Ho incontrato una persona che non vedevo da anni e che ricordavo come persona brutta e antipatica. La bruttezza non la intendo riferita all’aspetto esteriore ma proprio alla personalità.
Si sa che la mente può portare su percorsi fuorvianti e adattare anche i ricordi, facendo apparire più bello ciò che così bello non era e più brutto ciò che così brutto non era. Essendo io uno che plasma di continuo il proprio passato come l’esperto in materia mi ha insegnato*, mi capita spesso di interrogarmi su quanto le mie convinzioni odierne su eventi e persone di tempi trascorsi siano aderenti alla realtà.
Una delle specialiste più note e riconosciute al mondo, storia vera, è la Dottoressa Elizabeth F. Loftus, psicologa esperta nella memoria e sui meccanismi che la regolano. I suoi studi hanno dimostrato che eventi, idee, condizionamenti e qualsiasi altro intervento successivo alla data del nostro ricordo possono modificare quest’ultimo convincendoci che siano vere cose che non lo sono affatto.
Orbene, i miei ricordi di un tempo possono quindi essere fallaci, ma la mia capacità di plasmare il passato ha fatto sì che oggi questa persona si presentasse brutta e antipatica così come io credevo di ricordare.
Vorrei quindi lanciare una speranza a tutti coloro che hanno dubbi e ripensamenti sui propri trascorsi: impegnatevi a fondo perché potete renderli anche peggio di come ricordavate, in barba a tutti i tuttologi fessoscopici di questo mondo.
Mi hanno chiesto se fosse vero che a Napoli la circolazione stradale fosse un po’ borderline.
Ho risposto con una battuta arcinota, cioè che da noi il semaforo rosso non è un divieto ma un consiglio.
Qualche giorno fa guardavo uno spettacolo di Trevor Noah – comico sudafricano e conduttore del Daily Show -, e l’ho visto utilizzare la medesima battuta. Parlando delle differenze tra Stati Uniti e Africa ha detto “I semafori africani sono più un consiglio che un obbligo. Non dicono Stop!. È più uno Stop?“.
Lo spettacolo da cui è tratto è Afraid of the Dark, disponibile su Netflix.
È stato divertente trovare questa corrispondenza. Mi incuriosiscono sempre certi schemi comuni tra posti e realtà lontane.
In Giappone ad esempio smontano i templi e li rimontano da capo per le operazioni di manutenzione. Tu sei lì il giorno prima che saluti come sempre la volpe sacra fuori al tempio e il giorno dopo è sparita e cerchi invano il grappolo d’uva.
Anche in Italia facciamo così. Siamo però più furbi: lasciamo che terremoti e incuria facciano il lavoro sporco di buttar giù le cose per poterle poi ricostruire meglio.
È probabile che questa cosa che ho scritto non faccia ridere. In verità non deve: è un dato di fatto. Magari un dato estremizzato, perché come diceva l’agente della forestale “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce” e quindi una cosa negativa silenzia le altre positive che sono in circolazione.
Resta comunque la realtà.
La cosa dei semafori napoletani mi fa ridere perché non è la realtà.
Non ho mai visto qualcuno passare col rosso, perché saremo anche ladri truffatori bugiardi e sozzi e poco avvezzi alle regole ma non siamo delle pornostar.
Senza contare che attraversare col rosso può esporre a casi di morte e non tutti sono avvezzi ad assumere morte.
Quel che è vero invece è che il giallo invece di un invito a rallentare è un incitamento: Fai presto che sennò scatta il rosso!.
Dovrebbero far più battute sul giallo.
Sul tema di cose che fanno/non fanno/dovrebbero/non dovrebbero far ridere sento spesso molta confusione intorno la satira, anche in virtù di avvenimenti di stretta attualità.
Credo che per definir un qualcosa come satira si debba tener presente una regola fondamentale: deve essere contra potentes. La satira agisce dal basso verso l’alto, non viceversa. Altrimenti è bullismo, è soverchierìa. È quello che fanno decine di pagine facebook ai danni di categorie più deboli credendosi spiritosi.
L’altra connotazione della satira è che non deve necessariamente far ridere. Per farsi due risate spontanee basta l’uomo che entra in un caffè e fa Splash!. La satira dovrebbe invece far dire “Cavolo, è vero” prima che “Ah ah ah” (o “Oh oh oh” se siete Babbo Natale).
Purtroppo trovo che sia un discorso per pochi.
Se da una parte tutti ormai si sentono in diritto di offendersi e indignarsi – ho visto gente alterarsi per delle battute su Trump e Clinton. In Italia. Le persone si offendono, in Italia, per due politici (quindi potentes) d’oltreoceano – dall’altra lato tutti si sentono in diritto di offendere gli altri perché sennò si è accusati di esser tristi e buonisti.
A volte ho degli incubi riguardanti un futuro distopico, tra 20-30 anni, pensando a una generazione che studierà sui libri di Diego Fusaro, avrà fatto tornare in circolazione il tifo e il vaiolo, sceglierà il Presidente del Consiglio con un contest televisivo gestito da Favij e l’ologramma di Maria de Filippi e avrà come obbligo possedere la tessera di Sesso Droga e Pastorizia, pena il pubblico ludibrio.
Sono uscito di casa questa mattina mentre il cielo sputacchiava pioggia congelata. Gocce che solidificavano e venivano giù fitte.
Una si è insinuata verso la mia schiena attraverso ombrello, giaccone e scaldacollo togliendomi 5 anni di vita e aggiungendone altri al periodo nell’Inferno che dovrò trascorrere nel Girone dei violenti contro la Divinità.
Mi ero alzato presto per andare all’ufficio postale, appena avrebbe aperto, a ritirare una raccomandata. La rassegnazione dominava su di me come una mistress.
Avevo lasciato detto in ufficio che avrei fatto tardi, non quantificando un orario. Ho dato istruzioni a CR per far avvisare i miei genitori nel caso non avessi fatto ritorno. Si sa che negli uffici postali si entra e non si sa quando se ne esce.
Ero pronto al peggio, mi aspettavo non sarebbe stata facile.
Magari l’avviso di giacenza non aveva il codice della raccomandata scritto in modo chiaro, magari l’avevano persa, magari non sarebbe bastata la carta d’identità e avrebbero chiesto il passaporto, l’estratto conto in banca oppure mi avrebbero fatto togliere la maglia e in quel momento avrei avuto la lanetta nell’ombelico.
Magari qualsiasi cosa.
Invece ne sono uscito cinque minuti dopo.
Io, la mia raccomandata, e la mia lanugine ombelicale che, seppur fossi lavato e vestito da mezz’ora o poco più, sicuramente nel frattempo si era già formata dalla maglietta.
Non me l’aspettavo.
Del resto, ho una tecnica inconscia di modifica del futuro basata sul pessimismo.
Qualche sprovveduto la definirebbe ansia. In realtà è una filosofia di vita. Consiste nel visualizzare gli scenari peggiori affinché non si verifichino e nel ricevere quindi un grado di soddisfazione elevato nel momento in cui gli eventi volgono invece in positivo.
Perché è noto che D= A-R, dove D sta per Delusione, A per aspettative e R per realtà. Se D è negativo ne consegue che la realtà è migliore di quanto ci aspettassimo.
Affinché la tecnica funzioni, è necessario che il pessimismo sia sincero.
Non funziona visualizzare di proposito che le cose vadano male. Il pessimismo spontaneo si sviluppa solo con lunga e costante dedizione, attività degna di un asceta.
L’importante è lavarsi, perché sennò poi puzza l’asceta.
E avrà tanta lana nell’ombelico.
Noi come persone siamo la somma delle nostre esperienze.
Ogni tanto, però, qualche sottrazione non farebbe male. Lasciamo perdere le divisioni perché ho sempre qualche problema col resto: ciò che resta dopo un’esperienza non corrisponde mai al risultato atteso.
Atteniamoci all’eliminare qualche tassello, rimuovere qualche vecchia traccia sul nastro della memoria.
Oppure anche cancellare sequenze oniriche notturne che durante il giorno si ripropongono come il sapore dei peperoni.
Durante questa settimana per tre notti di fila ho fatto tre sogni particolari, dal contenuto indiano: con-turbante.
Notte 1: ero con la ex, che per descriverla meglio caratterialmente invito a immaginarla come Monica di Friends.
Qualcuno potrebbe dire: “Ah, Monica! Era simpatica!”.
No, Monica non era simpatica. Era petulante, pignola e competitiva. Una donna odiosa.
Io ero simpaticamente affezionato a Phoebe, perché era fricchettona e svampita.
Nel sogno, stavamo litigando.
Ciò è perfettamente aderente a quella che è stata la realtà durante i mesi passati insieme: immaginate di svegliarvi ogni mattina e volervi fare il segno della croce per prepararvi alla prossima possibile tragedia che potrebbe verificarsi durante la giornata, ma essendo passato troppo tempo dall’ultima volta che vi siete fatti il segno della croce non riuscite a far di meglio che grattarvi il sedere sperando che sia un gesto apotropaico.
Conscio dei miei problemi religiosi forse come donna dovrei cercarmi una Miss-credente.
A un certo punto il litigio si placa: lei mi salta addosso, io le metto le mani dove capita e cominciamo a fare quello che facciamo un po’ tutti e che lasciamo regolamentare a uomini che fanno voto di non farlo perché troppo occupati a comprare attici.
Nel compiere tali atti, nella mia mente – la mente del sogno: ma se il sogno è un prodotto della mente, la mente nel sogno è un prodotto del sogno o della mente che sogna la mente? – pensavo che il tutto fosse profondamente sbagliato: ci stavamo giusto insultando poco prima! Eppure siamo andati avanti senza smettere.
Il rammentare tale sogno mi ha profondamente turbato durante la giornata.
Notte 2: Sogno di tornare a casa e trovare nella stanza da letto dei miei genitori la badante dei miei nonni, quella che è fissata col mio sgnakku e mi tende gli agguati.
Non è una metafora oscena: è appassionata di astrologia e in ucraino “segno” si dice “znak” o qualcosa di simile.
L’unica differenza è che aveva le sembianze di Sharon Stone. Non quella attuale, diciamo versione Basic Instinct.
Com’è come non è si finisce a fare le cose già accennate in precedenza.
Il sogno non mi ha turbato ma mi ha lasciato un interrogativo: perché Sharon Stone?
Notte 3: Sto passeggiando con la ex al quadrato (ex ex). E sto pensando (sempre nella mente del sogno) che sia proprio una fortunata combinazione averla incontrata. “Peccato che sia impegnata”, penso.
Poi ho un’illuminazione: lei crede di essere impegnata, in realtà è single ma non lo sa. Per rispetto, però, non glielo farò notare e aspetterò che lo capisca da sola.
Nel frattempo, camminando camminando arriviamo in un supermercato: perché non entrare? È un magnifico posto dove passare il tempo!
A un certo punto tra uno scaffale di sottoli e sottaciuti (perché non nominati) lei dice qualcosa che suona profondamente acido: io ne rimango scosso, chiedendomi quand’è che fosse diventata così sprezzante. Mi allontano, offeso. Poi ci rifletto su e mi dico che una volta tanto non devo rovinare tutto, smettendola di essere permaloso.
Questo sogno mi ha turbato perché non so cosa sia successo dopo.
E anche questo post mi turba perché non so come concluderlo.
Voi non vi sentite mai turbati dai sogni, ammesso che li ricordiate al mattino e non li dimentichiate perché spesso appena suona la sveglia saltate giù dal letto come soldati e ciò equivale a un azzeramento della memoria da quel momento in poi?
Ma cosa c'è dentro un libro? Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto. (Bruno Munari)
Come quelle coperte, formate da tante pezze colorate, cucite insieme tra loro.
Tessuti diversi, di colore e materiale eterogeneo, uniti in un unico risultato finale: la coperta.
Così il mio blog, fatto di tanti aspetti della vita quotidiana, sempre la mia.