Non è che serva una colf per mantenere l’Ordine dei giornalisti

Ho sistemato i vestiti nell’armadio.

Ho fatto ordine perché mettendo a posto fuori da me riesco a riordinare il caos dentro di me…

No, non è vero.

La parte del caos lo è, ma ho messo a posto semplicemente perché negli ultimi giorni quando aprivo le ante i vestiti saltavano fuori per aggredirmi. Più li respingevo e più loro mi si riversavano addosso. Non dimenticherò mai quel gancio destro che ho rifilato a una felpa per liberarmi dalla sua stretta. È stato epico.

Mi chiedo quanto durerà la disposizione attuale. Non sono molto bravo a fare ordine.

In verità ci sono parecchie cose in cui non sono capace. Forse mi devo arrendere a ciò senza per questo considerarmi stupido. Come si dice, Se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido. Io però non sono fortunato come un pesce: almeno loro non devono indossare una sciarpa.

Io non riesco a farlo. Quando fa freddo preferisco sempre uno scaldacollo: è pratico, si infila e si sfila con facilità, protegge. La sciarpa non so mai quanti giri farle fare e come annodarla. Due giri son pochi, tre son troppi. O la tengo troppo larga, facendola risultare un ornamento inutile allo scopo di tener calda la gola, o la avvolgo modello collare ortopedico post incidente d’auto, che mi conferisce una certa rigidità nei rapporti sociali. Altre volte faccio un nodo che a momenti mi strozzo. Vedo già la notizia sui giornali: Si soffoca con la sciarpa perché non sopportava la vergogna di non sapere come farvi il nodo (i giornalisti a volte stravolgono i fatti. Non mi sono strozzato per la vergogna, è stato il nodo che vergognosamente mi ha strozzato).

Un’altra cosa in cui sono inabile è togliere il cellophane dalle confezioni. Già è difficile individuare la magica striscetta che dovrebbe aprirlo, traumatico è quando il lembo della summenzionata mi si spezza in mano invece di far il giro completo intorno la scatola. Allora comincio a grattare con le unghie il cellophane, lo tiro coi denti, lancio la scatola contro il muro, provo a umiliarla verbalmente.

I più complicati per me da aprire sono i pacchi di tovaglioli, che non hanno manco la striscetta ‘magica’. Una volta ho rotto un coltello – quelli col manico di plastica, mi è rimasto in mano il manico – mentre puntavo la lama contro un punto in cui la plastica della confezione era unita.

Un’altra difficoltà ce l’ho col cavatappi. Non con “l’omino”, quello con le braccia, per intenderci. Neanche con il tirabusciò a T che, anzi, è anche un buon allenamento perché aprire una bottiglia con quest’ultimo richiede il coinvolgimento dei muscoli del braccio, della spalla, della schiena e financo delle gambe su cui puntellarsi. Altro che extreme fitness!

Il mio problema è con quello professionale, il tre pezzi con lama, leva e ‘verme’. Non riesco a far leva con la leva. Archimede di Siracusa mi guarderebbe con disprezzo.

ghem

Una cosa che infine proprio non mi riesce bene è il caffè.

Va detto che non lo faccio spesso né mi esercito a prepararlo. Preferisco lasciar fare agli altri o andare al bar.

Una volta ho fatto il caffè all’idraulico che era venuto ad aggiustare lo scarico del lavello.

Ne ha bevuto un piccolo sorso, ha posato la tazza e ha fatto “Beh dai devo andare”. Mi sa che il caffè non mi era riuscito buonissimo.

Peccato. Era un bravo idraulico. Saldava sempre.

Non è che il direttore di H&M sia un Capo d’abbigliamento

Quando salì in macchina notai che aveva delle scarpe aperte. Sei sicura? Guarda che il cielo minaccia diluvio, dissi.

Tornò dentro a cambiare le scarpe.
Trascorsero venti minuti neanche buoni ma un po’ indisciplinati. Pensai che avesse avuto un incidente domestico. Poi finalmente uscì: si era cambiata dalla testa ai piedi. Non ebbi la prontezza di riflessi di mettere in moto e fuggire a quella vista.

– Scusa non dovevi cambiare solo le scarpe?
– Dovevo mettere qualcosa che si abbinasse, no?
– Ma sono delle normali scarpe da ginnastica bianche!
– E allora?

E lì io dovetti realizzare, per l’ennesima volta, di non sapere nulla di ciò di cui stesse parlando e di non capirne affatto.

Se il vestire è una affermazione del sé, io sono la negazione ambulante. Il concetto di abbinamento è lontano da me e tento di impararne le basi, seppur con difficoltà perché spesso indosso cose a caso semplicemente perché singolarmente mi piacciono.

Una volta uscii con: maglia a righe orizzontali, camicia a quadri e sciarpa a righe ondulate: c’è mancato poco che mi scambiassero per un quadro di Kandinskij.

A distanza di anni poi non ho ancora imparato ad arrotolare le maniche della camicia: comincio bene e poi non so dove io mi perda e rovini il risultato. A seconda del mio errore possono venir fuori tre tipi di “arrotolatura”:

– Il lavapiatti: tipico di chi deve infilare le mani nell’acqua e tira su le maniche in fretta e furia senza badar al risultato;
– Il picchiatore: lo stile dell’uomo d’azione, che ci tiene alla praticità e arrotola le maniche fin sopra il gomito per avere libertà di movimento nel colpire l’avversario;
– Il donatore di sangue: i risvolti della manica creano una compressione sull’avambraccio che blocca la circolazione, creando un ristagno di sangue utile per essere immediatamente prelevato.

Viste le mie difficoltà nel vestire e la mia incapacità di migliorarmi dovrei cercare di peggiorare gli altri per portarli al mio livello. O quantomeno evitare che si ripetano episodi di attese – come questo che ho raccontato risalente a qualche tempo fa – per cambi improvvisi di calzatura.