auto quando piove, bagnandosi il meno possibile. Io non ho ancora capito se

1) Con l’ombrello aperto, apro la portiera, chiudo l’ombrello, entro in auto
oppure
2) Con l’ombrello aperto, apro la portiera, mi siedo tenendo con la mano sinistra l’ombrello fuori, lo chiudo, chiudo la portiera

cambi qualcosa.

Quindi in virtù di ciò, oltre all’esempio fatto sopra, avrei qui una lista di suggerimenti per ricerche scientifiche che, anche nel caso non portassero vantaggi all’umanità, almeno soddisferebbero la mia curiosità:

  • Il modo migliore per staccare lo scotch trasparente evitando che il pezzo appena tagliato si attacchi o attorcigli su sé stesso o che si pieghi attaccandosi sotto al bordo del tavolo
  • Se esiste un fondamento scientifico al fatto che una persona, di spalle, se osservata, si giri
  • Un modello matematico che spieghi la percentuale di calzini che si perdono durante il lavaggio
  • Il tasso di scomparsa tra le mura domestiche degli oggetti inutili che improvvisamente ti servono e non trovi più
  • La popolazione umana che tra 50 anni avrà la gobba da smartphone e il peso che avrà tale patologia sulla spesa sanitaria
  • Uno studio maxillo-genetico sulla popolazione maschile bianca statunitense che trovi le cause della mascella ipertrofica di cui sembrano affetti molti uomini adulti (e anche qualche donna, direi)
  • Il motivo per cui un gatto se ne sta immobile per ore davanti a una porta chiusa o una ciotola vuota e, poi, una volta aperta la porta o riempita la ciotola di cibo, se ne va voltandoti le spalle

Come sempre, sono ben accetti suggerimenti. C’è qualcosa che vorreste la scienza vi rivelasse?

Fenomenologia sessuale del traffico stradale

Il traffico è una gigantesca competizione sessuale. Siamo lì, tutti a lottare per primeggiare. Uomini, donne, invischiati in questo fiume di latta e scariche adrenaliniche.

Osservate lo svincolo della foto. Voi siete la macchinina nel cerchietto e dovete arrivare all’uscita indicata sulla freccia. Alla vostra destra, una rampa d’ingresso.

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Immaginate di non essere soli, intorno a voi ci sono molte altre macchinine che devono raggiungere quell’uscita: alcune provengono dalla vostra stessa direzione, altre dalla rampa alla vostra destra.
Come si procede? Due file incolonnate che avanzano, risposta giusta.

Poi, arriva quello che ha fretta. Quello che pensa di essere più furbo degli altri, sorpassa tutti e si pone alla sinistra della testa della colonna. Il problema è che lui non sa di essere il sassolino che rotola dalla cima della montagna innevata, trasformandosi in gigantesca palla di neve procedendo a valle. Non sa cosa stia scatenando.
Al suon di “e che sono fesso io?”, altre macchinine si accodano dietro di lui. Adesso abbiamo tre file.

Non finisce qui. Com’era quell’aforisma? Genialità è vedere possibilità dove gli altri non ne vedono (l’avrò detto sicuramente male). Ecco, dal fondo della fila appare un genio, che pensa che dove ci sia spazio per tre, ci sia spazio anche per quattro. Vrooom, sorpassa e si affianca agli altri. Due secondi e ora abbiamo 4 colonne.

Siccome i cojòn van sempre in coppia, viene imitato da un altro genio. Cinque colonne.

Il risultato è che all’uscita si crea un gigantesco imbuto: si avanza al ritmo di un metro al minuto. Voi, macchinina del cerchietto, impiegate mezz’ora per raggiungere la freccia. Siccome avete rispettato l’ordine, ora dovete fare attenzione a non venire schiacciati nella morsa di due Suv.

Ah, come non citare quello che suona nervosamente il clacson. Come se quel suono fosse capace di far scomparire le auto davanti. Lo so perché lo fanno, è per reagire al senso di impotenza. Sei lì, bloccato, devi sfogarti in qualche modo. Io proporrei alle case automobilistiche di inserire una palla antistress nel volante.

Il più misterioso, per me, è quello che sorpassa giusto per sopravanzare solo la tua auto. 100 auto in coda, dalla posizione 100 arriva alla 99, tanto sforzo per rimanere come prima. Mi ricorda la Regina di Cuori ad Alice: qui devi correre più che puoi, per restare nello stesso posto.
Cosa gli cambia, vorrei chiedere.
Cambia che ti ha scavalcato, ha vinto la sua lotta con te.
Darwin diceva che esistono due tipi di competizione sessuale: quella basata sulla scelta effettuata dalla femmina, che seleziona il compagno in base al fenotipo (esempio classico: i pavoni), e quella intrasessuale, basata sulla lotta tra i maschi per primeggiare. Ecco, il traffico funziona esattamente in quest’ultimo modo: lotta di tutti contro tutti per arrivare all’agognato svincolo, metafora dell’apparato femminile.

E io?
Io mi son votato all’ascetismo. Lascio sfogare gli altri, li osservo e rido (di me).