Non è che puoi mettere in freezer i tuoi impegni per rispettare le scadenze

La spesa è un’attività a gestione complicata. Almeno per me. Non sono mai riuscito ad arrivare al livello pro di quelli che riescono, costantemente, a fare uno spesone grande per rifornirsi del necessario. A volte mi riesce, altre no e mi sono trovato certe volte ad andare tutti i giorni al supermercato perché mi mancava sempre qualcosa.

I motivi sono diversi. Il primo è legato alle capacità di stoccaggio delle case in cui ho abitato, compreso questa attuale. O avevo frigoriferi e dispense poco capiente, o comunque spazi di condivisione ridotti.

La seconda questione è legata alle dimensioni della sporta che mi porto dietro, quindi la spesa va misurata su quelle dimensioni (un cesto da supermercato per intenderci). Il carrellino da signora l’ho sempre guardato a una certa distanza, anche se, debbo dire, ne ho visti alcuni di recente che hanno un design alquanto moderno e giovanile e non più quella fantasia tartan da giacchetta del nonno di quelle che se ti strusciava addosso diventavi carico di energia elettrostatica e davi la scossa al gatto.

Le liste non le seguo, anche se ho sempre una serie di cose che non devono mancare mai (es., materiale per colazione, contorni), il resto varia in base alla fantasia e al periodo del mese (es., primo del mese = sushi e pesce in generale, fine mese = gallette di riso).

L’altro problema legato alla spesa è quello della conservazione: se compri una cosa fresca poi per due giorni devi mangiare solo quella per finirla perché ovviamente sei da solo. Basta una sera in cui esco, invitato all’ultimo momento, e il calendario alimenti deperibili salta così come il mio regime alimentare. Io infatti seguo la dieta delle scadenze. Non garantisco che si perda peso ma la sfida del cercare di non arrivare a quel momento di brivido nell’aprire il frigo e scoprire che ci si era dimenticati di far fuori qualcosa è un buon allenamento psicoattitudinale.


La questione sulla conservazione cibi ha delle soluzioni, tipo il congelamento o il cucinare le cose e poi farne porzioni da congelare. L’ho fatto per un periodo, il limite è costituito sempre dalle capacità di stoccaggio e dalla disponibilità dei tupperware che anche stasera mi sono dimenticato di comprare, ecco cosa ero uscito a fare.

 


Non è che per mettere la testa a posto mi ci voglia la finanziaria

Di economia non ne capisco molto. Per me la mano invisibile è quella che ti fa percepire un dito nel sedere ogni volta che senti parlare di austerità e alla parola keynesiano rispondo di un campo di grano.

Ieri ho dato la mia personale interpretazione di ciò che si intende per finanza creativa.

Abbiamo vinto un progetto da 120mila euro. Centoventimila euro. In 32 anni di vita tra paghette e lavoro non li ho guadagnati ancora. E dire che non ci sarebbe voluto tanto, sono poco meno di 3800 euro all’anno.

In compenso credo che in 32 anni io ne abbia spesi almeno il doppio di 120mila, il che è sorprendente. Sono una pietra filosofale di denaro, trasformo la tasca vuota in spesa.

Questi 120mila euro sono in realtà fittizi. Perché l’implementazione del progetto ce ne costerà 113mila, quindi il margine è in realtà di soli 7000 euro. Più o meno quello che spendo io all’anno in minchiate.

Alle banche, che danno credito e fiducia alla Società, questo non interessa. A loro basta vedere un bonifico in entrata da 120000. Poi puoi anche spenderne 119999 e rimanere coi soldi per una Goleador. Non importa.

Praticamente la Società è come se indossasse un push up finanziario.

Oppure è come se raccontasse ciò che fa in modo enfatizzato. Io faccio lo store account manager e mi occupo dei replacement just in time per la satisfaction dei customers. In pratica lui mette la merce sugli scaffali quando si svuotano.

La finanza quindi è la storia delle relazioni umane.

Non è che devi metter mano al portafoglio per spendere una buona parola

Non potrò mai ritenermi un buon massaio fino a quando non sarò in grado di far per bene la spesa.

Ho difficoltà a pianificarla per l’intera settimana, non essendo in grado di quantificare gli acquisti necessari per un lungo periodo. Cosicché, mi trovo ad acquistare giorno per giorno quel che mi serve per la cena e, al massimo, per il pranzo del giorno dopo.

Fanno eccezione i bastoncini di pesce di cui riempio il frigo di scorte per l’intero anno prossimo venturo.

Ultimamente pensavo di aver fatto progressi, riuscendo ad andare al supermercato una volta ogni due giorni.

Poi mi sono reso conto che stavo semplicemente mangiando di meno. Me ne sono accorto una mattina che sono uscito di casa. Era una giornata ventosa e le folate mi stavano portando via: Mondogatta è arrivata la bora qui?, pensai. Poi una vecchietta di 1 metro e 50 mi ha superato di lato placida e tranquilla e allora ho pensato che forse stavo perdendo troppo peso.

Gestire gli acquisti è impresa non semplice.
Oppure semplice, quando non acquisti un bel niente come ho fatto io.
O come fa BB (non Brigitte Bardot), la segretaria amministrativa dove lavoro.

Da lei per scucire l’acquisto di un foglio di carta devi aspettare mesi e devi riuscire a convincerla che quel foglio di carta sia davvero necessario, invece di usare il vetro della finestra e l’alito per prendere appunti con le dita.

L’altro giorno cercavo un pennarello.
Sono passato davanti a BB con noncuranza, canticchiando a bocca chiusa Don’t you want me degli Human League, fingendo di dirigermi al distributore d’acqua. Poi, all’ultimo momento, ho aperto le ante dell’armadio della cancelleria.


Mentre lo cercavo, mi sono accorto che in italiano – a differenza dell’inglese dove si dice hum, che ha un che di onomatopeico – non esiste un verbo per identificare il canto a bocca chiusa.


Bisognerebbe inventarne uno, che sia così sorprendente da far restare a bocca aperta prima di chiuderla per canticchiare!


Lei ha alzato la testa come un gatto che sente il rumore della scatola di croccantini.

Posso aiutarti?
Si, evitando di rompere i cog…Ehr…Ho bisogno di un pennarello
Uhm

Quell’uhm stava a indicare che nella sua mente era iniziato questo processo logico-deduttivo: Un pennarello? Cosa se ne farà di un pennarello? Ha davvero bisogno di un pennarello? Perché mai dovremmo consumare un pennarello?.

Si è poi alzata ed andata nella mia stanza, dicendo:

– Forse CR li ha
– No, ho già visto
– Allora puoi usare questi
– Quelli sono evidenziatori. Servono per evidenziare cose. A me serve un pennarello per scrivere cose
– Ah
– Quindi?
– Non l’abbiamo!

E con un sorriso istantaneo fino ai padiglioni auricolari  è tornata a sedersi.

E ora sono due giorni che scrivo sul vetro con l’alito, ma, non so perché, i miei appunti sembrano riguardare solo materiale andrologico/ginecologico.

Non è che hai simpatia per i monelli solo perché ti mancherà quella piccola Pest

Ricordo quando sbarcai a Budapest, il 26 novembre scorso.

L’aereo mi sputò in mezzo al nulla. C’erano 3 gradi di temperatura e nevischio e mezzo chilometro da fare a piedi in mezzo alla pista lungo un percorso di ferro che sembrava l’ingresso di un mattatoio.

Avevo dimenticato come fosse low cost il trattamento riservato ai viaggiatori low cost.

L’altroieri sbirciavo il tabellone dei voli, in attesa che comparisse il mio gate di partenza e, nel frattempo, mi divertivo a immaginare come fosse andare in una località a caso tra quelle in lista.

Finalmente poi viene annunciato il gate: A17.

Mi incammino fiducioso. A1…A4 (il preferito dalle stampanti)…A9…A11. Stop.

C’è qualcosa che non va. L’aeroporto è terminato.

Poi, sulla sinistra, noto un foglio stampato con una freccia che indica A12-A19. Mi incammino di nuovo fiducioso giù per delle scale.

Sono un po’ meno fiducioso quando mi trovo all’esterno. Scendo altre scalette e mi ritrovo di nuovo nel percorso-mattatoio.

Sono arrivato al gate poveracci: è un capannone di ferro. Grazie Budapest, mi hai fatto tornare alla mente il mio arrivo, come fosse una madeleine di Proust che poi sembra non fosse una madeleine.


Si dice, infatti, che nella prima stesura di Alla ricerca del tempo perduto non ci fosse alcuna madeleine ma l’equivalente di semplici fette biscottate.


Ci sono altre cose che ricorderò di questi sei mesi qui, cioè, lì.

L’odore che mi accoglieva quando entravo nel sottopassaggio di Nyugati, dalla fermata dei tram 4/6 che tagliano in due la città da Pest a Buda. Lì sotto c’è una hamburgeria che penso serva vomito di hamburger fritto, almeno a giudicare dall’odore di rancido misto a olio esausto misto ad afrore di ascella di runner con tuta di acrilico che pervade quel sottopassaggio.

Al Szimpla, locale labirintico dove se non ci si sta attenti non si esce più – i barbuti che si incontrano lì non sono hipster, è gente dispersa da anni lì dentro stile Cast Away– una cameriera ogni tanto fa il giro e distribuisce carote. Alla mia curiosità la spiegazione è stata che assorbono alcool. Io resto perplesso: se bevo, perché mai dovrei voler asciugare l’alcool?!

La rigida osservanza di alcune regole civili: ad esempio, le persone in fila alla cassa – i supermercati sono i miei luoghi preferiti per osservare il mondo – non posano la propria spesa sul nastro finché quello davanti non mette il divisorio.


Tale e quale come succede dalle mie parti, una volta avevo comprato farina, pomodori e mozzarella e poi è arrivato un tale che, senza attendere, ha riversato la sua spesa sopra la mia: alla cassa ho pagato una pizza margherita.


Una volta ho fatto una prova – la scienza non può avere remore se vuol arrivare alla conoscenza – e non ho piazzato il divisorio: se non fosse stato per la cassiera, quei poveretti dietro sarebbero ancora lì in piedi ad aspettare.

Il vero ricordo di questa esperienza è comunque lui. L’uomo-sandwich di cui avevo parlato qui.

Un eroe dei nostri tempi. Premio Stachanov. Mattina e sera, sole, pioggia o vento, lui è lui a trascinare quel cartellone. Credo, tra l’altro, che ogni tanto cambi articolo: quel che sta pubblicizzando nella foto dell’altroieri è il làngos (pronuncia làngosh), un tipo di frittella su cui sopra ci si può versare di tutto, panna acida, pollo a pezzettini, uova e prosciutto, patate e cipolla, buoi muschiati, servi della gleba e così via.

Ho censurato perché non sta bene fotografare le persone per strada. È un peccato non possiate godere del suo sguardo vivo come una monografia sul cinema muto armeno. Vorrei vedere te, sembra dire. Infatti io sarei ancor peggio.

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Sullo sfondo, a destra, il pullman che produce cinesi.


Non è che sei un DJ solo perché sai rallentare la cassa

Oggi, dopo il cinema, dove ho visto un film su cui sorvolerei (con un aereo spargi-napalm), mi ero fermato al supermercato per fare un “rabbocco” della dispensa.
La mia spesa consisteva in ben quattro mele, una scatola di cereali, un vasetto di marmellata e un cespo di lattuga.

Alla cassa davanti a me c’era una giovane coppia di una tacca sotto la trentina.
Lei metteva la spesa sul nastro, lui intanto le dispensava baci un po’ dovunque sul viso rallentandole i gesti. Quando lei ha terminato, con lentezza nauseante, di disporre i prodotti, lui l’ha abbracciata in modo teatrale.

Lo capivo. Anche io mi ero commosso vedendo che finalmente aveva finito.

Intanto attendevo che prendessero il divisorio che era a loro portata, poi alla fine ho deciso di usare il mio braccio estensibile – l’ho installato per prendere le cose sui ripiani alti, per aiutare vecchiette e fare il galante con le signorine però gli effetti spesso si invertono – e far da me.

Mentre la cassiera passava i prodotti, lei li metteva nella busta e lui le zampettava intorno come un passerotto, con un sorriso beato e continuando a intralciarla con baci e abbracci senza dare una mano.

Lei non aveva ancora finito di liberare il banco che la cassiera era già passata alla mia spesa.

Distratta dal suo cavaliere, la ragazza stava portandosi via la mia scatola di cereali: avevamo preso la stessa marca, soltanto che i miei erano alla frutta e i suoi allo yogurt.


Scoprire al risveglio di aver cereali diversi da quelli desiderati può anche far svoltare in peggio una giornata.


In quel momento ho deciso che lui, con la sua leggera e serafica espressione e la faccia simile a quella di una persona che visceralmente odio, fosse un idiota. Mi ha ricordato quel libro: L’insostenibile leggerezza dell’ebete.


Potrei sembrare un Ebenezer Scrooge di fronte all’amoreggiamento altrui, ma non è così: sono per l’amore pubblico libero, perfino osceno (purché in questo caso non davanti a minori e Giovanardi).

Basta non mi rallenti una fila.


Non è che all’orologiaio nervoso si sia rotto il Casio

Avevo due post in mente quest’oggi ma che non vedranno la luce perché la serata è svoltata in negativo e, come mi accade in questi frangenti, mi trovo ad aver a che fare con la rabbia che monta e si accresce livello su livello. Costruisco castelli di rabbia.

Non so se sia un bene o un male ma mi trovo sempre da solo con i miei scatti di nervi e non so come sfogarmi. Allora cammino per la stanza, mi fermo, guardo fuori la finestra, agito i pugni per aria, cammino di nuovo e poi mi fermo e respiro gonfiando la pancia più che posso. È tutto inutile perché vorrei qualcuno con cui litigare e forse potrei prendermela con me stesso ma il problema è che dopo non posso dividermi.


E meno male che non mi trovo in Scandinavia: sennò avrei i nervi a fiordi pelle.


Comincio inoltre a mal sopportare questo Paese e le paranoie dei suoi abitanti.

Ad esempio, sono quasi quattro mesi che vivo qui e vado a comprare cose almeno 2-3 volte la settimana allo SPAR sotto casa, perché anche se devi comprare solo una cipolla per il soffritto è comodo.


Tanto poi finisce sempre che compri altre cose. E ovviamente dimenticherai la cipolla.


Ovviamente, non possono ricordarsi di me, visto che ogni giorno sarà frequentato da un centinaio di persone come minimo.

Ma almeno una volta a settimana mi capita di essere spiato da un sorvegliante. Inizialmente pensavo fossi io paranoico, ma dato che questa sensazione l’ho avuta più volte e con diversi sorveglianti e, soprattutto, soltanto in questo supermercato – in altri, seppur presente sorveglianza, non mi sono sentito a disagio – ho cominciato a pensare che fosse reale la mia impressione. Forse a volte è sospetto il mio girare avanti e indietro per una stessa corsia più volte, ma è soltanto perché, come accennavo in un altro post, qui la merce è esposta secondo il principo del “Dog’s Dick” e delle volte non trovo ciò che mi serve.

Già un po’ mi avevano rotto il Caucaso, come disse Stalin quando la Wehrmacht dilagò sul fronte orientale.

Quest’oggi siamo andati oltre.

Per comodità, io non prendo carrello o cesto ma uso la mia borsa della spesa personale, perché a me piace quando una cosa è sporta.

Nessuno mi ha mai detto nulla né lì né altrove né in altri supermercati che ho frequentato nella mia vita.

Questa sera, dopo che ero stato spiato da quello che credo sia il proprietario – un tipo che somiglia a Bob Kelso il primario di Scrubs -, un sorvegliante mentre ero in fila alla cassa mi ha avvicinato e prima voleva ispezionare il contenuto della borsa, poi mi ha chiesto se io avessi lo scontrino.


Ovviamente la conversazione è avvenuta tramite un’altra cliente che ha tradotto in inglese.


Devo dire che sono sempre più sorpreso da quanta gente qui, di diverse fasce d’età, parli un inglese quantomeno di livello base.


Io gli ho fatto presente che dovevo pagare prima per avere uno scontrino! Al che è stato chiarito l’equivoco: mi ha detto di non usare la borsa ma il cesto perché sennò si potrebbe pensare che io abbia con me merce presa all’esterno e la cosa poi genererebbe equivoci spiacevoli.

Ha senso e gli do ragione. E quindi non lo farò più.

Anche perché non entrerò mai più in quel supermercato.

Il lavoro intanto in questi giorni non sta procedendo bene.

Poi si è aggiunta la padrona di casa.
La vera padrona di casa, tornata di recente dalla Spagna. Fino a ora avevo avuto a che fare con la sorella minore, da lei delegata.

Padrona di casa ha deciso di attentare alla stabilità del sacco scrotale.
E io comincio a essere un po’ stanco di padrone di casa freakkoborghesi (borghesi freak) e dei loro modi impeccabili e signorili ma che sembrano celare tentativi di pegging non richiesto.


Cioè l’atto tramite il quale una donna penetra un uomo.