Non è che il ferramenta s’interroghi sulla vite degli altri

C’è una poesia di Borges contenuta ne L’oro delle tigri – che conosco solo nella versione spagnola, non riesco a trovarla in italiano (online, s’intende, in cartaceo credo l’abbia pubblicato Adeplhi) – che inizia più o meno così:

Dove sarà la mia vita
quella che sarebbe potuta essere
e non è stata

Il tema dei propri diversi sé stessi e di cosa sarebbero potuti essere mi ha sempre affascinato e dato da pensare. E mi chiedo spesso dove saranno e cosa staranno facendo questi altri me stesso che ho lasciato indietro e da qualche parte stanno vivendo altre vite.

D’altro canto io stesso sento che in me hanno vissuto diverse vite e mi chiedo se sia sempre io o, nel momento in cui un’esperienza ha cessato di essere e ne è iniziata un’altra, io sia diventato un altro. E quindi io sono io solo qui, in questo preciso istante, mentre ciò che mi lascio dietro è una sequenza di cloni che non coincidono più con me e che prendono altre strade.

Ci ripensavo in questi giorni. Accantonate le Feste, questo 2020 si apre, come sapevo e messo in preventivo da tempo, con me che devo cercare – in vista dei termini di scadenza di entrambi – un nuovo lavoro e una nuova casa.

Un’altra vita, un altro ambiente, un altro soffitto sconosciuto da familiarizzare. Un nuovo me stesso, un me stesso nuovo.

Quando ci penso a tutti questi cambiamenti sinora affrontati a volte mi smarrisco. Non è che io possa vantare chissà quante e varie esperienze o chissà quale vita da globetrotter, chiariamo; sta di fatto che a volte mi fermo e mi sembra di aver fatto tanto e niente allo stesso tempo, di conoscere e di non conoscere, di essere qualcosa ed essere zero. Vorrei fermarmi e assumere una forma definita.

Poi c’era Bruce Lee che diceva non prendere un’unica forma, sii l’acqua, che in una teiera diventa teiera, in una bottiglia diventa bottiglia, in una tazza diventa tazza.

Sì. Ma se poi la tazza è quella del water?

Non è che sei un poeta solo perché ti piace fare versi

Che ce frega de Elena Ferrante noi c’avemo Lira Trap!

Con questo coro sono stato accolto da un gruppo di esagitati che mi hanno fermato per strada; il fenomeno Lira Trap sta diventando virale e prendendo piede, a testimonianza del fatto che la Trap con la sua transizionalità seminale sta facendo breccia nei cuori della gente. E sappiate che non è facile, perché la gente attualmente si indigna o si commuove sull’internetto ma difficilmente si lascia brecciare.

Alcuni muscoli cardiaci son stati trafitti dalle opere che hanno letto su queste pagine e i loro proprietari mi hanno lasciato bigliettini d’amore che non so a chi recapitare, visto che la scrittrice è più schiva di Thomas Pynchon. E se non sapete chi è Thomas Pynchon è perché si è sempre nascosto molto bene.

Ma Lira Trap si nasconde ancor meglio!

E a tal proposito vorrei invitare tutti a non scrivermi, a non chiedermi informazioni, a non accusarmi di volerla tenere solo per me, perché io DI LIRA TRAP NON SO UN BEL NIENTE.

A parte poche informazioni sparse, di lei ho solo questa Polaroid rivenuta in un rotolo di carta igienica in un bagno pubblico di Oderzo (provincia di TeleVisione).

Quest’oggi ho per voi un altro scritto da proporre. Il come l’ho rinvenuto è davvero incredibile.

L’altro giorno sono andato al supermercato a comprare un pacco di carta igienica e il cassiere mentre passava il prodotto sul lettore ha detto che quello lì non andava bene, il codice era errato. Così mi ha dato un altro pacco.

Quale è stata la mia sorpresa, nello spacchettarlo, nel notare che uno dei rotoli all’interno era vergato a mano. E a mano c’era anche disegnata una verga. Una doppia vergatura.

Era un altro componimento di Lira Trap! Non so come abbia convinto il cassiere a questo scambio e come faccia a sapere quali supermercati frequento, ma comunque è arrivata a me.

Il frammento che propongo stavolta non è un racconto ma una poesia, prova della versatilità della nostra scrittrice che non teme di mettersi alla prova anche con i versi e che vuole realmente porsi come nuova colonna fecale della letteratura italiana.

Ancora una volta faccio presente che riporto in modo fedele il testo così come è scritto sulla carta.

Tu ti muovi dentro di me

Mi ai presa

sorpresa

ora giacio qui

tesa

spasmi ke provochi

mi piegano in avanti

gemo sul letto

fuggo e mi riagguanti

ti sento lungo il retto

il mio culo ha tanta fretta

grido

fin chè non finirà

a grandi spruzzate

oh maledetta

colite.

Lira Trap

Un componimento commovente. Non c’è altro da dire.

Cercheremo una sartoria per avere un buon tessuto urbano

Stamattina sarei volentieri sceso in strada a tirare due calci a un pallone.

Ci sono giorni in cui una persona si sveglia con un desiderio infantile. Il mio era questo. La giornata era calda per essere dicembre e il cielo sereno si presentava di un azzurro cui non sapevo dare un nome. A casa ho provato a cercare su wikipedia le diverse gradazioni di blu e ho scoperto che l’azzurro di stamattina dovrebbe definirsi blu dodger, chiamato così perché richiama il colore della maglia della squadra di baseball. Mi sono rammaricato di averlo cercato perché mi sembra abbia tolto un po’ di poesia.

Invece di tirar calci sono andato all’ufficio postale. Ho preso il numero: 96. Sul tabellone era segnato il 66. Esco. Passeggio, faccio un giro direi a spanne di 3,5 km ritornando poi all’ufficio postale. Il tabellone segnava 69.

Ho cominciato a pensare a quanti chilometri avrei dovuto fare prima di poter tornare alla posta e trovare poche persone davanti a me. Lasciando perdere i calcoli, sono uscito e ho dato il numero a un signore che stava entrando.

Almeno ho goduto di una passeggiata.

Ho incrociato un paio di volte quelli della municipale, che si aggirano tronfi e impettiti come sceriffi. Ho visto gli ausiliari che si aggirano anch’essi per le strade tronfi e impettiti come sceriffi, ma col passo meno ingessato: i loro pantaloni son più cascanti e non stringono il cavallo.

Ho visto passare una ragazza che ha lasciato una scia di buon profumo. Non mi piacciono però le scie di profumo. Amo i profumi femminili purché la fragranza non vada oltre i 20 centimetri dal corpo della persona che l’ha messa.

Poco dopo dei ragazzi mi sorpassano. Raccolgo poche parole dai discorsi, sento soltanto che “…poi dice che uno le violenta. Si vestono a capodanno per fare le puttanelle”.

Ho riflettuto su quanto e quante volte i discorsi delle persone (nelle maggior parte persone di sesso maschile) finiscano sempre sullo stesso punto. Mentre passavo di fronte al fioraio, che espone delle povere piante grasse spruzzate di colore argentato o bronzeo, mi è venuta in mente il ministro Boschi.

Mi son ricordato di quando all’epoca su internet provai a cercare “ministro Boschi” per capire chi fosse questa di cui tutti parlavano e cosa facesse: i suggerimenti di google erano culo, bikini, cellulite. I primi risultati erano più o meno inerenti questi argomenti. Ricordo infatti i commenti all’epoca dell’insediamento del Governo Renzi. Commenti che, ovviamente, più che sulle questioni politiche si soffermavano su un altro aspetto della neoproclamata ministro.

Perché, che strano, pare che il ministro abbia un culo! Che scandalo, signori. Come, dove, quando? L’avrà pagato con soldi pubblici? È un altro dei privilegi della casta? No, pare che lei cerchi un fidanzato, svergognata: altro che casta.

Quindi se io, ponendo, avessi scarsa stima della suddetta persona, non dovrebbe essere per motivazioni amministrativo-politiche, ma perché la suddetta persona si bea di un culo. Questo è quanto ho appreso dall’opinione pubblica o parte di essa.

E mentre mi dirigevo di nuovo all’ufficio postale, speranzoso in uno smaltimento della folla, incrocio una ragazza che distribuiva volantini con un’offerta del gestore telefonico 3. Ricordandosi di avermene dato uno in precedenza, non prova a darmene un altro. Avrei voluto chiederle: scusami, tu pensi che sia significativo o meno un culo o il fatto che probabilmente questo che stai facendo è un lavoro che ti verrà pagato in nero e nessuno dirà niente compresi gli sceriffi?

Però l’avevo già superata da un pezzo e questo mi ha dato modo di fare un’altra riflessione: è comodo abitare in una città dove puoi spostarti a piedi e puoi, pur magari mettendoci mezz’ora, raggiungere tutto. Credo andrei in crisi in una città più grande dove non posso avere tutto a portata di piedi. Non che io sia così innamorato del posto dove vivo tanto da amare camminarci, anzi, a me delle volte viene proprio l’angoscia e il male di vivere, ma non per l’incartocciarsi di una foglia ma per la serranda arrugginita di un negozio chiuso per fallimento.

Però se mi dovessi trasferire, cosa che stavo pensando avrei intenzione di fare il prossimo anno, preferirei un altro posto dove poter girare a piedi per raggiungere ciò che mi serve. Cosa che non so se mi sarà possibile (andare in una città pedonabile, intendo).

Forse anche questa è una questione di culo.

Les Chats

 

Les amoureux fervents et les savants austères
Aiment également, dans leur mûre saison,
Les chats puissants et doux, orgueil de la maison,
Qui comme eux sont frileux et comme eux sédentaires.

Amis de la science et de la volupté
Ils cherchent le silence et l’horreur des ténèbres;
L’Erèbe les eût pris pour ses coursiers funèbres,
S’ils pouvaient au servage incliner leur fierté.

Ils prennent en songeant les nobles attitudes
Des grands sphinx allongés au fond des solitudes,
Qui semblent s’endormir dans un rêve sans fin;

Leurs reins féconds sont pleins d’étincelles magiques,
Et des parcelles d’or, ainsi qu’un sable fin,
Etoilent vaguement leurs prunelles mystiques.

Charles Baudelaire

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I Gatti

 Gli innamorati ardenti e i sapienti austeri,
 tutti, nella loro età matura, amano
 i gatti forti e dolci, orgoglio della casa,
 freddolosi come i primi e sedentari come gli altri.
 
 Amici della scienza e della voluttà,
 cercano il silenzio e l’orrore delle tenebre;
 l’Erebo li avrebbe presi come corrieri funebri
 se potessero piegare l’orgoglio alla schiavitù.
 
 Pensando, assumono nobili pose
 da grandi sfingi accosciate in fondo a solitudini
 e sembrano addormentati in un sogno senza fine;
 
 quei fecondi reni sono pieni di magiche scintille,
 e atomi d’oro, come sabbia fine,
 costellano vaghi quelle mistiche pupille.
 

Cremazione di un pensiero

 
 
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Tra taglienti salici su umide sponde chinati
Dissepolta Vanità d’orgoglio vestita
giace tra color che son dimenticati
fiero scempio del cadavere di un’amica
Negletta Onestà da essa tradita
 
Troppo a lungo posasti gli occhi
troppo a lungo agguantasti profumi
il Mondo è un labirinto di specchi
dove di luci non ve ne son barlumi
 
Nè più nè meno in questo cimitero
trova riposo l’errar vano dell’ignavo
come un cavaliere senza destriero
con l’occhio pesto e il cuore in mano
 
Ovunque scavati nel corpo i tempi andati
Dissepolta Vanità scorre sulle dita
onanismi dei sensi a lungo odiati
in questa lapide di una vita antica
che tra i vivi, si sa, non è gradita.
 
 

Verbena blu

 
Iridi argentei
illuminano fiale di malumore
disperse tra olezzi di vanità
esantemi, cicatrici a fior di pelle
curati dalla malizia che emana
 
Verbena blu
sul suolo di solanaceae
ammicca alla protervia
 
Eolo ne sfiora le intimità
si china al soffio sensuale
e poi voluttuosa Nube
ne irrora le grazie
 
Verbena blu
improvvido gelo condensato
affosserà il fascino diffuso da lei
 
Verbena blu
se sarà domani non se ne cura
gode oggi di orgasmico furore
 
 

Nulla è affascinante

 
Circostanza,
faccia contratta
indifferenza nel respiro sdegnato
vergognosa traccia di esistenza
marchio del passato – coltre del presente – vacuità nel futuro
 
Instabilità dell’essere (trovarsi ordunque ad esser coscienti?)
fantasticherie
sogni
viaggi
il seme della vergogna trova fertile terra
gli umori stolidi ne cullan la germinazione
 
Tempo immutabile,
tempo mutato.
 
Relatività – oh che iattura! –
ciò che vale
non vale
 
scaduta è l’armonia
 
affascina il nulla, nulla è affascinante.

Attesa

 
Caducità
 
oggi non siamo
quel che cerchiamo
 
 
vendiamo le nostre piaghe
estensioni di menti fragili
critici mercanti del nostro avvenire
 
 
nei non luoghi della nostra esistenza
dispersi e ritrovati
 
 
Domani fuggiremo
 
Oggi
 
Attesa
 
 

Cielo ovattato porta foglie stanche

 
Cielo ovattato porta foglie stanche
 
si consuma nell’inesistenza
 
siano il nero e il bianco
 
incisioni su una parete
 
sfarfallìo a pezzi
 
emarginato
 
solo
 
 
 
Tutti via
 
inizia il gioco
 
grappoli di finzione
 
grondano insicurezza e disagio
 
ombre intolleranti esalano respiri
 
dolore dolore dolore – ardua la sfera del sentimento
 

cielo ovattato porta foglie stanche [forse non vedi altro intorno]
 
 

 

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