L’estate stava ripiegando su se stessa come una foglia caduta che cede controvoglia vitalità, accartocciandosi come in preda alla vergogna. I tramonti si avvicinavano sempre di più, rendendo brevi le giornate di alcuni, lunghe le nottate di altri. Io ero uno di quelli che usciva per andare incontro alla sera, salutando amichevolmente il crepuscolo che alzava finalmente la serranda per accogliere noi sbandati.
Era uno di quei giorni, quando camminavo a capo chino per le vie del centro, contando i cubetti di porfido sotto le scarpe; per strada tante facce di persone che raccontavano il nulla, il vuoto nei loro sguardi che descrive la pochezza di una società che ci riduce a manichini ambulanti, su e giù per inseguire sempre gli stessi pensieri: la casa, il lavoro, il lavoro per pagare la casa, il marito, la moglie, il lavoro per pagare gli alimenti alla moglie, il marito che tradisce la moglie al lavoro, il cane, il piscio del cane, il vicino che si lamenta del piscio del cane, i figli, i figli che si picchiano a scuola, la scuola che…no, basta. Quando sono in mezzo a questi gusci vuoti sto male. Eppure senza di essi non potrei descrivere me stesso, per assurdo sono loro a tenermi in piedi per quel che sono. La libertà dalla grigia normalità ha un prezzo, e questo prezzo è proprio l’invidia per la rassicurante grigia normalità.
Avevo oltrepassato il tabaccaio da un pò, distratto da queste ed altre considerazioni: faccio per girarmi per tornare indietro, e la mia faccia s’incontra – o meglio, si scontra – con quella che ad occhio pareva una terza coppa C.
«Ma che diavolo! Ma perché non guarda dove va? É modo di muoversi per strada?»
Senza badarci molto tiro dritto, biasciando un «…mi scusi…» stirato. In altri tempi avrei approfittato dell’incidente per cercare di intavolare una conversazione che potesse concludersi in posizione orizzontale, ma ero troppo stanco e svogliato.
Mi sento tirare per il braccio.
«Ma…É lei?…Si, é proprio lei!»
«No signora, guardi, non credo…» e non mi fa terminare la frase.
«Si si, é proprio lei!»
«No, forse lei si confonde…» e non riesco a terminare la frase neanche stavolta.
«Aaah, si figuri, capisco che un serio professionista come lei preferisca l’anonimato, ma qui per strada solo io e lei sappiamo come stanno le cose! Venga, andiamo in posto più tranquillo! »
Perfetto, mi mancava da un pò incontrare una matta. Chissà per chi mi avrà preso, un divo della televisione, forse. No, impossibile, ha detto che sono un serio professionista. Mah, può scapparci qualcosa di interessante. Al limite scroccherò un bicchiere.
Mi introduce in uno pseudo fast food; una nuvola d’aria satura di olio fritto, grassi e colesterolo mi accoglie appena apro la porta. Un ragazzo con un cappellino rosso con su il logo del locale riordina i portatovaglioli sui tavolini lungo il lato sinistro del locale. Sul lato opposto tre ragazzini seduti su sgabelli metallici mangiano patate fritte e sghignazzano. Uno fa cadere una patatina per terra.
Ci sediamo ed io ordino una birra. Per lei niente.
«Mi deve scusare per prima, sa, so che nel vostro mestiere la riservatezza è essenziale…»
Per chi mi avrà scambiato? Un gigolò? La cosa si fa interessante.
«…non sa che piacere mi fa incontrarla, avevo proprio bisogno di uno come lei, della sua mano "artistica"…»
Un imbianchino? Un pittore?
«…sa, è passato tanto tempo dall’ultima volta, non sapevo come trovare un modo per ricontattarla…io ho di nuovo quel problema seccante con un marito…»
Uno spacciatore di viagra?
«…quando mi sono risposata sapevo che sarebbe arrivato questo momento, non volevo ammetterlo, ma era troppo pensare di poter resistere tanto tempo prima di mettere mano ai suoi soldi…»
Un avvocato?…Basta, ci rinuncio.
«Ora che poi ha scoperto le mie piccole scappatelle mi sta facendo minacce di ogni tipo, mi anche bloccato le carte di credito! Meno male che sono una previdente e ho un conto segreto, altrimenti ora sarei in mezzo ad una strada!…E non potrei nemmeno permettermi il suo aiuto…»
La conversazione si interrompe all’arrivo del ragazzo con la mia birra. Ringrazio. Per la birra e perchè l’ha fatta tacere.
Mentre sorseggio alzo gli occhi per scrutarla meglio. Rimane in silenzio, un accenno di turbamento sembra incresparle il volto. Pare che l’adrenalina messa in circolo dall’incontro con me, il suo uomo della provvidenza, stia scemando. Gioca con un mazzo di chiavi.
Avrà al massimo 35 anni; abbastanza piacente, labbra sottili ma ben rifinite. Intravedo il tocco di un chirurgo (mi avrà scambiato per il suo chirurgo?…). Il setto nasale sembra che le prema sul viso. Per compensazione, gli zigomi sembrano gonfiarsi in fuori. Ma il tutto senza eccedere, non pare una bambola di plastica.
A parte per le tette.
Rimaniamo in silenzio per qualche molto lungo istante, poi prende la borsa, estra il portamonete, e tira fuori una fotografia. La fa scivolare verso di me con due dita.
«Ecco, è lui.» afferma indicando con lo sguardo.
Il marito, presumo. Bell’uomo. Sulla cinquantina.
«.Voglio un lavoro ben fatto, come l’ultima volta. Non si deve sospettare nulla, ma d’altronde non ho bisogno di dirle questo. Lei è una persona seria.»
La mia fantasia comincia a lavorare a tutto spiano. Credo di intuire quale sia il mio tocco artistico, quello di cui ha bisogna la donna che ho di fronte. Ma mi sembra del tutto assurdo, forse non reggo più la birra, ecco, questo sarebbe ancora più assurdo però.
Apre di nuovo la borsa. Prende qualcosa, ma stringe il pugno e non intravedo cosa. L’altra mano corre a tirare la mia, la apre e dopo averci posato la cosa che stringeva nel pugno, me la richiude. sento un fruscìo di carta.
«Questi sono gli unici che ho al momento…credo bastino come anticipo.»
Sbircio l’interno della mia mano. Vedo carta, molta carta. Numeri sulla carta. É un rotolo di banconote. É pazzesco, ma chi è questa qui? Cosa vuole?
Mentre stavo ancora fissando la mia mano lei scrive qualcosa su di un blocco, poi ne strappa un foglio e me lo porge
«Qui – mi indica col dito – è dove lavora. Più sotto ci sono i posti che frequenta abitualmente. Agisca come meglio crede, basta che io non c’entri con la sua morte. Ma è inutile, no? Lei…»
«Io sono un serio professionista.» Ora ci sto credendo anche io.
«Si…»
La birra è finita. Sarei tentato di chiarire l’equivoco, ma ormai ci sono troppo dentro. Sono stato a parlare con una che assolda un killer per far fuori il marito, non posso uscirmene con la storia dello scambio di persona. E se poi incontrasse il vero killer per far fuori anche il testimone?….Non conosce niente di me, ma adesso che esco potrebbe anche seguirmi.
Potrei andare via con i soldi, ma rimane il problema che potrebbe scoprire che non ero chi pensava che fossi e mettersi in testa di rintracciarmi. Forse qualcuno mi ha visto entrare qui con lei, qualcuno che mi conosce. Non capita di rado che io passi di qui.
«Allora, accetta?»
«Si, signora – mentre faccio per alzarmi -, stia tranquilla, mi farò vivo io.»
La saluto e me ne vado.
Non so perchè avessi parlato in quel modo, in quel momento mi era sembrata la cosa giusta da dire.
Ed ora eccomi qui, carico di bigliettoni e di guai. Pensare che stavo in giro solo per perdere un pò del mio inutile, stupido tempo. Forse era meglio se avessi fatto la cosa più giusta, cioè approfittare dello scontro fortuito per fare il maniaco come mio solito.
Ecco cosa si guadagna a fare il morigerato.
CONTINUA