Non è che se ti penti di non aver pranzato poi ti senti i rimorsi della fame

È narrato nelle Argonautiche che l’indovino (e re) Fineo ogni volta che i servi gli preparavano da mangiare le mostruose Arpie d’improvviso planavano dal cielo sulla tavola a rubargli il cibo, insozzando ciò che ne rimaneva.

Una cosa simile mi accade quando vado a dormire. Dopo essermi lavato, preparato, coricato, aver letto, tranquillo, spengo la luce e chiudo gli occhi e all’improvviso arrivano. Le mie Arpie sono pensieri che da quel momento si mettono in moto e mi ritrovo a dover scacciare.

Eppure non avrei di che lamentarmi. Il solo pensare di farlo mi fa provare rimorso. Ma questo fa parte di un senso di colpa interiorizzato che si è incapsulato tra la bocca dello stomaco e il tormento. Appartengo alla generazione di quelli che, da famiglie, maestre e comunità educante in generale, hanno subìto la pressione psicologica del “Mangia. Pensa ai bambini dell’Africa”. Una volta quando alla scuola elementare si presentò un’associazione parrocchiale X a distribuire una scatolina in cui raccogliere spicciolini di offerta per l’Africa, donai 10mila lire, per emendarmi dei miei peccati alimentari e anche per comprarmi l’immunità di qualche capriccio.

A 8 anni già ero pratico della compravendita di indulgenze.

Non dovrei lamentarmi. Non lo faccio.

Riflettevo solo che l’attuale situazione rappresenta una sconfitta o una battuta d’arresto per chi come me ha impostato la propria vita in una modalità non stanziale e non improntata a un progetto di vita familiare. Negli ultimi 4 anni ho vissuto in 3 città diverse. Ho avuto relazioni sentimentali – valide per un’autocertificazione – in altre due città, sempre lontano regione a centinaia di km. Nulla di eccezionale o stravagante, beninteso, ma tra le persone strette che conosco, fatta eccezione per una che ha praticamente girato tutto il Medio Oriente, sono l’unico. E oggi, fermo, mi sembra di ritrovarmi con un pugno di mosche.


Che fa anche schifo, insomma, chi mai vorrebbe tenere in mano delle mosche?


Si dice che “Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema”.

Tralasciando il fatto che slogan come questo mi fanno venire voglia di andare in giro a leccare i sostegni dei vagoni del treno, non mi è chiaro la normalità problematica da non riproporre più quale sarebbe.

Precarietà. Sfruttamento del lavoro. Le fondamentali “Esigenze di produzione”. Inquinamento (no, non significa niente che durante la chiusura sia stato avvistato l’ippopotamo blu della Lines in centrocittà). Queste cose le avremo ancora. Anche di più, ne abbiamo visto esempi. Un esercito invisibile alla retorica – tipo i corrieri in giro anche di domenica – ha continuato a lavorare mentre ci dicevamo facendoci da soli pat pat quanto eravamo bravi perché #iorestoacasa.

Quindi non mi si dicano favole, che appena si potrà tornare a bere in pubblico sennò vi piscio nei bicchieri. Andrà tutto pene.

Quindi io che da una vita cerco di esser normale ora non so in cosa dovrei riprogrammarmi.

E quindi fatico a prender sonno. Cazzi tuoi, diceva il saggio:

Non è che nell’800 piangessero spesso perché si andava in giro con la cipolla

Ho fatto un incontro sgradevole, per strada.

Ho incontrato un conoscente, uno di quelli che ti trattiene a parlare con discorsi pedanti e pesanti. In particolare il suo tema preferito è la “questione Meridionale”: il mio conoscente è esponente di un movimento borbonico.

Già temevo, avendolo avvistato, qualche comizio da parte sua. Se non che, si è concentrato sulla mia barba:

– Ti vuoi tagliare ‘sta barba?
– No.
– Ti vedo filosofo.
– Ah.
– Marxista.
– Ah.
– E juventino.
– Eh?
– Sì, facci caso, tutti gli juventini tengono ‘sta barba.

Juventino a me, mai.
Tralascio tutto il resto dell’incontro, volevo soffermarmi sull’offesa ricevuta, una macchia sull’onore che un tempo si sarebbe lavata con un duello.

E ho riflettuto su come appunto, nell’età dei gentiluomini, certe cose fossero molto più semplici. Almeno stando al quadro della società e dei rapporti personali dipinto da romanzi coevi a quell’epoca.

1) Le offese, come dicevo, venivano risolte con un duello. Con regole certe e convenute dai duellanti, un appuntamento preciso, testimoni e medico al seguito. Non era necessario che l’incontro si concludesse con la morte di uno dei contendenti: molto spesso bastavano un paio di tiri di spada sulla coscia o un buco in più nel panciotto per porre termine alla questione e dopo magari amici più di prima. Un sistema regolativo delle divergenze efficace e discreto: i duellanti si incontravano in un luogo isolato, senza coinvolgere terzi (salvo i ‘secondi’ e il medico che assistevano) nello scontro.

2) Le relazioni sentimentali erano più semplici e immediate: il gentiluomo notava una fanciulla interessante a una festa, le chiedeva un ballo, dal giorno dopo cominciava a frequentare, con visite di cortesia, casa sua. Alla quarta-quinta visita i familiari si aspettavano una proposta ufficiale perché non è che uno può venire a casa a rompere le palle pretendendo di far conversazione e scroccando colazioni, tè, cene, ad libitum.

3) Sempre a proposito di relazioni, il marito stanco e annoiato di adempiere ai propri doveri coniugali poteva ben accettare la presenza di un accompagnatore per la propria consorte per le occasioni sociali. Spesso trasformato in vero e proprio amante, il cicisbeo in questa veste era accettato purché l’adulterio non si compiesse sotto gli occhi del coniuge.

4) Se una conversazione si faceva troppo accesa, se un argomento finiva per coinvolgere troppo personalmente, se la discussione cominciava a farsi scomoda, il gentiluomo o la gentildonna potevano farsi cogliere da uno svenimento, che il giorno dopo evolveva in febbre cerebrale impedendo di ricevere visite di postulanti e seccatori – gli stessi che erano causa dello svenimento – per giorni.

5) Per inviare delle comunicazioni si utilizzavano dei bigliettini. Che si potevano ignorare senza l’ansia di far venire a conoscenza al mittente di aver visualizzato e non risposto.

6) Le questioni importanti, in molti casi quelle di cuore, si comunicavano con lunghe, prolisse e verbose lettere, alcune della lunghezza di un romanzo. Si potevano utilizzare vaghi e vari giri di parole senza arrivare mai al punto, tanto il destinatario poteva ben dedicarsi alla lettura non avendo altro da fare né esistendo tv, cinema, computer,internet e altri intrattenimenti/distrazioni. La corrispondenza, anzi, era un modo di impiegare e trascorrere il tempo.

7) Fino al 1897 non esistevano juventini.

Mi sembrano tutte valide ragioni per trasferirsi nell’800!

Il Vocaboletano – #7 – Pariare

Uno dei difetti di molti corsi di lingua è quello di essere slegati dal linguaggio corrente. Capita venga insegnata una lingua che esiste sui libri ma che non è utile nella vita quotidiana.

Dato che questo Vocaboletano (compilato da me e crisalide77) è sì old school ma strizza anche l’occhio ai giovani e i giovani alla strizzata d’occhio pensano che ci stia e quindi lo invitano a bere qualcosa ed è sempre cosa buona bere gratis, oggi parleremo del termine pariare, appunto molto in voga tra i giovani.

Pariare vuol dire, in modo generico, divertirsi.

Ci sono almeno quattro diverse sfumature di significato:

  • se vi invitano ad andare a pariare o se vi dicono che in una determinata situazione si parea/c’è pariamiento, vuol dire per l’appunto che ci sarà da divertirsi;
  • se invece vi stanno pariando addosso vi stanno schernendo, si prendono gioco di voi;
  • chi vi sta pariando addosso potrebbe giustificarsi, vedendovi offesi, sostenendo che, in fondo, stava solo pariando: l’affermazione può sembrare tautologica o retorica, ma in questo caso il significato che vuole dare il vostro interlocutore è che stava semplicemente scherzando e non c’era niente di offensivo;
  • pariare con una persona può si voler dire divertirsi insieme a lei, ma può anche stare a indicare una relazione amorosa di poco conto, utilizzata come semplice fonte di intrattenimento.

Ricordo che una volta, ero adolescente, una ragazza volle sottopormi a un test per scoprire se fossi un tipo romantico. Mi chiese “Di solito ti metti con le ragazze con cui parei?”.

Conoscevo il termine pariare nelle prime tre accezioni che ho testé enunciato, ma lo ignoravo riferito alle relazioni sentimentali.

Questa letterata stilnovista era quindi culturalmente più avanti di me: inutile dire che dopo aver chiesto un paio di volte cosa cacchio intendesse lei reputò concluso il test, dicendomi che non ero romantico. Persi quindi forse l’occasione di pariare con costei. Potete immaginare qual rammarico.

Esercizio riassuntivo: tradurre in italiano la seguente espressione
Insieme alla persona con cui pariate, vi invitano in un posto dove si parea. In realtà scoprite che vi stanno pariando addosso, però voi non vi offendete perché in fondo stavano solo pariando.

Etimologia
L’origine del termine è controversa.

Innanzitutto c’è da dire che lo slang giovanile ha improvvidamente storpiato il significato originale della parola, il cui uso era attestato almeno già intorno al 16°/17° secolo. Pariare significava digerire. Il significato attuale si è consolidato soltanto negli ultimi trent’anni nella cultura popolare (o popolana, a volte becera e volgarotta), ricevendo molto slancio grazie ad alcuni sketch comici sulle tv locali durante gli anni ’90.

Non credo i giovani oggi ne conoscano le origini, così come non sono certo che qualcuno possa riuscire a svelare le ragioni di questo salto logico-semantico.

È possibile che l’atto del digerire venga collegato a una sensazione di benessere e leggerezza e, quindi, per estensione, a un rilassamento generale.

La stessa attitudine rilassata con cui chi parea affronta le cose: un po’ svagato, superficiale, il giuovine in cerca di pariamiento è leggero qual piuma al vento.

Dopo i vent’anni, l’uso di questo termine è perseguibile penalmente.


A meno che non abbiate digerito.


Discutere del sesso degli angeli e chiedersi se sia prematrimoniale

Amore e Psiche, Antonio Canova

Ho notato che ovunque tu ti muova, in qualsiasi ambiente, condizione climatica, latitudine, troverai sempre qualcuno disposto a cooptarti. E avviene maggiormente nel caso tu sia un uomo libero.

La Dichiarazione universale dei diritti umani afferma che Tutti gli esseri umani nascono liberi (ONU, 10 dicembre 1948).

Bugia.

Nasci in una famiglia che in qualche modo ti indirizzerà – in buona fede perché non credo una famiglia voglia il male di un figlio (beninteso parliamo di famiglie sane) – o ti fornirà un bagaglio di conoscenze, opinioni, credenze.

È solo in seguito, a mio avviso, che l’individuo si affranca e potrà inseguire la libertà.

Bene, nel momento in cui ti poni come sfera libera che vaga in un modo di tante palline di un colore o di un altro che girano su sé stesse (e quanto girano queste palline!), prima o poi si incontra qualcuno che vorrà portarti nel proprio gruppo di sfere.

Nella vita mi hanno invitato:
– ad andare in una chiesa (più volte)
– a frequentare un gruppo parrocchiale
– a frequentare un circolo politico
– a frequentare la sede di un movimento
– a frequentare un’associazione di cucina etico-bio-vegan-slow-déjeuner sur l’herbe

E tutte le volte mi chiedo perché proprio io e perché si comportino con me come degli assicuratori che vengono a sapere che tu non hai una polizza sulla vita, guardandoti come Wile Coyote guarda Beep Beep.

L’ultima cosa mi è successa ieri, al master: a fine lezione, dopo che il medico di MSF, divagando, ci aveva parlato dell’importanza dell’attività fisica per la salute e la prevenzione di alcune patologie, W. parlando con me mi ha invitato ad andare con lui in palestra. Convintissimo, mi ha detto che può studiarmi un programma d’allenamento su misura.

Va bene che ho il fisico da lanciatore di coriandoli (categoria pesi medi/welter se taglio la barba. Purtroppo il Comitato Olimpico Internazionale non ci ammette ai Giochi), ma non capisco perché avesse tanta voglia di cooptare proprio me.

È simpatico W.
Viene dalla Palestina e mi piace fermarmi a parlare con lui a fine lezione (tranne quando vuol iscrivermi alla palestra). Mi racconta delle differenze culturali esistenti tra i nostri diversi Paesi, come ad esempio la concezione che hanno da lui riguardo le relazioni sentimentali e il sesso. Premesso che in Palestina sono laici, c’è comunque una morale religiosa abbastanza presente. Mi racconta che alle donne lì non interessa stare con tanti uomini, cercano l’uomo della loro vita e uno solo quindi basta loro. E per il sesso c’è il matrimonio.

Che sia condivisibile o meno, è una cultura. E non credo si possa giudicarla stando immersi in un’altra realtà. Chiedersi se alle donne (ma anche agli uomini) interessi realmente una sola persona nella vita per libera scelta personale* o invece per influenza culturale sull’individuo dalla sua nascita sino alla maggiore età, è una discussione oziosa a mio avviso. Come parlare del sesso degli angeli, di cui non si sa niente e infatti sono anni che su youporn cerco “sesso tra angeli” ma non trovo mai nulla di attinente.
*Quando parlo di scelta libera non mi riferisco banalmente alla sola assenza di costrizioni fisiche, ma anche a un pensiero per l’appunto non influenzato da morali, opinioni, credenze esterne. Ma del resto, chi non è influenzato dall’ambiente in cui vive, da ciò che ascolta, legge, impara? Esiste la scelta realmente libera? Se adottiamo un approccio da empiristi radicali, possiamo affermare che tutto il nostro pensiero venga plasmato dall’esperienza sensibile.

Del resto credo che un po’ tutti vorrebbero la persona della loro vita, poi c’è chi la trova e chi ne trova sempre di sbagliate.
Come si fa a sapere quindi quando una persona è quella giusta? Altra domanda inutile.

A proposito di sessi e differenze di impostazioni mentali, vorrei concludere parlando di un fenomeno che sto riscontrando e che mi sembra peculiare tra le donne: il non saper distinguere la destra e la sinistra. Questa mattina ho avuto l’ultima prova, dopo essermi imbattuto in diversi casi simili. Sono tornato giù a Napoli tramite Blablacar (che da quando lo sto utilizzando rappresenta la svolta definitiva) e la conducente, una ragazza simpatica ma un po’ svampita (difatti era una nanerottola, ciò rafforza la tesi che enunciavo qui secondo la quale le nane siano tutte svampite!), aveva difficoltà con la destra e la sinistra e non solo come direzioni: mi ha detto che confonde anche le scarpe quando va a comprarle e deve provarle!

La mia domanda è: il confondere destra e sinistra è una condizione comune tra le donne? Se sì, perché?

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