Non è che ti metti un cartellino con scritto “prenotato” perché sei riservato

Ieri sera ho preso una birra con uno che conosco da 10 anni ma che non ho mai visto di persona. Sono in un gruppo Whatsapp con dei tizi di diverse zone d’Italia conosciuti su un forum di calcio, forum che abbandonammo dopo qualche anno creandocene uno nostro, da lì poi passammo su fb e da qualche anno siamo su Whatsapp. A parte un paio di loro, non ho mai incontrato di persona nessuno degli altri.

Il tale fa parte di questo gruppo. Ne ho sempre avuto stima, per opinioni e capacità di ragionamento. Molto formale e riservato, a tratti schivo ma senza farti comprendere se per ritrosia caratteriale verso il prossimo o per un poco di sana superbia nel mostrare che semplicemente potrebbe ma non vuole.

L’altro giorno aveva scritto nel gruppo che era a Milano in questi settimana e gli ho detto allora fa’ un fischio se ti va una birra.

Mi sarei aspettato, visto il suo atteggiamento online, una persona diversa: composta, seriosa, molto sicura di sé. Invece quando l’ho avuto davanti mi sono reso conto che è una persona molto impacciata. Forse anche un po’ per l’imbarazzo di trovarsi di fronte qualcuno che non si conosce, anche se credo che caratterialmente sia proprio una persona molto timida.

Anni fa – era il 2014 – partecipai a un raduno di blogger di WordPress. Credo fossi nella stessa situazione sua se non davvero di più. Teso e impacciato e rigido come un’asse da stiro che ha ingoiato una scopa. Mi sono reso conto ieri di essere un po’ cambiato da allora; mi sono costruito negli anni un personaggio, autentico, perché non mi mostro diverso da quel che sono. Semplicemente mostro. Racconto aneddoti, per lo più sono sempre gli stessi che riciclo in diverse situazioni. Non cerco di stupire o impressionare ma semplicemente di usare questi discorsi – per lo più incentrati su viaggi e situazioni strane capitatemi o che ho notato – sono utili per aprire un canale di dialogo e togliere l’altro dall’imbarazzo di riempire un silenzio.

Mi sono sempre odiato per una sorta di inettitudine sociale che percepivo in me. E ancora oggi devo dire che mi sento un impedito nella gestione delle relazioni sociali. Ma conoscere le persone è qualcosa che oggi mi attira molto – seppur sono pur sempre un tipo diffidente o pronto a metter paletti – perché mi permette di conoscere di più me.

Non è che il fotografo sia meschino perché pensa solo ai suoi obiettivi

Una delle mie più grandi ossessioni o ansie è quella di avere ‘la sindrome dell’impostore’; il credere, cioè, che i traguardi, i successi professionali, siano solo frutto del caso o dell’opinione sbagliata di qualcuno che non si è reso conto che in realtà non ho capacità in quel ruolo o che non sono affatto la persona che crede.

Questa paranoia non mi si palesa soltanto nel lavoro ma anche nelle relazioni sociali. Ad esempio, quando qualcuno si confida con me e chiede pareri e consigli e perle di saggezza io penso «Santi numi, questa persona mi ritiene in grado fare considerazioni autorevoli? Dove ho sbagliato? Cosa ho fatto per generare questa impressione?».

È capitato quindi che la mia vecchia CR di Budapest chiedesse il mio punto di vista su una conoscenza nata su internet. Il tale, che a fini narrativi chiameremo Tizio, dopo che lei aveva con cortesia rifiutato un invito a stare a casa sua dopo solo una volta che si erano visti qui in Italia, quando lei è tornata in Ungheria si è fatto più freddo e assente, al limite della latitanza.

CR non riesce a convincersi: perché, se l’unico interesse era una cosa sola, mostrare in precedenza un interesse e un coinvolgimento tali da far pensare altro?

E dovrei saperlo io? Sono terrorizzato da tale responsabilità cui sono chiamato a rispondere!

In realtà penso una cosa: ci sono alcuni che pensano le persone vogliano soltanto sentirsi dire cose piacevoli a prescindere che siano sincere o meno  e, quindi, non sapendo (o non volendo, in malafede) costoro approcciarsi in modo funzionale agli altri hanno come unico modo di agire per raggiungere i propri obiettivi quello di comportarsi in modo da farle fesse e contente.

Mentre dicevo ciò ho avuto un’illuminazione: sono allora costoro i veri impostori!

Persuaso che dal punto di vista dei rapporti sociali la vera impostura sia altro, ho cercato un riscontro anche in altri campi. E un episodio di ieri mi ha fornito un esempio.

Esterni. Paesaggio collinare. Neve accumulata ai bordi della strada. L’auto procede in salita. In senso contrario arrivano altre due auto che scendono. Tocca retrocedere per farle passare, causa la neve che restringe la carreggiata.

La prima auto passa, la seconda si ferma di fianco. È lo sceriffo del paese, o meglio, carabiniere, in abiti civili. Abbassa il finestrino e fa:

– Voi non resiediete qui.
– Eh?
– Qua è divieto di sosta. Sopra e sotto a entrare e uscire.

E se ne va, tra lo sbigottimento e la perplessità mia e degli altri passeggeri.

Soltanto dopo si è capito il mistero: in caso di neve, c’è divieto di transito ai non residenti.

Ecco, se costui riesce a fingersi un carabiniere, io posso essere qualunque cosa!

E quindi scelgo di essere resiediente.

Non è che il dermatologo ti giudichi a pelle

Sono andato dal dermatologo per un controllo.

Facendo conversazione, mi ha chiesto un po’ dell’Ungheria. Tra le varie cose, ha detto

– È vero che lì sono molto libertini?
– C’è meno formalismo nelle relazioni sociali in determinate situazioni
– Sì sì io quello intendevo

E poi

– È vero che c’è tantissima prostituzione?
– Beh c’è ed è regolamentata ma credo sia presente in percentuali fisiologiche come in altri Paesi Europei
– Sì sì a quello mi riferivo

Quando è stato il momento di pagare stavo quasi pensando di mollar sulla scrivania 10 euro e, al suo “Sarebbero 50”, replicare “Sì sì, io quello intendevo!”.