Non è che un musicista di un libro sia interessato solo alle note

Ho un amico che ha un’attività di ristorazione e, come tutti gli addetti in questo campo, ha il problema ogni tanto delle recensioni fantasiose.

Di recente, una tizia gli ha messo un voto pessimo sul noto portale Trippa Visor. commentando così:

Mi aspettavo di meglio…e le polpette all’interno erano troppo tritate.

Cosa voglia dire non mi è chiaro. Come dovrebbe essere l’interno di una polpetta essendo composta da carne tritata? Forse la tizia si è risentita vedendosi propinare roba trita e ritrita?

La migliore fu un’altra tizia che mise una recensione negativa, senza neanche essere stata cliente del locale: semplicemente lamentava che le fu impedito di pisciare il cane nell’aiuola vicino ai tavoli, perché pare che faccia cattivo odore e a chi mangia non piace l’odore di cane pisciato nell’aiuola.

Costei secondo me aveva ragione: come faceva il mio amico a sapere che il piscio di quel cane puzzava? Certo, l’esperienza suggerisce che il piscio di cane non sia gradevole, ma siamo sicuri che tutti i cani di tutto il mondo facciano cattivo odore se pisciati? O è quello che la scienza vi vuole far credere?

Io comunque ho deciso che non lascerò mai più commenti negativi, a meno che non mi trattino proprio a pesci (o a piscio) in faccia. Magari un piccolo inconveniente o una serata storta possono pesare come un macigno se raccontati (male) in rete. Troppa gente oggi crede di avere una pistola carica in tasca mentre magari ha solo un pistolino al posto del cervello.

Mi è venuto in mente tutto questo discorso sulle recensioni quest’oggi, quando, aggiornando la mia libreria su Anobii, mi sono reso conto di non aver quasi mai recensito i libri che ho letto.

Anche se volessi farlo ora, per quelli letti in passato, non potrei: non ricordo nulla.

Non ricordo i libri che leggo.

Dal 2013 a oggi, da quando ho iniziato a catalogarli, ho letto 125 libri. Per un totale di 44.230 pagine. Più di 11mila pagine all’anno. Per fare un confronto, quando ero all’università se arrivavo a 2000 pagine di studio all’anno era un’annata record.

Non è che quei libri non mi piacessero o non mi interessassero: ricordo di ogni libro le sensazioni che mi dava mentre lo leggevo e il piacere di andare avanti per scoprire come proseguiva. Di alcuni ricordo la delusione una volta arrivato all’ultima pagina: non perché il finale fosse brutto, ma perché il libro era finito.

Forse leggo troppo veloce e non do il tempo al cervello di assimilare: ma neanche è troppo vero. Credo di dare a ogni il libro il giusto tempo: ce ne sono alcuni che per stile e struttura scorrono via veloci, come andare in bicicletta in discesa da un colle. Ce ne sono altri più “densi”, cui mi dedico invece poche pagine alla volta. Ad esempio in queste ultime due settimane ho letto due libri “in discesa”, mentre sono due mesi che mi dedico a Gadda, poche pagine alla volta, perché ha una scrittura più articolata e cimentarvisi per me è come attraversare un lago a nuoto. Il famoso Lago di Gadda.

Per fortuna o purtroppo non frequento circoli letterari e quindi nessuno mi interrogherà sul contenuto di un romanzo. Anche se è frustrante non ricordare particolari di libri anche famosi. A volte mi chiedo se valga la pena leggere cose che poi verranno dimenticate.

D’altro canto credo che, anche inconsciamente, ogni libro letto lasci comunque qualcosa nel lettore.

Può sembrare una conclusione trita e ritrita, ma vi prego non recensitemi male sennò vi piscio nelle aiuole.

“Molto forte, incredibilmente micino” a breve in tutte le migliori librerie

Il festival della canzone italiana dimenticata (o da dimenticare)

Stamattina mi son svegliato con un motivetto in testa che non ricordavo e che risale ad almeno un decennio fa. Il che mi ha fatto ricordare quando, all’epoca, ascoltavo tantissima radio. La ascolto anche oggi, ma da adolescente, soprattutto d’estate, dalla mattina alla sera avevo la radio accesa. Così mi capitava di ascoltare di tutto, comprese canzoni di artisti poi rivelatisi meteore musicali. Ho deciso di mettere insieme un best of dei miei ricordi sonori, scavando nei miei archivi mentali. Eviterò robe tipo Dammi tre parole, troppo sputtanate, no, io ricordo cose che, secondo me, anche i loro autori hanno dimenticato (o hanno voluto dimenticare). Il periodo è sempre inizio anni ’00. Si ringraziano per la collaborazione, la Grande G e Youtube.

Cominciamo con Francesco C, vero giocoliere della metrica, che canta versi impegnati come questi qui

voglio cambiare un miliardo di colori,
così quando mi cerchi poi vediamo se mi trovi,
ho chiuso, per sempre, con la tua nevrosi,
con la gelosia e le tue cazzo di psicosi

Che io sappia, Francesco Cieri (vero nome) non è proprio un Carneade musicale: è stato abbastanza attivo nel panorama underground a inizio anni 2000, ha “fatto il botto” (‘nzomma) con questa hit e poi boh. Ah, credo vada ascritto a lui il merito di aver dato una mano ai Dari (che non posterò qui, c’è un limite all’orripilante) a emergere.

A proposito di giocolieri, chi si ricorda questo


Non esiste manco su Wikipedia! E se non esisti su Wikipedia, beh, che ti devo dire.

Menzione speciale per questo genialoide

Senza parole. A quanto ne so, il buon Bassi si è rifugiato nel basso (non è una battuta) e suona per dei big.

A proposito di telecomando, come non citare gli Otto Ohm

Questi in realtà son bravini e continuano a produrre dischi. Non sono più saliti alla ribalta come all’esordio (ricordo su MTV girava sempre Amore al terzo piano, singolo estratto dal disco d’esordio di cui faceva parte anche Telecomando). Comunque applausi per Cazzo me ne frega della Gruber sull’altare.

Passiamo a Pacifico, per il quale vale lo stesso discorso fatto per gli Otto Ohm. È un cantautore, ancora attivo, versatile (suona vari strumenti) e che conta svariate collaborazioni con artisti italiani. Io però mi ricordo l’esordio con questa canzone

Costoro, invece, non so chi cacchio siano e preferisco non saperlo

Ammetto che la canticchiavo, sarà perché ho sempre avuto il complesso dell’amore platonico.

Questo qui, invece, ha poco di platonico.


Sto ancora ridendo. E vomitando.

Stiamo arrivando in fondo e la bruttezza si fa sentire, pesante. Come non tirare in ballo, allora, questi altri due Genial LLoyd. Ogni commento è superfluo.

Veniamo alla canzone che mi girava in testa stamattina. Non so perché, ma stamattina mi son svegliato con questa frase in loop: Come una vongola…come una vongola…(sarà stata voglia di uno spaghetto con le vongole? Sono incinto?!). Chiedendo lumi a San Google, ho rintracciato questa perla (visto che siamo in tema di bivalvi, ci sta bene); non ho parole per tale bruttezza e non capisco come facesse una radio nazionale a trasmettere (più di una volta!) una tale roba.

Ti muovi come una vongola che sotto il sole si dondola? Quale allucinogeno produce una tale visione? La domanda fondamentale, però, è un’altra. Chi diavolo era Clara? E che fine ha fatto? Lanciamo un messaggio nel mare della rete, partiamo alla ricerca di Clara, vediamo di ripescarla. Magari in mezzo alle vongole.

Nuovi acquisti

In vista dell’arrivo del mio compleanno, ho deciso di regalarmi la nuova edizione di Shaina (Tisifone) messa in commercio da Bandai, in contemporanea col lancio della nuova serie di myth cloth EX. Ho deciso di prendere la versione completa, fornita in più con una statua in resina di Cassios.

L’importatore italiano, però, mi ha fatto un brutto scherzo rovinando la scatola con gli adesivi per italianizzarla, come indicato nella foto

Dal retro, invece, si può notare come la confezione sia originale JAP

Questa è la figura una volta montata e messa in posizione

Non mi sono cimentato a provare altre pose come nelle foto sul manuale, perché ho sempre avuto un rapporto conflittuale con i myth cloth; già riuscire a montare tutta l’armatura è un’impresa, fai pressione per incastrare un pezzo e ne saltano altri due e così via, non parliamo per metterli in posa: dopo innumerevoli cadute e pezzi staccati, una volta trovata una posizione buona li cristallizzo così e non li tocco più, onde evitare altre ore di smadonnamenti.

Anche se debbo dire che per Shaina ci sarebbero stati meno problemi, avendo meno pezzi da incastrarle sul corpo: inoltre, a differenza dei myth del passato, le articolazioni sono state migliorate, il personaggio sta in piedi più facilmente e in maniera più naturale (in passato quando ci provavo a metterli in posizione venivano fuori pose legnose, più che cavalieri sembrava fossero degli impasticcati in discoteca).

Anche il viso ha tratti più delicati (sì, lo so, il viso della sacerdotessa non potrebbe essere mostrato!), più simili all’originale, per non parlare dei capelli, fluenti e con le ciocche ben distinte (ricordo ancora l’effetto casco di banane troppo mature del primo Aiolos, invece…). Il corpo è snello, ben disegnato, forse i fianchi restano ancora poco realistici.

Questo è l’interno della confezione

  

C’è un solo viso, una maschera (quella da tenere in mano) e poi c’è una testa (quella già montata sul personaggio) con la maschera inserita. Ci sono due diademi diversi da montare, ma volendo si possono tenere i capelli sciolti come ho fatto io. La scelta, oltre esteticamente migliore, mi sembrava dettata anche dal fatto che il set di capelli che dovrebbe reggere il diadema sembrava poco convinto di restare fermo incastrato in testa. Rimanendo fedeli al manga, c’è un pezzo di armatura che copre anche la zona inguinale, mentre nell’anime è assente.

La cosa che mi ha suscitato ilarità è che la versione senza armatura (che sarebbe così) ha un paio di spalline di metallo (nella finzione, quelle della figura son di plastica) incastrate nelle spalle. Per rimuoverle e inserire invece i coprispalla metallici, bisogna in pratica levare le tette a Shaina (ecco spiegato perché nella confezione c’è un set di tette supplementare: è quello senza spalline).

Su Cassios poco da dire, è una figura in resina in due blocchi separati (da incastrare all’altezza della vita) che per collezionismo fa la sua figura.

Bakemonogatari

Hitagi Senjōgahara, ricettatrice di materiale da cancelleria

Ho da poco visto quest’anime che, in realtà, non è proprio recentissimo: Bakemonogatari (per la trama e altre info, leggere qui perché non mi ci soffermerò). Si tratta di uno dei pochi anime ad avere una caratteristica particolare: i motivi che lo fanno piacere sono gli stessi che possono spingere una persona ad odiarlo. Andiamo con ordine: che genere è? Un harem, potrebbe essere la risposta più semplice e banale. In fondo abbiamo un protagonista maschile (Koyomi Araragi) e 5 ragazze (Senjōgahara, Hachikuji, Kanbaru, Sengoku e Hanekawa): ad ognuna di esse è dedicato un arco narrativo di 2-3 episodi. Ritroviamo, inoltre, anche i classici cliché dei personaggi, c’è la tsundere, quella col complesso della sorellina (oniiichan!), il maschiaccio, l’occhialuta e così via.

Ben presto, però, lo spettatore si accorgerà quanto ci sia di parodistico in questi stereotipi e nelle situazioni che si vengono a creare, perché l’intento del creatore (Nisio Isin, che ha scritto la light novel da cui è tratto l’anime) non è creare la commediola/harem fine a sé stessa ma un’opera più articolata, seppur non originalissima.

Tanto per cominciare, smontiamo l’harem, perché fin dall’inizio avremo ben chiaro che c’è una storia sentimentale che vedremo nascere e costruirsi per tutta la serie, di pari passo con una certa crescita personale dei due protagonisti. Smontiamo anche il puro intento comico, visto che non possiamo tralasciare l’elemento soprannaturale e lo splatter che, in maniera crudele, interviene nelle vite dei nostri personaggi.

Già a questo punto potremmo fermarci, perché può attirare un’opera così così come può spingere a cercare altro; ma non è finita qui, perché non ho ancora parlato dello stile dell’animazione. Innanzitutto, al di fuori dei personaggi, il resto del mondo è scarno, opaco, appena delineato o costruito in computer graphic a far da contorno come uno sfondo teatrale (è molto rara, infatti, l’interazione col mondo circostante. Sembra di essere in uno di quei videogiochi dove il massimo che puoi fare è rompere un lampione o lanciare una lattina). Il punto più alto (o più basso) lo si raggiunge con l’episodio 3, quasi interamente ambientato in questo parco giochi:

Parco pubblico disegnato da Calatrava

È tutto qui: poche forme, in quello che sembra un immenso spazio bianco vuoto (il condominio alle spalle, appena delineato, sembra lì lì per dissolversi), quasi una dimensione/prigione a parte; in effetti, considerando quella che sarà la soluzione dell’arco, l’idea di essere in trappola non è sbagliata. Non preoccupatevi, l’anime non è tutto così, ci sono anche più colori.

Se questo non è abbastanza, introduciamo la seconda scelta stilistica: cioè quella di inserire, a mò di messaggio subliminale, nel corso delle puntate (spesso quando i personaggi parlano tra di loro) delle schermate con parole o frasi, che durano il tempo di un attimo: per leggerli bisogna mettere in pausa la riproduzione, ma considerando che sono tantissimo nei soli 20 minuti di un episodio, dopo un po’ vi scoccerete. Qua e là, al posto dei messaggi subliminali ci saranno delle immagini prese dalla vita reale, strade, mani umane e così via, in una sorta di rottura della finzione scenica: il massimo del metateatro si raggiungerà nel finale della serie, quando Senjogahara dirà che la sua doppiatrice è bravissima, tale da imitare la voce di Koyomi.

Terza nota stilistica: le inquadrature, che cambiano con frequenza tale da far venire il ma di testa, diventando sempre più improbabili e ardite.

Ecco, se tutto questo non vi fa vomitare, allora vi farà piacere seguire l’anime, facendovelo godere cogliendone tutte le sfumature. I dialoghi non sono mai banali (forse con le altre protagoniste sì, di sicuro non quelli della love story principale), a tratti diventano surreali come se fossero usciti da una scena di Beckett o dei fratelli Marx; il fatto che la fonte da cui è tratto l’anime sia una novel e non un manga chiarisce perfettamente lo spessore del livello comunicativo dei personaggi.

Torniamo al problema principale, cioè che cos’è Bakemonogatari? È azione, sovrannaturale, sentimentale, umoristico, parodistico, autoironico e compiaciuto di sé fino al limite del nauseante. Però tutto l’insieme dei singoli ingredienti lo rende un piatto interessante, da provare.

Ultima nota di colore: Koyomi è caratterizzato da un ciuffo di capelli ribelli in testa che pare godere di vita propria, basta far caso a quando assume la forma di punto interrogativo in situazioni di dubbio o sorpresa.

Qua il ciuffo si alza a mò di punto esclamativo, ma non si capisce perché

Cavacon: ci rivediamo tra 10 anni

Ieri pomeriggio sono andato a Cava de’ Tirreni al Cavacon; in realtà era solo per il concerto dei Versailles la sera stessa, però uno approfitta e dà un’occhiata alla manifestazione. Ecco, un’occhiata bastava e avanzava, tanto per ciò che c’era da vedere: 3 stand in croce, due-tre di action figure, un paio di manga (tra l’altro neanche fornitissimi) e poi 3-4 stand che vendevano chincaglierie (anellini, orecchini) che parevano giusto lì per riempire. Per 5 euro mi pare un po’ troppo, considerando che una volta che sei stato lì mezz’oretta (volendo essere larghi) non c’era più niente da fare. Oltretutto stavi sotto al sole, ho visto spalle bruciate, persone che da yankees sono passate a pellerossa, lolite con la tetta due gusti fragola e panna: fino a metà seno rossa, poi avanti bianco latte (non sono io il maniaco, mi passa davanti la gente conciata così).

Certo, se gli stand sono pochi la colpa non è degli organizzatori ma degli espositori che non vengono, una manifestazione cresce col tempo, il Comicon magari anch’esso agli inizi era poca roba (ipotizzo). Pertanto, casomai ci fosse l’occasione, a Cava ci si rivede tra 10 anni (sempre che sopravviva, mi chiedo ad esempio se siano rientrati con le spese). A me sinceramente ha fatto tristezza e desolazione, tant’è che non ho nemmeno comprato nulla (io ad ogni fiera, da buon nerd, DEVO portarmi qualcosa a casa).

Riguardo il concerto, i Versailles sono stati fantastici e molto disponibili, si lasciavano anche toccare dal pubblico (qualcuna del pubblico penso volesse portarseli a casa visto come li tirava), da come parlava lo staff agli inizi del concerto pareva fossero divi assoluti scorbutici che se ne stanno distanti dal pubblico e se vedono una cosa sbagliata prendono e se ne vanno. Certo, non si potevano fare foto, c’era un tizio del loro staff che ogni tanto buttava uno sguardo e se ti vedeva con la macchinetta ti diceva di toglierla di mezzo.

Io comunque una foto col cellulare l’ho rubata, e che cacchio

Gli organizzatori invece sono stati pessimi, non riesco a credere che non si riescano a gestire 200 persone (più o meno): le si lasciano accalcare alle transenne prima di entrare e poi, dopo 3 ore di attesa, si pretende che se ne stiano indietro una volta che le transenne sono state tolte. Va bene che la gente deve avere buon senso e se uno ti dice “State indietro sennò non si comincia a suonare” tu devi farlo, ma chi organizza un concerto non si affida mica al buon senso delle persone (soprattutto se sono state ad aspettare ore). Non si mettono le transenne orizzontali in modo da far creare una calca che poi travolge le persone, le transenne si mettono a zig-zag in modo da creare una fila incolonnata e che non possa fare pressione in un solo punto e non creare un effetto imbuto. In questo modo, quando è l’ora di far entrare le persone, si passa uno alla volta e gli addetti possono anche controllare chi ha il biglietto (o il braccialetto, come in questo caso). Io ho visto scene assurde, persone dello staff che cercavano di placcare la gente per controllarla, da una parte è colpa dell’isterismo di certe giappominchia poser-loli, ma dall’altra chi ha gestito l’evento non doveva mettersi in questa situazione.

Recensione: Taverna dei Goti

Ieri per Pasquetta siamo andati a Sant’Agata de’ Goti (BN) e abbiamo mangiato al ristorante “Taverna dei Goti”. Quello che segue è un breve commento sul ristorante ed il cibo.

Ordiniamo un menù fisso 20 euro (bevande escluse); si comincia con un antipasto, arrivano

– un piatto con un’oliva a testa (eravamo in 8 ) e delle bruschette con sopra una salsa che pareva pizzaiola;

– un piatto con due tipi di bruschette: alici marinate oppure una crema con dentro pezzi di tonno (io non ho toccato né l’una né l’altra perché non mi piacciono);

– un piatto con: carote sott’olio, pomodori secchi, funghi sott’olio, salsiccia sott’olio, insalata russa, uova sode e fette di rustico.

Il tutto però sempre da dividere per 8 persone, il che rendeva un solo piatto non molto sufficiente per tutti: fortuna che non a tutti piacessero tutte le cose nel piatto quindi le razioni si compensavano. L’antipasto comunque finisce qui: niente affettati o formaggi, per essere un antipasto misto era un po’ poco.

Primi – C’era scelta tra due tipi di primo: scialatielli alla normanna (legumi e salsiccia) e gnocchi ai funghi. Io prendo questi ultimi, si presentano in questo modo: gnocchi con salsa (molto ristretta), funghi e per legare il tutto dentro sembrava ci fosse formaggio sciolto. La ricetta mi piaceva, gli gnocchi un po’ meno: non erano fatti in casa ma quelli economici comprati, inoltre erano inzuppati d’olio; finito di mangiare, nel tegamino rimane un dito d’olio sul fondo. Male.

Secondi – Prendiamo tutti una salsiccia alla brace: due persone una salsiccia normale, gli altri 6 salsiccia di cinghiale. Nel piatto, come contorno, c’era un misto di patate e zucchine e melenzane fritte. Le porzioni però non erano fatte in modo uguale, a chi capitavano più patate e due pezzetti del resto, a chi tutte zucchine e una patata ecc.  Senza contare che erano anche fredde. Una salsiccia di maiale arriva mezza cruda. La salsiccia di cinghiale invece era buona.

Come dolce, una mousse al caffé. Buona, però era ghiacciata, doveva essere fatta sciogliere un po’.

Totale: 22 euro e 50 a persona (contando di aver preso anche 3 bottiglie d’acqua ed una brocca di vino).

Il servizio lasciava un po’ a desiderare: c’erano un ragazzo ed una ragazza a servire, la prima arriva e ci poggia a tavola un bloc notes, dicendoci di segnare le ordinazioni. Non mi pare molto professionale, poi comunque ci ha pensato il ragazzo a raccoglierle. Inoltre, invece di passare a cambiare le posate, ti mettevano a tavola tutte assieme forchette e coltelli, senza manco controllare dove servissero. Conseguenza, ad un certo punto ognuno di noi aveva tre forchette a testa. L’acqua arrivava nelle bottiglie di plastica (non ricordo di averlo mai visto in un ristorante). La tovaglia di carta non sembrava molto pulita.

Ambiente: 5 – molto rustico, forse troppo

Cibo: 6 – a parte gli gnocchi, il resto era buono. Antipasti insufficienti per 8 persone.

Servizio: 4 – da rivedere

Prezzo: 6 – per quello che si è mangiato non è caro, comunque

Non sono poi tanto buono/3

Venerdì mi arriva un pacco da Hong Kong con delle cose che avevo comprato dall’estero, da Yesstyle. Avevo già pagato la merce, ovviamente; il corriere mi consegna il pacco, mi fa firmare e va via. Non mi chiede i soldi della dogana.

Allegata alla busta del pacco c’è questa che a me sembra a tutti gli effetti una bolla doganale

Io da quello che vedo ci sarebbero 13,92 euro di dogana da pagare. Già ha sbagliato il corriere allora a non chiedermi i soldi e darmi la merce, non avrebbe potuto farlo. Il meglio viene oggi: mi chiama la filiale locale di TNT dicendomi che ci sarebbero 32 euro e spiccioli da pagare per oneri doganali e sarebbe passato il corriere a ritirarli. Io cerco di informarmi, provo a richiamare la filiale e o suona a vuoto o suona staccato. Compilo il modulo online sul sito TNT per descrivere i miei dubbi e dopo un po’ mi richiama la TNT ed una tizia mi dice che la differenza tra 32 e 13 sono soldi dovuti alla TNT.

Non contento io chiamo anche al numero telefonico (che si paga, tra l’altro), mi tocca farlo 3 volte: prima cade la linea mentre sto parlando, poi un operatore mi dice di chiamare la filiale (ma suona staccato) alla terza volta riesco a descrivere il problema ma l’operatrice è una vera STRONZA. Fa la saccente “ma lei lo sa che c’è la dogana, lei acquista dall’estero, non so come spiegarglielo – gne gne gne – si suppone che uno che acquista all’estero sappia che si devono pagare le tasse doganali” poi le dico del foglio che ho in mano ma non mi crede e, soprattutto, le dico che la differenza tra i 13 euro e i 32 sono soldi della TNT e la stronza dice “no, sono soldi della dogana, si lamenti con la dogana”.

Qui qualcuno dice stronzate, cara stronzetta, visto che la tua collega mi aveva detto altro. E cercando su internet ho scoperto che sulle spedizioni extra UE TNT si prende fissi 18,59 euro di commissione.

TNT DA EVITARE

Comunque morale della favola se non pago ce li mette il fattorino, perché non avrebbe dovuto darmi il pacco senza i soldi. E la stronzetta tutta indisponente “e se non paga ce li mette il fattorino, allora”. Ma vaffanculo, perché dovrebbe rimetterci lui? Io non credo sia stato il fattorino a fare il furbo o scordarsi di chiedere i soldi, visto che poi corre il rischio di rimetterci.

Secondo me fanno i furbi, perché all’atto della consegna del pacco io, informato dell’entità dei costi aggiuntivi, potrei anche rifiutare il pacco  (e se lo pigliano in saccoccia perché non pago).

E comunque nei call center, in generale, ci sono delle vere stronze (e questo giudizio non mi rende tanto buono, da qui il titolo). Un giorno debbo raccontare di quella del 187 che, mentre aspettavo risposte, parlava con le altre del fatto che il marito non vuole il pollo perché dice che fa crescere le tette. Troppi ormoni, si diventa femminielli (parole sue).

Shiki

Apro qui un altro piccolo spazio che vorrei dedicare, con cadenza assolutamente sporadica, a commenti su anime che ho visto recentemente. Ho deciso di partire con Shiki, serie Horror/Mistero di 22 episodi, tratta da un’opera di Fuyumi Ono.

L’anime per me rappresenta sicuramente una novità interessante del 2010, se non altro perché vediamo dei cosiddetti vampiri impegnati a fare il loro mestiere, cioè uccidere cavando sangue dalle vittime.  Non c’è niente di affascinante, niente amori tormentati, niente figosità per bimbeminkia,  insomma twilightate che hanno reso ridicolo un genere.
Dentro quest’opera invece è tutto tragico e decadente: la storia stessa che procede lentamente è decadente, tanto che sembra si avvii verso un lento spegnersi tragico (tragico per gli umani, ovviamente). Poi a metà serie comincia la svolta e comincia il climax verso la seconda tragedia, stavolta invece portata avanti dagli umani. Nel finale c’è il capovolgimento dei ruoli, non ci sono vincitori o vinti, le vittime sono diventate carnefici, travolti dalla furia per la caccia alle streghe. I carnefici finiscono invece per rivelarci un lato umano: paura di morire, voglia di sopravvivere.

L’inizio della storia, ad essere sinceri, non è originalissimo: ci troviamo nel classico villaggio isolato e dimenticato dalla civiltà dei consumi,  dove tutti si conoscono e guardano con sospetto i forestieri, con una famiglia misteriosa che si trasferisce  proprio in quel luogo. Da lì a poco, ovviamente, ci sarà gente che inizia a morire. A questo punto rimango però colpito dalla stupidità degli abitanti, che proprio per le caratteristiche descritte dovrebbero iniziare ad annusare che ci sia qualcosa di strano, mentre invece non hanno reazioni, commentano di rado l’incremento dei morti, deridono chi  prova ad accennare a cause soprannaturali. Per metà serie di eclatante sembra succedere ben poco (e ci può essere la tentazione di mollare qui la visione), poi dal 15esimo episodio cominciano i colpi di scena,  ne avremo quasi uno ad episodio.

Il dottor Toshio Ozaki

I personaggi, dal punto di vista grafico, li classificherei in due categorie: protagonisti e semplici comparse. Questi ultimi sono disegnati con tratti più vicini alla realtà, rughe, facce tirate eccetera. Insomma, dimostrano l’età che hanno o anche più. I protagonisti invece sono del classico tipo “10 anni più giovane” (o anche più giovane). Per non parlare delle loro capigliature, il dottor Ozaki (che dovrebbe avere 32 anni ma sembra averne 15) sembra un allenatore di Digimon e tra l’altro è il più normale lì in mezzo, roba che Lady Gaga passerebbe inosservata. Questa scelta stilistica sui personaggi non l’ho ben compresa; nel senso che non sembra in linea con un’opera di questo genere (li vedrei bene in Paradise Kiss), ma probabilmente è proprio tale contrasto (che, ripeto, può piacere o non piacere) a rendere l’opera più originale.

Nel complesso è un’opera da vedere, di certo non un capolavoro e di sicuro non il meglio offerto dal 2010, ma un suo spazio di fama merita di acquisirlo.

Segnalo inoltre la prima Opening (la seconda mi ha lasciato indifferente):

EDIT: ho rilasciato un commento simile sul forum di Jigoku, son sempre io, non ho copiato 😀