Non è che il ventilatore ti annoi perché è un giramento di pale

Per la rubrica “Confessioni surreali che non avevo richiesto”, oggi mi trovo a raccontare di alcune situazioni verificatesi dove lavoro.

La guardia alla reception del turno pomeridiano è il tipo di persona che se ti ingaggia ti investe di chiacchiere.

Pensavo che, non conoscendoci, sarebbe andato per gradi con me. Invece no. La nostra prima conversazione si è svolta così:

– ‘Sera.
(dico io, uscendo)
– Buonasera, buonasera.
(replica lui, cordiale. Poi si alza e mi segue)
– Mammamia, che caldo.
(esclama, mettendo il naso fuori mentre io esco)
– Eh sì.
(faccio io)
– Però non è che si può stare sempre con l’aria condizionata. Io poi la soffro tantissimo, mi basta un colpo di freddo e devo correre in bagno.
– Eh troppo bassa magari non bisogna tenerla.
– Però poi la notte non si dorme. Solo che se la tengo accesa pam! diarrea. Ma pure col ventilatore. Se tengo il ventilatore acceso durante la notte, il giorno dopo: diarrea! Pure se lo tengo puntato sui piedi, poi sto male di pancia.
– Eh magari è ipersensibile al freddo.
(io, tra il perplesso e il disagio)
– Ma pure se mi mangio qualcosa, ieri mi son preso un polaretto dal frigo e son dovuto correre in bagno.
– Eh deve fare attenzione
(nel frattempo ormai ero uscito dall’edificio ed ero sceso giù alle scale, sperando mi lasciasse andare, come poi è stato)

E niente, questa è stata la nostra prima conversazione.

Anche la mia collega ha iniziato a raccontarmi di un po’ di fatti suoi.

Ad esempio la storia delle fatine bucchine. Che è il modo carino con cui definisce la ex moglie e le due figlie del suo compagno.

Il succo della storia è che questo tipo si fa spennar denaro per qualsiasi vizio da parte delle fatine.

Ovviamente questa è la versione della mia collega.

Prima delle ferie mi ha raccontato l’aneddoto in cui la ex moglie ha scritto a lui per chiedere un centinaio di euro per la figlia minore, che aveva bisogno di un set di bagnoschiuma per il suo viaggio a Londra.

Alle rimostranze del tipo sulla necessità di 100 euro per farsi uno shampoo, la ex moglie ha replicato “Però per QUELLA li spendi i soldi”.

Al che la mia collega, che era presente mentre lui riceveva questi messaggi, gli ha sottratto il telefono dalla mano per registrare questo vocale:

– Senti bella, io la mia roba me la compro da sola. Ma se hai bisogno, te lo vado a comprare io il bagnoschiuma, pezzente.

E niente, immagino che il Natale sia sempre un bel momento.

In tutto questo mi chiedevo: ok, ma perché devo conoscere io queste cose?

Un altro aneddoto curioso è quando mi ha raccontato di una sua amica con cui è impossibile andare in vacanza perché, essendo fanatica dell’igiene, passa un sacco di tempo in bagno a lavarsi, come mezz’ora per un bidet.

– Alessà’, quello un buco è, che tieni da lavare?!
Le ha urlato una volta.

Al che, per elevare la discussione, ho detto che non avrà più difese, distruggendosi la flora batterica a forza di lavaggi continui.

– Infatti si becca sempre la candida. Ci credo, sta un’ora a lavarsi la fessa.

Cioè diciamo che pure io che do corda alle conversazioni poi me la vado a cercare.

Non è che al lavoro ti vesti in modo appariscente per aumentare la tua visibilità professionale

Ho sentito la mia ex collega della Spurghi&Clisteri Spa dove lavoravo lo scorso anno. Non le hanno rinnovato il contratto. Gliel’hanno detto alla fine dell’ultimo giorno di lavoro.

Lei aveva chiesto qualche notizia in merito un mese prima. Non per mettere pressioni, per carità: nel mondo del lavoro non devi mai far vedere che pensi al contratto e al vil danaro. La tua ambizione è quella di far crescere il posto dove lavori e di riceverne in cambio formazione interiore e visibilità esteriore.

Comunque, aveva chiesto a titolo informativo un mese prima e le avevano detto che c’era ancora tempo e poi dovevano pensarci.

Ha chiesto la settimana scorsa e le hanno detto che serviva loro qualche giorno per pensarci.

Io me lo immagino il responsabile nazionale, lì in questi ultimi giorni, con la testa poggiata sulla mano, raccolto su sé stesso come il Pensatore di Rodin. Le lancette dell’orologio ticchettavano, il tempo scorreva e lui sudava perché la spremitura delle meningi sul tema era tale da produrre un grande sforzo fisico in lui.

È purtroppo una situazione (e un malcostume) che non di rado si verifica. Vorrei pertanto dare alcuni consigli non richiesti su come prepararsi al meglio a certe eventualità.

1) Se ti dicono che “aspetta che devono pensarci” puoi anche fare i bagagli, perché è un po’ come il famoso “stai sereno” o anche il più famoso “tranquillo” che a Roma fece una brutta fine.
2) Un altro segno non tanto buono è che il tuo responsabile diretto, quello che dovrebbe avere notizie di prima mano dalla direzione riguardo la tua sorte, cominci a farsi evanescente in tua presenza. Diciamo che ti evita, come se tu avessi una contagiosissima influenza suina e lui stia per partire a breve per le vacanze a Santo Domingo e non vuole beccarsi la febbre.
3) Se nell’ultima settimana prima del termine del tuo contratto ti danno molti più compiti da svolgere non è un segno di fiducia: è per farti sbrigare più cose possibili prima che tu te ne vada e lasci il posto vacante (e del lavoro che dovrà sobbarcarsi qualcun altro).
4) Ormai è andata e non ti rinnovano. Devi cercare altro. È ormai appurato che i soldi sono solo una cosa volgare e la gratificazione migliore è la visibilità professionale. Rendersi visibili vuol dire farsi riconoscere dalle aziende: se voi non emergete dalla massa, come fate a farvi conoscere dai datori di lavoro?

È per questo motivo che voglio condividere con voi il mio ultimo acquisto in fatto di camicie, effettuato giusto quest’oggi. Sono sicuro che con questo capo sarò visibile da 1 km di distanza.

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Non è che ti serva un elettricista per togliere le spine al pesce

Il bello di un lavoro dinamico è che non sai mai quel che ti può capitare.

Oggi una presa di corrente è bruciata. La cosa divertente è che su quattro persone presenti ero l’unico a sentire puzza di plastica in combustione.

G: Vi dico che da queste parti sento puzza di plastica che brucia
P1: Spostati, fammi sentire. No, io non sento niente…ma sono raffreddata
P2: Aspetta, vengo io. No, io neanche sento niente…ma ho il naso chiuso

Allora che minchia venite ad annusare?

Fatto sta che quando andando a naso ho trovato la fonte e tolto la spina, è venuto via con essa anche il filo interno, bello fumante.

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E questo mi ha dato spunto per scrivere questa breve guida sul cosa fare in caso di inconvenienti elettrici.

Logica vorrebbe in questi casi che intervenisse un elettricista. Un elettricista? Magari lo stesso che ci ha ridotto a queste condizioni coi soldi nostri? Io dico mandiamoli a casa tutti, è tempo di far da sé!

  1. La prima cosa da fare è isolare la corrente. Quindi fatela sentire emarginata, non invitatela più con voi.
  2. Prima di mettere le mani nella presa di corrente, fatele mettere a un altro. Se non muore fulminato, potete procedere.
  3. Per poter procedere alla sostituzione della presa, bisogna ovviamente rimuovere la placca che la ricopre. Si consiglia quindi un buon dentifricio e spazzolino.
  4. Sotto la placca c’è sempre un telaio che mantiene la presa vera e propria, collegata a tre fili: quello centrale serve al prete, per la messa a terra. Gli altri due sono la fase e il neutro, che in quanto tale è gender.
  5. Se ci sono più di tre fili sono cazzi vostri.
  6. Se svitate le viti poste sulla presa potrete liberare i fili: ve ne saranno grati.
  7. Gettate la vecchia presa. Per avere una nuova buona presa usate della colla.
  8. Installate la nuova presa rimettendo i fili al loro posto e stringendo forte le viti con un bell’abbraccio caloroso.
  9. Mettete la presa in sede nel telaio e rimontate il tutto nel muro.
  10. Riattivate la corrente: se non va niente in corto, avrete fatto un buon lavoro!

Spero di essere stato d’aiuto! Purtroppo in ufficio hanno una mentalità vecchia e ideologicamente orientata e quindi hanno preferito chiamare un elettricista, che verrà forse con mooolto comodo domani, a caro prezzo. Io dico mandiamolo a casa!

Non è che se sfondi una porta aperta vieni accusato di vandalismo

Mi ritengo una persona educata, nella normalità di quella che viene considerata educazione. A volte commetto gaffes che possono essere scambiate per scarse buone maniere, perché in situazioni di imbarazzo o nel nervosismo il cervello tende a bloccarmisi e cerca la via più veloce per trarsene fuori, tralasciando i modi corretti.

La mente a volte mi va in errore di ridondanza. Un po’ come quando mi contano il resto davanti: io annuisco ma non riesco a seguire il conteggio perché la testa mi si è fermata al primo euro.

Per questo preferisco i conteggi sempre coi resti tondi. Conservo sempre degli spiccioli in tasca da aggiungere al dovuto e aiutare chi è alla cassa ad arrotondare il resto.

E pensare che il cassiere pensa che io lo faccia per gentilezza. Invece è pura necessità contabile mia: chissà quanti soldi mi hanno ciulato coi resti sbagliati nel corso della vita.

Un gesto che invece compio per assoluta e pura gentilezza è quello di tenere aperta la porta per gli altri: uomini e donne, anche se lo faccio più spesso con le donne.

È un atto che mi viene spontaneo, non mi ci sento investito in quanto uomo. Mi rendo conto comunque che in certe chiavi interpretative potrebbe essere valutato un po’ sessista. Benevolo, ma paternalista.

D’altro canto non aprire la porta o buttarsi avanti potrebbe sembrare scostumato.

Per risolvere il problema quindi frequento solo posti dotati di porte automatiche.

Come diceva quel tale, Per non trovarsi in situazioni imbarazzanti bisogna evitare le situazioni che possono creare imbarazzi.

Non è che se la scopri la verità poi prende freddo

Sono sempre attento agli interessi delle persone e cerco di tenermi al passo con l’attualità.

Oggigiorno la gente ha una gran voglia di informarsi ed essere informata e vuol sapere le verità nascoste dietro le verità nascoste.

Ad esempio è notizia di questi giorni che dei palestrati (erano tutti grossi fisici) volevano nascondere una bomba nucleare sotto un grande sasso. Che tonti! Una bomba nucleare sotto un grande sasso si rompe e può far bum!.

Per fortuna una squadra televisiva di difensori del popolo ha svelato la cosa che probabilmente ora salterà. Cioè, la bomba non salterà, ma la bomba sotto il grande sasso salta. È chiaro?

Dato che nel mio piccolo anche a me piace fare l’investigativo giornalista, vorrei condividere qui alcune verità nascoste che ci sono state veramente nascoste.

La truffa della calvizie

Ci hanno detto che un rimedio definitivo per fermare la caduta dei capelli non esiste ancora.
Ma sarà proprio vero?

Ogni giorno solo in Italia vengono spesi millemila di soldi contro la caduta dei capelli. Sì, avete capito bene. Soldi: quelli che si prendono in cambio di cose per comprare altre cose. Lozioni, integratori, pillole, trapianti, parrucchini, Antonio Conte. Un giro d’affari di tanto di soldi.

Voi che acquistate gli Antonio Conte siete sicuri di quello che acquistate?

Ma è proprio necessario tutto questo soldi?

E se vi dicessimo che un rimedio contro la caduta dei capelli esiste?

Non può essere!

Sì, avete capito bene. Esiste una cosa che arresta la caduta: il pavimento.

Sì, avete capito bene. Ripeto: il pavimento.

Il pavimento fu inventato da un team di ricercatori americani in provincia di California. Il loro nome in codice era Pavement. Fu una scoperta avvenuta quasi per caso, come tutte quelle che avvengono quando scopri cose per caso. Loro stavano cercando un sistema per ricavare buon sangue dal riso. E poi un giorno mentre si grattavano la testa scoprirono che i capelli che volavano via si fermavano sulle piastrelle.

Fu una scoperta sensazionale. Sì, avete capito bene.

Purtroppo la loro invenzione fu ostacolata dalla lobby delle crescine per capelli e il team, dopo aver tentato invano di sbarcare il lunario spacciando musica indie rock, si sciolse nel 1999. Il loro nome è stato cancellato dalla lista della scienza. Sì, avete capito bene. Addirittura adesso in inglese per distogliere l’attenzione della gente pavement non vuol dire pavimento ma marciapiede.

Una mistificazione in piena regola, potremmo dire se solo sapessimo che vuol dire mistificazione.

E il Governo che dice?

Città che si spostano

Nord Italia. Sì, avete capito bene: Nord Italia. C’è una città che si chiama Novi Ligure. Qualsiasi persona perbene penserebbe che sia in Liguria.

Ebbene, cosa direste se noi (cioè io, ma nella televisione dicono sempre noi) vi dicessimo che ci siamo recati in questa città su Google Maps e abbiamo scoperto che…

Novi Ligure è in Piemonte!

Avete capito bene. Novi Ligure è in Piemonte.

Le immagini non possono sbagliare. Novi Ligure è proprio in Piemonte.

Chi l’ha spostata? E perché? E quando?

E attenzione: potrebbero esserci altre città che i misteriosi alieni – o gnomi armati di ascia – potrebbero aver spostato. Massa Lombarda. Guardia Piemontese. Brindisi di Montagna. Sono solo alcuni esempi. Noi (cioè sempre io) andremo a verificare per voi e faremo luce. E se la luce già c’è, faremo buio. E se vi piace farlo in penombra, vi daremo anche quella.

Alla prossima puntata.

Non è che il pugile non si lavi solo perché ha gettato la spugna

Salve, sono Gintoki, forse vi ricorderete di me per post come Non è che il palestrato riverente si alleni facendo le genuflessioni.

Sono andato in palestra a chiedere informazioni.

Quando sono entrato ho notato che mancava il pavimento. Ho pensato stessero in ristrutturazione, eppure quando c’ero passato davanti giorni addietro la struttura sembrava operativa. Che avessero deciso di chiudere sapendo del mio arrivo?

Prego? Mi fa la ragazza alla Reception
Ehm…siete aperti vero? Dico alludendo al non-pavimento
Sì sì, non farci caso
Un po’ difficile non farci caso (ri-alludo)…Comunque, posso avere delle informazioni?
Certo! Tanto per cominciare, questa è una palestra!
Ah e vedo che vi allenate nella simpatia
Prego?
Sì, dicevo sembra un posto simpatico…riguardo gli accessi?

E mi sventola davanti un foglio, dicendo che quelle sono le tariffe più basse di tutta Budapest.

Quando mi ha invitato a fare una ricognizione della palestra, ho capito il motivo di prezzi così stracciati. Anzi, straccioni.

I macchinari risalgono più o meno all’epoca Sovietica. Qualcuno è fuori servizio. Le barre di ferro dei sostegni dei tapis roulant sono così arrugginite che anche il batterio del tetano ha paura di prendersi il tetano. Le panche hanno i bordi smangiucchiati.

Ho detto che sarei ripassato. Magari insieme a qualche ispettore dell’ufficio igiene.

C’è un’altra palestra a 7 minuti a piedi da casa.
Non vi sono manco entrato perché la porta d’ingresso aveva i vetri così sporchi che non erano più trasparenti. Un foglio di carta scritto a penna indicava gli orari. Un cartello OPEN di quelli con le lucine a led verdi-blu-rosse che vendono i bengalesi era mezzo fulminato e recava la scritta PEN.
Se tanto mi dà tanto l’interno non doveva esser tanto curato.

C’è ancora un’altra palestra nella stessa zona. Questa è invece una di quelle iper professionali, con accesso solo tramite badge e scansione ottica, parcheggio riservato con taglio delle gomme di avvertimento quando non ti impegni abbastanza nell’allenamento.

Hanno una sorta di club fedeltà cui ci si può iscrivere. La presentazione sul sito sembra quella di una setta religiosa. In corsivo degli estratti:

  • Unisciti a noi e sarai un membro della comunità Life1. Saremo molto felici di darti il benvenuto tra noi.
  • Il nostro team ti ispirerà e motiverà a raggiungere i tuoi obiettivi di fitness.
  • Potrai essere un membro di una comunità energica e orientata al movimento.
  • Gli allenamenti regolari e il nostro gioioso team ti daranno la giusta energia.
  • I nostri club sono totalmente climatizzati e ricchi di luce naturale. L’ambiente è amichevole e confortevole.

Le macchine sono di ultima generazione, con schermo e connessione internet, allenamenti super personalizzati, con personal trainer così personal che ti seguono anche a casa per controllare se in cucina tu stia calibrando bene proteine e carboidrati.

La retta costa così tanto che credo alla fine sia semplice seguire un regime alimentare ferreo: se ti iscrivi non ti restano soldi per mangiare.

Infine, sempre nei paraggi, c’è una palestra di arti pugilistiche. Ma non so se sono pronto a essere tiranneggiato da un ex pugile magiaro come trainer. Non so perché ma l’idea non mi suona simpatica.

Quindi facciamo che per ora faccio footing sul lungoDanubio dietro casa.

Non è che a dicembre nel monastero addobbino l’abate

È più forte di me.
Cerco di stare lontano da determinati argomenti, per quieto vivere.
A volte ci riesco, altre volte no.
Finisco per sentire qualcosa dentro che mi rode e mi spinge verso quell’argomento.

Ho deciso quindi di parlare dell’evento principale di questo dicembre.

Il Natale.

Il Natale è come le Olimpiadi.
Si attende con trepidazione e grande entusiasmo.
Salvo poi lamentarsi perché la sua organizzazione crea tanto traffico per le strade, sperpero di soldi e, alla fine, diciamocelo, finisce sempre tutto in un magna magna.

Uno dei temi scottanti intorno al Natale riguarda il presepe.
Non si è ancora capito se non bisogna esporlo pubblicamente per evitare di attirare il terrorismo dell’ISIS oppure se bisogna invece farlo per evitare di attirare Matteo Salvini.

Per evitare problemi, Padre costruisce presepi nudi che, all’occorrenza, possono essere benissimo spacciati per modellini medioevali.

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Buonasera, buonasera, questa sera in studio avremo Caterina Sforza, Federico da Montefeltro e Lorenzo de’ Medici per discutere della riforma sul Consiglio dei Settanta, di cui avremo un plastico in studio.
[Bruno della Vespa]

Riguardo al cibo, premesso che non so bene quali siano le usanze in altre zone d’Italia, a Napoli è cosa buona e giusta fare il cenone il 24 sera, il pranzone il 25 e, poi, un pranzo anche il 26 con gli avanzi del giorno prima.

Purtroppo capita sempre che non restino avanzi dal giorno prima, quindi si cucina daccapo un pranzone per il 26 per onorare la tradizione perché sennò poi fa brutto e dicono che siamo provinciali, siamo tirati.

Negli ultimi anni una corrente riformatrice vorrebbe si riducesse il numero dei gozzovigliamenti, per dare un taglio agli sprechi alimentari e alle spese correlate.

Tale spinta riformatrice incontra l’opposizione di chi sostiene che abbiamo il Natale più bello del mondo e che vada bene così com’è.

Al coro dei difensori della tradizione ci siamo uniti anche noi non credenti/non osservanti, sostenendo che se venisse abolito il Natale non avremmo poi nulla da criticare.

Certo, rimarrebbe la Pasqua, ma quella se la filano in pochi.
Serve solo per capire in che giorno dell’anno organizzare una gita sotto la pioggia.

Perfino la celebre pastiera, dolce tipico pasquale, si è ormai votata al Natale per acquisir più notorietà.

Comunque la si pensi, al termine di ogni Natale ci si sente così:

Non è che la pornostar sia una persona sbeffeggiata solo perché tutti la prendono per il…

Ho fatto conoscenza della medicina ungherese.

Prima o poi era necessario farlo. La volta scorsa che sono stato qui ho passato sei mesi senza neanche dir “Ciao, medicina ungherese! Come va?”, quindi ora era giusto presentarsi.

La prima cosa che ho scoperto è che qui non esistono visite a domicilio. Non che io oggi ne avessi bisogno, ma da questo momento ho deciso che terrò su una mensola i soldi del taxi da utilizzare nel caso mi venisse la febbre a 40.

Ogni distretto qui ha un suo centro medico di riferimento cui bisogna rivolgersi. Quindi se siete fuori zona, cazzi vostri.

Prima di poter vedere uno specialista nell’ambulatorio, bisogna passare dal medico generico che deciderà se sia o no il caso di passare al livello successivo.

Io ignoravo la cosa e volevo vedere direttamente lo specialista, mentre invece mi hanno indirizzato dal generico, parlante inglese.

Con la tessera sanitaria dell’Unione nazisovietico giudaico-massonica Europea fortunatamente si ha diritto ad assistenza come da noi.


Io sarò sincero: l’Unione sarà una donna cagacazzi e interessata solo ai soldi e guidata da un cervello teutoparigino, ma i miei rapporti con essa sono sempre stati soddisfacenti. Insomma, c’è gente peggiore dell’Europa in giro, credo!


Quando sono entrato mi ha fatto:

– Where are you from? (sapevano della visita con uno straniero)
– Italy
– Ah! Io capisco un poco italiano…e hablo castellano!

Esticazzi? – avrei voluto rispondergli.


Non è vero. All’estero parlo sempre con piacere con chi conosce il castigliano. Ma in questo frangente ero troppo teso e l’unica cosa che son riuscito a dirgli è stata Ah…entiendo…


Il medico, un Giovanni Rana con una barbetta Cavouriana, sembrava gentile e affabile.

Purtroppo, il suo aspetto placido e tranquillo e i modi garbati nascondevano il volto di un mostro.

Sono troppo turbato ancora per descrivere l’accaduto, quindi lascerò parlare un video di repertorio:

La cosa divertente era che lo studio aveva un’enorme parete di vetro che affacciava sulla strada e lungo tale vetrata era posto il lettino. Eravamo al terzo piano e, probabilmente, i vetri all’esterno erano oscurati, ma la sensazione di essere in vetrina è stata molto viva.

Dopo l’esperienza provata sulla pelle, sento di non voler chiedere mai più a una donna rapporti non convenzionali col suo posteriore.

Non è che al giardiniere per orientarsi serva una piantina

Cercare casa ti mette sempre in contatto con situazioni antropologicamente interessanti.

– E com’è il vicinato*?
– Credo ci si stia trasferendo gente ricca. Ebrei, sai.
– …Ah…


* Domanda di rito che pongo sempre alla fine dell’ispezione dei locali.


Persiste in questo Paese una malcelata acrimonia verso gli ebrei. Più che altro è invidia per la loro (presunta) ricchezza: l’ungherese medio pensa sempre al danaro ed è alquanto micragnoso e taccagno.

Ho visto poi una casa in zona Corvin-Negyed. Il proprietario è un italiano: all’arrivo sul posto mi è venuto incontro questo tizio che sembrava Joe Pesci in Mio cugino Vincenzo. E non perché fosse un avvocato, ma per l’aria da intrallazzatore.

La casa era un buco con pareti scrostate e ammuffite e mobilia da discarica. Niente riscaldamento, solo stufetta elettrica. Niente spazio per appendere i panni. Anche perché o entravano i panni in casa o ci entravi tu: non c’era spazio per entrambi.

Il suo asso nella manica erano le vicine di casa alla porta di fronte (così di fronte che non si potevano aprire contemporaneamente le due porte), in un appartamento sempre di proprietà del Cugino Vincenzo. Due ariane studentesse Erasmus, che, guarda caso, sono rientrate in casa proprio quando sono arrivato io, come per farsi vedere di proposito!

In virtù di questo optional aggiunto stavo per tentennare e prendere la casa, poi ho pensato che ho una salute da salvaguardare – non posso vivere con la muffa alle pareti – e un rapporto in Italia da tutelare dalle tentazioni Erasmus.

Sempre a Corvin ho visto un monolocale appena ristrutturato. Era tutto così nuovo che il frigo aveva ancora il cellophane.

Il problema era che, a parte l’affitto alto, la casa si trovava in uno stabile che sembrava uscito dalla guerra. Uscito male. Pareva l’avessero bombardato. Per dirla in napoletano, era scarrubbato.


Adoro questa parola, perché mentre la pronunci forma con sé anche l’immagine: scarrubbato. Quando lo dici vedi qualcosa che crolla.


Altre case che ho visto pure puzzavano di muffa o avevano la scala del soppalco della zona notte troppo ripida. Già mi vedevo a ruzzolare giù al mattino. Un metodo di risveglio efficace, quantunque doloroso.

In ogni caso, nel giro di due giorni ho trovato casa: non sono più un senzatetto.
Il monolocale non puzza, non ha scale assassine, ha ben due (!) finestre e il proprietario è una persona gentile e onesta.

Quando gli ho portato la caparra, gli ho dato i soldi chiedendogli di contarli e mi sono dedicato a leggere il contratto. Nel gruzzolo sapevo che c’erano 10mila fiorini in più e volevo constatare se me l’avrebbe fatto notare. Cosa che ha prontamente fatto, con mia soddisfazione.


Se può sembrar da pazzi, meglio ch’io allora non racconti quali e quanti svariati test io faccia sulle persone per valutarle. Forse anche questo blog potrebbe essere un test per chi lo legge.


La prima cosa che ho fatto dopo aver avuto le chiavi, è stata comprare una piantina di aloe per decorare la finestra. L’ho presa senza pensarci, poi dopo averla sistemata ho realizzato: una piantina è un bell’impegno. Cioè non posso riportarla a casa in Italia come se fosse un soprammobile. Vuol dire che ho intenzione di stare qui almeno un anno: già sapevo questo, ma il fatto di avere un qualcosa che mi dà l’idea della stanzialità (Il cielo in una stanzialità) è una prospettiva nuova.

Non è che un parente incapace sia il cug-inetto

Tutti hanno delle abilità più sviluppate rispetto ad altre. In genere, per ovviare, in questi casi agisce il principio del prestito: ci si appoggia a un altro individuo che ha quantità di skill sufficiente da fornire per ciò che serve.

In alcuni casi la questione assume i connotati dell’assurdo.

Come quando un collega di università mi disse che aveva bisogno di un pacchetto di programmi e non sapeva come fare. Gli dissi:

– Ti do il cd, è già attivato
– E quindi che devo fare?
– Fai partire l’installazione e quando ha finito è tutto fatto
– Ok

Tre settimane dopo, mi telefonò:

– Ciao, senti come devo fare per quel programma?
– Cioè?
– Come si installa?
– …Il programma parte in automatico, devi solo dare conferma a ogni passaggio
– E quindi che faccio, metto il cd nel computer?
– Sì
– E poi che succede?
– Parte il programma di installazione e tu clicchi Ok, Avanti, Installa
– Ok

Non lo installò mai.

Un mio amico invece ha un problema con gli acquisti online.
Non ha una carta prepagata.
Quindi mi dà i soldi e compro io per lui, tanto io so come fare acquisti protetti. Infatti metto un condom alla mia prepagata.


Scherzo, ovviamente.
Il condom lo indosso io quando compro online.


Non ho mai capito perché non si procurasse una carta né gliel’ho chiesto, un giorno però si è deciso da solo ad andare in Posta per averne finalmente una. Non ne ha cavato un ragno dal buco e ne stava uscendo con un fondo pensione.

Allora ho capito che forse non ha la skill per queste cose.

Io invece soffro di inabilità sociali.

Ad esempio, ci ho messo anni a imparare a salutare scambiando il bacetto sulla guancia. È un gesto che cominciò più o meno alle scuole medie, ma nel cui utilizzo sono stato a lungo un inetto. Non ricordavo mai se bisognava salutarsi prima a sinistra e poi a destra o il contrario. Con tutti gli inconvenienti del caso. Credo di aver dato il mio primo bacio a un maschio, ma ho rimosso l’episodio.

Misi a punto allora una tecnica: rimanevo piantato immobile come se avessi una gruccia nelle spalle e sporgevo leggermente in avanti la testa senza muoverla di lato, aspettando che fosse l’altra persona ad approcciarsi per il saluto. In pratica, era come dare un bacetto a Lurch il maggiordomo della Famiglia Addams.

Dopo ho imparato, tengo a precisare.

Un’altra mia inabilità riguarda il momento di congedarsi da un gruppo dove c’è una persona appena conosciuta: è richiesto il saluto sulla guancia o meno? Per alcuni ho notato sembra un eccesso di confidenza ma, d’altro canto, per altri la sua assenza sembra un gesto di scontrosità.

Per ovviare, io saluto tutti a distanza con un cenno della mano amichevole e solenne come il Presidente che scende dalla scaletta dell’aereo e saluta balle di fieno che rotolano.

Sono diventato così bravo in questa posa che penso che dovrei fare il Presidente.

Non è che se non ti piacciono i libri per contrappasso verrai messo all’indice

Un amico mi ha chiesto di accompagnarlo a fare un giro a tempo perso in libreria.
In realtà trattavasi di un atto strategico in vista dell’avvicinarsi del suo genetliaco.

Il meccanismo è sempre uguale. Il soggetto, aggirandosi tra gli scaffali, indica con finta e malcelata noncuranza un’opera su cui è caduta la sua attenzione:

– Oh, c’è il libro di William Cock Eatpussy, scrittore blogmoderno che è vissuto 50 anni senza pronunciare la lettera effe come polemica contro il sistema, suicidatosi poi con un colpo di Marzullo nel 2010

E il giorno del compleanno:

– Questo è per te, tanti auguri!
– Oh…cos’è?…Oh, il libro di William Cock Eatpussy, scrittore blogmoderno che è vissuto 50 anni senza pronunciare la lettera effe come polemica contro il sistema, suicidatosi poi con un colpo di Marzullo nel 2010! Come facevate a saperlo?!

A un uomo è complicato fare un regalo. Ben venga chi legge perché con un libro si va in genere sul sicuro.
Qualcuno non sarà d’accordo, affermando che sia più complicato scegliere un regalo per una donna: è falso. In quel caso si consegnano i soldi a un’altra donna che se ne occuperà. Più semplice di così.


Il discorso non vale quando si tratta di compagne/fidanzate/mogli anche se comunque so di uomini che fanno comprare il regalo all’amica.


Purtroppo quest’anno non c’erano libri così interessanti o forse io ero troppo distratto a desiderare cose per me.

Ad esempio in libreria avevo visto qualche giorno addietro Alla ricerca del tempo perduto di Proust, con ben il 15% di sconto. Sono solito farmi trarre in inganno dalle percentuali di sconto – trappole per acquisti – su un libro, immaginando chissà quale grande risparmio quando in realtà lo sconto è sempre minimo. Su un libro di 55 € un 15% però è già qualcosa.


Esistono anche edizioni più economiche, come quelle dei Mammut, che trovo però esteticamente orribili con la loro copertina da libro per bambini stile “Impariamo a crescere”.


Ma guardalo! Vuol far vedere che è impegnato e legge Proust!

In realtà no, infatti non l’ho mai letto e c’è stato un tempo, tanto addietro negli anni, in cui credevo che Proust fosse la corretta pronuncia di Prost, il pilota.


Il quale, in fondo, quando si fermava ai box doveva poi andare alla ricerca del tempo perduto durante la sosta.


Nessuno mi regalerà mai Proust.
Non perché non conosca 9-10 persone che possano spartirsi la quota. È che non darei mai una festa di compleanno e vi inviterei 9-10 persone, per quanto io invece abbia partecipato ai loro rispettivi compleanni. Ma, parafrasando una nota frase di Rita Levi Montalcini, non vorrei mai a un compleanno persone che con così tanta leggerezza accettano di invitare uno come me al loro.

Ho visto anche sconti sui volumi di Zerocalcare, lettura che scrocco nelle librerie delle stazioni in attesa della partenza del treno. Dato che mi seccherebbe cominciare un libro per poi abbandonarlo dopo poche pagine, l’intrattenimento mordi e fuggi ideale è rappresentato dai fumetti. Si sta purtroppo avvicinando il momento in cui non avrò più cose da leggere – mi son già reso conto di aver riletto vecchie cose – quindi o devo cambiare autore o devo sperare che Zerocalcare incrementi la propria produzione.

Purtroppo non lo ammiro così tanto da spingermi ad acquistare un suo volume, per quanto Kobane Calling sia un reportage molto bello e io ho fatto fioretto, spada e sciabola di acquistarlo per sdebitarmi moralmente dei minuti di intrattenimento a scrocco che mi ha offerto.

Ciò che mi blocca è che ZC è il profeta del limone ammuffito in frigo, l’esegeta della fila alla Posta.
L’apologia del quotidiano in cui tutti si riconoscono, con l’amico strambo, il tale che si sposa all’improvviso, le relazioni ansiogene e le famiglie particolari. E i limoni che vanno a male.

È ciò che ti fa esclamare “Ehi! È così anche per me!”. È una cosa bella.
A volte, però, mi fa tristezza.
Perché realizzo che viviamo nell’epoca dei limoni ammuffiti. Dobbiamo sapere che esistono anche nelle case altrui per sentirci meno soli.

Io non so se sia sempre stato così o se una volta fosse diverso, anche perché una volta io non c’ero.
Immagino che aver lasciato che un limone andasse a male e averlo raccontato in giro sarebbe stato oggetto di scherno. Oppure sarebbero volati rimproveri per averlo sprecato. Ci sono tanti bambini in Africa che hanno sofferto a causa dei miei sprechi alimentari infantili, infatti.


Almeno così mi han sempre fatto credere.


Eppur oggi, pensandoci, anche io scrivo qui alla ricerca non del tempo perduto ma di altri limoni ammuffiti.