Non è che Batman rida della sua Bat-tuta

Ragionavo con una persona delle mode di oggi da parte dei più giovani e il discorso è finito inesorabilmente sulle tute. Oggi la tuta è un capo trendy, chic, altre parole a caso che ci stanno bene.

Quando andavo al liceo la tuta non si metteva neanche quando era giorno di educazione fisica.


Anche perché va detto che non facevamo una vera educazione fisica, fatta di esercizi, di riscaldamento, di altre pratiche idonee: giocavamo a pallavolo in un sottoscala con le mattonelle a terra e basta.


La tuta intera (pantalone e giacca) era del tutto off limits: faceva tanto ragazzino delle medie. Andare al liceo in tuta completa voleva dire una settimana di bullismo.

Il solo pantalone della tuta neanche era tanto ben accetto. Faceva sciatto e anche sozzo, dato che il tessuto non traspirava.

Fa strano tanto rigore estetico dato che all’epoca non si stava certo a guardare all’abito o alle griffe: credo che l’unica firma che in 5 anni ho visto addosso a qualcuno fosse quella sul gesso di un braccio fratturato.


Tra l’altro era il mio, dopo essermelo rotto in IV Ginnasio.


C’era un altro motivo, tutto al maschile, per cui la tuta era poco indicata.

In un periodo di scoperta degli ardori ormonali e dei sommovimenti fisici istintuali, il liceale tipico soffriva talvolta di erezioni spontanee ed improvvise.

A volte bastava una riga di portabiciclette che spuntava da un jeans di una compagna.


Ci si accontentava di poco, ma, del resto, eravamo figli della cultura Postalmarket, dove bastava una trasparenza a rendere radiosa la giornata.


A volte succedeva e basta, perché il sangue precipitava giù dal cervello all’improvviso per la forza di gravità e la scarsa attività cerebrale.

Si andava allora in giro in jeans a qualunque stagione per evitare di rivelare situazioni imbarazzanti.

C’era però un eccezione: se eri un hippoppettaro, giravi coi pantaloni della tuta senza problemi. Essendo larghe che più larghe non si poteva, tal da cascare accumulandosi alle caviglie (e a volte anche sotto i piedi, costringendoti ad andare in giro con scotch e spille da balia per tenerle ferme alle scarpe se non volevi pulire i pavimenti), con le tute il problema del pudore per il b-boy non si poneva.

Io intorno ai 15-16 anni divenni hippoppettaro. Ma giusto per nascondere il mio fisico da radiografia vivente.

Detto ciò, torno alla questione con cui ho aperto: i giovani d’oggi.

Loro oggi vanno in giro in tuta, al che la mia domanda è: non hanno i problemi che avevamo noi, all’epoca?

  1. Non li hanno perché oggi ostentano con voluttà e senza remore i propri ormoni e rigonfiamenti.
  2. Non li hanno perché scie chimiche, 5G, raggi gamma e fenomeni parastatali li hanno resi impotenti.
  3. Non li hanno perché l’ideologia gender, l’eterofobia, Achille Lauro, li hanno convinti a privarsi dei genitali.

Ai poster – ma i giovani attaccano ancora poster al muro della cameretta? – l’ardua sentenza.

Parlando di mode, io comunque resto sempre fedele alla camicia.

wp-1595264663541210713271.jpg

Non è che se riduci il coffee break allora sei in meno-pausa

Io e il Sam Tarly che ho in ufficio cerchiamo ancora di trovare la giusta lunghezza d’onda. Credo lui stia profondendo sforzi in timidi tentativi di stabilire contatti con me.

Adesso la mattina, appena arrivati in ufficio, mi fa una piccola rassegna stampa.

Mi ha detto del ragazzino che ha vinto una fornitura di pollo fritto per un anno per aver ottenuto il record di retweet. Chissà poi quanti tweet otterrà per commemorare il suo fegato.

Stamattina mi ha chiesto se fossi a conoscenza della storia di Cicciolina che è stata morsa da un cane e ha chiesto un risarcimento ma si è scoperto fosse una truffa.

Insomma, come si può notare si interessa di grandi temi di attualità e geopolitica.

Ieri mi dice:
– Stavo seguendo i risultati delle elezioni francesi…
– Ah, bene – penso io –  allora si interessa di politica internazionale!
– …incredibile…il nuovo Presidente sta con una di 24 anni più…
– …più grande di lui, sì, lo so.

Mi ero illuso.

Va detto che, su Macron, questo è l’argomento di cui parlano tutti. È il solo argomento che sembra interessi a tutti: Sta con una vecchia.

A tal proposito devo contraddire il mio conterraneo fumettista Natangelo, l’argomento infatti non è al centro del dibattito solo in Italia. È arrivato perfino in Ungheria.

Da una parte lo capisco, il buon Sam Tarly. Non mi posso aspettare certo grandi analisi da parte sua.

Ha l’aria di uno che ha smesso di guardare il volley femminile quando le atlete hanno cessato di giocare in mutande per passare ai calzoncini.


Ah no, quello ero io.
Ma erano tempi difficili nella mia adolescenza, senza internet, senza Instagram, senza più Postalmarket. C’erano solo Studio Aperto e il volley, di giorno, per allietarsi. Ma io cercavo anche un po’ di approfondimento di attualità e cultura. E quindi guardavo il volley, non Studio Aperto.


Inoltre, in fondo si sa che alla gente interessa veramente un’unica cosa. Non importa chi tu sia o cosa tu faccia nella vita. Importa cosa fai del tuo pene e cosa fai della tua vagina.

Che non sono neanche veramente tuoi. Anche se ne sei il proprietario nominale e li porti in giro in modo gaudente, sono organi di dominio pubico, sempre sulla bocca di tutti.

Io credo, ad esempio, che il problema degli Adinolfi e di tutti quelli che pongono e si pongono tanti problemi riguardo l’omosessualità sia una semplice reazione di rifiuto legata al visualizzare mentalmente peni con peni e vagine con vagine. Io non visualizzo peni, talvolta vagine ma solo a tarda ora, ma altre persone invece hanno una fantasia molto più accentuata e impressionabile. Se fossimo tutti lisci come Ken e Barbie a nessuno importerebbe invece che Ken abbracci Ken e Barbie abbracci Barbie!

Quindi la soluzione è: togliamo il pene agli Adinolfi e staremo meglio.

Tornando a Sam Tarly, sono rimasto scioccato quando, sempre parlando di Macron, ha aggiunto:

– Io poi non capisco a volte come uno faccia…cioè lui sta con una in menopausa…I mean…He cannot have sex with her.

Ho riavvolto il nastro mentalmente per riascoltare ciò che aveva detto, perché forse avevo capito male.

HE CANNOT HAVE SEX WITH HER.

Sono rimasto un attimo in imbarazzo. Una goccia di sudore mi colava lungo la fronte. Non sapevo se dir qualcosa o tacere.

Pensavo di uscire dall’impaccio con una battutina, del tipo: Beh magari con del lubrificante…, ma mi sembrava alquanto sessista e anche presuntuoso. Che ne so io della Signora Brigitte Trogneux? Lei potrebbe benissimo rispondermi Ue pirletta, il lubrificante lo dai a tua sorella, io sono al top, t’è capì? Taac e farebbe anche bene.


La signora nella mia mente ha ascendenze meneghine.


Ho anche pensato di inviargli via Skype dei video didattici di YouPorn dove delle signore, coetanee di Brigitte Trogneux, mostrano in dettaglio ai giovani inesperti cosa sia il sesso. Però questi video mi sembravano un poco falsi e costruiti ad arte e poco adatti a supportare la mia tesi; la qualità video invece di quelli garantiti come artigianali (in che senso, poi? Saranno bio? Senza glifosato?) non sembrava eccelsa.

Alla fine però ho pensato di farmi i fatti miei.
Cosa posso mai saperne se non si tratti magari invece di una questione religiosa? Forse c’è un qualche principio che stabilisce che non si può più far niente in menopausa. Io lo ignoro in quanto non addentro alla materia teologica: figuriamoci, se fossi una donna concorrerei per il concorso di miss-credente.

Quindi alla fine ho taciuto evitando di offendere le convinzioni altrui.

Non è che la ginecologa con dei disturbi legati al lavoro abbia le turbe di Falloppio

Non ho mai ricevuto un’educazione sessuale, se si esclude una precoce iniziazione con Postalmarket proseguita poi con l’anime di Lamù.
Senza andare poi a scomodare le pagine della finta posta del Cioè rubato alle compagne di classe.

Fin dal primo episodio evidenziava il proprio potenziale formativo.

Fin dal primo episodio evidenziava il proprio potenziale formativo.

Quel che ho poi imparato in maniera più seria l’ho appreso di mia iniziativa sui libri. Un po’ per desiderio di conoscenza, un po’ per quella pruriginosa curiosità che può avere un ragazzino.

La prima reazione fu quella di pentirmi del prurito. Insomma, uno dovrebbe poi infilarsi in un posto umido, a volte maleodorante, dalla dubbia estetica e pieno di batteri? In pratica è come entrare in un ristorante cinese.


Beata ingenuità infantile.


Gli insegnanti non hanno mai offerto molto supporto, seppur i vari testi scolastici trattassero l’argomento, con differenti modalità.

Il sussidiario di scienze delle scuole elementari spiegava in un paio di pagine la riproduzione, anche se senza alcun riferimento anatomico: ricordo i disegni di una cellula uovo (stilizzata) e di uno spermatozoo che vi si appropinquava. Quest’ultimo era raffigurato come fosse un biscione nero.


In pratica sul libro avevo il logo dei Queens of The Stone Age:


Il libro di educazione fisica delle scuole medie era molto più dettagliato e completo.

Peccato che un libro di educazione fisica in una classe sia cosa più inutile di un frigorifero in Groenlandia.

Le due ore scarse – il professore aveva divorziato dalla puntualità – di lezione a settimana erano dedicate soltanto a calcio (i maschi) e pallavolo (le femmine). E se eri masculo non giocavi con le femmine: oggi dicono che ci si ammala di gender, allora ti davano del ricchione.


E qui che si capisce che non serve alcuna educazione sessuale: non si deve inculcare ai ragazzi l’idea che non sia normale dare del ricchione a qualcuno.


Qualche volta, quando si era in pochi in classe, abbiamo permesso alle femmine di giocare a calcio con noi. Loro potevano fare cose riservate all’altro sesso ma solo per gentile e temporanea concessione da parte nostra, revocabile in qualsiasi momento.

In genere la partita finiva quando una ragazza rimaneva acciaccata da una pallonata sul petto o sul basso ventre. Quella fu un’altra lezione di anatomia: le parti intime femminili sono delicate e sensibili anche al Super Santos.

Ricordo una sola occasione in cui aprimmo il libro di educazione fisica, in un giorno di pioggia e con le palestre inagibili.

Il professore lesse un capitolo riguardante la pubertà. Finita la lezione chiuse il libro senza aggiungere una parola di spiegazione, della serie Questo è, il mio dovere l’ho fatto.

Quella si potrebbe avvicinare a essere stata una lezione di educazione sessuale avuta a scuola.

A casa invece l’unico insegnamento ricevuto fu quando Madre mi disse “Non portarci nessun dispiacere a casa, capisci a me“, alludendo al prestare attenzione a non impollinare improvvidamente qualche fiore.

Mi sono tornati in mente questi ricordi dopo aver visto un video su Internazionale in cui una giornalista e una regista si interrogano su quanto le persone, in particolare le donne, conoscano la struttura dei genitali.

I risultati sono un po’ sconfortanti. Saranno magari casi estremi ed estrapolati da un contesto, anche se a volte mi chiedo quanta educazione intorno certi temi ci sia tra la gente.

Se molti devono istruirsi da sé – e io almeno avevo l’interesse verso libri di divulgazione – non posso allora considerare inusitato che ci sia chi confonde vagina e vulva o che pensi che l’uretra sia una cantante soul.


La famosa Urethra Franklin.


In realtà tutto il post era teso ad arrivare a questa battuta.


Il dizionario delle cose perdute – Il Postalmarket

La generazione di noi nati negli ’80 si sta ammalando della stessa malattia dei nostri genitori e dei genitori dei genitori a loro volta: il nostalgismo. Quello de “una volta c’era”, con un sottinteso giudizio di valore su quanto qualcosa fosse migliore in quell’epoca.

Seguendo la logica, suppongo che, andando a ritroso e accrescendo di volta in volta esponenzialmente il valore di ciò che si è perso, sia quindi esistita un’età aurea dell’umanità che più o meno potremmo far risalire all’epoca di Lucy.

Ma dici a me? Ma dici a me? Eh, con chi sta parlando? Ma dici a me?

Non è detto che qualche ominide precedente non fosse in disaccordo: Eh, quando una volta eravamo quadrumani, mentre ora i giovani tutti su due gambe perché lo dice la moda avrebbe detto l’australopiteco, se avesse saputo parlare.

Eppure, sulla scia del mio precedente post riguardo il perdere degli oggetti, anche io riflettevo su cose ormai perse.

Quindi vorrei creare, post per post – a periodicità casuale – una sorta di elenco personale di cose andate smarrite nel corso degli anni, sull’esempio di un libro di Francesco Guccini (che credo abbia avuto anche un seguito), che si intitola Dizionario delle cose perdute e che tanto tempo addietro ho sfogliato in libreria.

Il mio primo pensiero corre al catalogo del Postalmarket, che, tra l’altro, qualche mese fa è ufficialmente fallito (anche se aveva cessato le attività già da qualche anno) scatenando un’ondata di nostalgia nell’opinione pubblica.

È un segreto di Pulcinella il perché lo ricordino tutti, quantomeno il pubblico maschile.
Il motivo erano le pagine dell’intimo.

L’audacia di quei completi ricordava una commedia scollacciata all’italiana.
Pizzi e trasparenze esercitavano un’attrazione che non si poteva tenere a freno. Il non plus ultra della perversione era riuscire a intravedere della peluria in trasparenza, quando ancora le modelle non si strappavano via ogni singolo bulbo pilifero dal corpo facendolo scomparire come un hobbit che indossa l’Unico Anello: il famoso Bulbo Baggins.

Il fascino dello sfogliare quelle pagine risiedeva proprio in quell’atto immaginifico del poter scorgere. Come spiare dal buco di una serratura.

Oggigiorno grazie a internet è tutto più semplice. Esisterà ancora l’eccitazione connessa all’atto immaginifico? Io ne dubito. Perché un ragazzino dovrebbe “spiare da una serratura” quando può stare in prima fila a godersi un’esame ginecologico approfondito?

Il che credo crei quell’effetto da overdose informativa che affligge la società oggigiorno: avere accesso all’informazione e diventare allo stesso tempo più ignoranti.

Invece io difendo una insana educazione sessuale ottenuta in via graduale.

Non erano solo le modelle coi loro pizzi a farmi sbavare, va detto.
C’era anche la pagina dei giocattoli e quella delle modernità tecnologiche, perché ero nerd già all’epoca.

Il mio sogno proibito si chiamava Amstrad.
Oggi l’Amstrad è pressoché sparita dalla circolazione, ma un tempo era tra le marche di punta dell’elettronica.

Il mio primo televisore, mio nel senso che fosse collocato nella mia cameretta, fu proprio un Amstrad.

A inizio anni ’90 l’Amstrad produceva anche home computer e io ne volevo uno anche se non sapevo bene cosa avrei potuto farci. A parte utilizzarlo per i videogiochi, ovviamente.

Credo che il prezzo, convertendolo in scala ai giorni nostri, fosse pari a quello di un’automobile.

La cosa buffa è che strappavo le pagine contenenti giochi o tecnologia per tenermele da parte. Non potevo farlo con quelle dell’intimo perché si sarebbero accorti che le avevo strappate per ragioni diciamo anatomiche, quindi sostituivo i miei desideri sconci con quelli consumistici.

Il capitalismo ruba l’immaginazione.

L’antenato cartaceo dell’e-commerce odierno era già entrato in crisi quando io avevo cominciato a sfogliarlo. Dopo essere stato rilevato da un gruppo tedesco nel ’93 e aver attraversato una fase di ridimensionamento, negli anni 2000 viene rilevato da un imprenditore italiano che non riesce però a riportarlo ai fasti di un tempo.

Ed è entrato così a far parte delle cose perdute.

Cindy Crawford fiera di contribuire al buco dell’ozono con la propria lacca

Eva Herzigova fiera invece della propria mascella ipertrofica

Buona la prima…?

La prima volta che ho fatto qualche tiro di canna non ho aspirato perché non sapevo come si facesse.

La prima volta che ho sentito parlare di droga fu quando Maradona fu trovato positivo all’antidoping. E non capii bene il senso delle parole di mia madre: “Gli hanno trovato la cocaina addosso” e io pensavo che proprio fisicamente c’avesse della roba sparsa sul corpo.

La prima volta che mi sono eccitato consapevole di ciò fu sfogliando un catalogo Postalmarket. E, vorrei dire, quanto erano lascive le pagine dell’intimo? Pizzi e trasparenze ovunque, altro che le mini robe elasticizzate di oggi che son buone per tirar di fionda.

La prima volta che ho avuto una fionda è stata anche l’ultima, perché non ne ho fatto un uso accorto.

La prima volta che sono andato in farmacia a comprare dei preservativi sono entrato con l’atteggiamento di un tossicodipendente che va a cercare il metadone. Avvicinandomi al bancone chiesi alla giovane farmacista, indicando l’espositore, quali fossero i più sottili (perché il primo pensiero era che “qualcuno” si tediasse e si ritirasse sdegnato sulle proprie posizioni). Lei rispose:
“Non ne ho idea, non ne ho mai indossato uno”
“Sì, ma…ehm…pensavo che come farmacista conoscesse i prodotti…va be’ prendo questi” dissi io, a disagio come una giornalista quando non parte il servizio e finge di usare un telefono giocattolo.
Sono uscito augurandomi che il suo partner li trovasse tutti bucati. A pensarci su dopo capii che era proprio una domanda del cazzo (o “sul” suddetto…), ma, mi chiesi: se fossi andato a chiedere un consiglio su una marca di supposte, mi avrebbe risposto “Ah non lo so, mica mi infilo cose su per il…”?

La prima volta che ho giocato a calcio sono tornato a casa con le gambe che sembravano di marmo. E neanche di Carrara.

La prima volta che ho fatto scuola guida sono riuscito a mettere la retro al posto della prima tutte le volte che fermavo l’auto. Era una Mini Cooper e la R è appunto in alto a sinistra.

La prima volta che ho ricevuto del denaro per un lavoro da me fatto, fu da mia zia per averle venduto dei miei disegni. La cosa mi convinse di avere delle spiccate capacità artistiche. Cosa che non ho mai avuto.

La prima volta che ho sentito parlare del Big Bang ho pensato: “Se c’è stata un esplosione che ha scagliato roba nell’Universo per 14 miliardi di anni, poi dovrà esserci qualcos’altro: la roba tornerà indietro come un sasso lanciato in aria? Si fermerà?”. Nessuno ci crede, ma io da bambino ho teorizzato quindi il Big Crunch e la Morte Fredda dell’Universo (fa niente che non ci voleva tanto ad arrivarci e che l’avesse pensato già qualcuno prima di me, dettagli).

La prima volta che dubitai dell’esistenza di un dio fu quando pregai perché la mia console Atari 2600 che si era rotta tornasse a funzionare e così non accadde.

La prima volta che sono andato al cinema fu per vedere il film di Mr Bean.

La prima volta che vidi Berlusconi in tv pensai: “Toh, che viso sorridente e tranquillo. Dev’essere proprio una brava persona”

La prima volta che sono potuto andare su internet in totale libertà non sono andato a cercare pornografia ma musica gratis.

La prima volta che ho cercato pornografia su internet ho riempito il pc di virus.

La prima volta che ho scritto su questo blog ho pensato avrei smesso dopo poco, pentito. E in realtà me ne pentii e me ne pento ogni volta che pubblico qualcosa, fortunatamente ho più egocentrismo che rimorso.

La prima volta che ho comprato un cd è stata per quello delle Spice Girls. Credo a convincere un bambino 11enne fu il video (mostrato dal Tg2) con l’attaccapanni della Sporty Spice in primo piano. E mò ve lo ribeccate perché al trash non c’è mai fine.