Non è che l’Alighieri su quel ramo del lago fosse conciliante solo perché era a-Como-Dante

Mio nonno deve sottoporsi alla visita di accertamento per il riconoscimento dell’invalidità civile.
Quattro anni fa fu colpito da un ictus, dagli effetti non devastanti per quel che può essere un simile attacco per un over 80 ma che comunque ha portato a delle conseguenze, che col passare del tempo si sono accentuate.

Oltre ai problemi motori e di salute, a volte sbraita senza motivo e dice cose prive di senso: la prima volta che accadde ci preoccupammo, che fosse diventato un politico?

Poi il neurologo disse che era solo l’ictus e tirammo un sospiro di sollievo.

Ha perso la cognizione del tempo, a breve-medio termine, ma non è un problema: le sue ore sono scandite dai medicinali che prende a orari prestabiliti.

C’è il farmaco per il cuore e la circolazione, prima di tutto, che però fa male ai reni. C’è il farmaco per i reni, che però causa problemi allo stomaco. C’è il farmaco per lo stomaco, che però lo rende ancor più depresso. Ci sono le gocce per l’umore, che però alla fine di tutto il giro causano problemi al portafogli. E per questo, la scienza non ha ancora trovato una cura.

La richiesta di visita domiciliare per l’accertamento è stata rifiutata. Tecnicamente credo che l’INPS abbia ragione: in effetti il soggetto non è intrasportabile né uscire ne mette a repentaglio la vita.

Va detto che, però, non esce mai di casa, a causa dei problemi di deambulazione, la propensione a prendere un malanno se piove o c’è il sole o c’è vento, le punture di insetti, i Testimoni di Geova che girano allo stato brado.

L’impiegata dell’INPS è stata però accomodante.
Ha suggerito di portarlo sì nella sede dell’istituto di previdenza ma senza farlo scendere dall’auto. I medici si sarebbero avvicinati e avrebbero dato un’occhiata.

Se mi vedessero mentre parcheggio c’è il rischio che poi lo diano a me l’assegno sociale.

Tutto questo dovrà avvenire il 7 giugno alle ore 15 perché solo quella data è disponibile. Sperando che la calura non sarà ancora arrivata perché spostare un anziano in simili condizioni non è agevole. Altrimenti stavo pensando a metodi alternativi per ottenere l’assegno di invalidità:

1) Fingermi dell’ISIS e sequestrare i medici portandoli a casa costringendoli a visitare il nonno
Una parte che sembra mi riesca bene, visto quanto ho inquietato la polizia nelle stazioni qui a Budapest (foto di repertorio di gennaio):
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2) Dichiarare che in realtà è un falso invalido: sembra che, almeno dalle mie parti, le procedure di frode siano più snelle e rapide;

3) Sveltire la pratica minacciando di chiamare le Iene, denunciando che in quella sede dell’INPS si tengono riti satanici con cosplayers e appassionati di manga liceali che somministrano pomodori cinesi.


Non vivendo in Italia non so se sia ancora di moda, ma ricordo che per un periodo ascoltando i discorsi delle persone sentivo spesso invocare l’intervento di Iene o Striscia la Notizia un po’ come a Gotham i cittadini fanno con Batman. Paragone un po’ azzardato, almeno Batman è reale.


Non è che per fuggire dai pranzi natalizi tu debba fare un pasto col diavolo

Martedì sera un aereo mi riporterà in Terra Stantìa, dove trascorrerò le festività natalizie.

A casa si stanno già preparando le grandi manovre per il ritorno del Royal Kitten. Troverò una tavola imbandita con bistecche alte tre dita e mozzarella di bufala. Alle 23 di sera.
Credo che il 22 lascerò l’ufficio da Piero Fassino e tornerò il 4 gennaio come Giuliano Ferrara.

Ricordo il giorno in cui sono arrivato qui in Ungheria.
Tremavo.

C’era 1 grado quando sono sceso dall’aereo. E il nevischio.
Ero partito con 15.
Altro che escursione termica: è stato un viaggio termico di sola andata con pernottamento all’addiaccio.
Dall’aereo al terminal di arrivo infatti c’era un qualche centinaio di metri da percorrere completamente all’aperto. Al freddo e al gelo. Niente scalette, tunnel riscaldati, niente navette.

E pensare che alla partenza, da Capodichino, fuori al gate c’era un autobus ad aspettare i passeggeri. Nonostante l’aereo fosse a 20 metri dalla porta: in pratica il mezzo ha fatto un giro su sé stesso.

Siamo gente diversa, noi di Napoli.

Tu che la lasci, che posto trovi, di migliore? (Foto di Città metropolitana di Napoli – un blog di Stefano M. Capocelli)

Qui invece sono rudi e duri come solo la gente dell’Est può essere.
Per esempio ho avvistato qualche ragazza in giro con la gonna e senza calze.
I 30 denari li ha considerati buoni per Giuda, non per i collant.

Poco fa ho usato la prima persona plurale (noi di Napoli), ma in realtà io vivo fuori. Sono a 15 minuti d’auto (che possono diventare 60 in certe ore del giorno: un altro scherzo di Albert Einstein) dal lungomare.

La mia cittadina potrebbe un posto qualunque dell’entroterra italiano.
Umido, piovoso e qualche volta anche nebbioso.

Tornerò trovandovi, appena installato (lo faranno il 20: forse è in mio onore), un cacciambombardiere a decorazione di una rotonda. Un omaggio di un imprenditore aeronautico per la vocazione industriale della città.

Tra un bacio sotto il vischio e un bambinello nel presepe, un bel caccia fa proprio tanto spirito natalizio.

Sono contento di tornare.
Famiglia, gatti, qualche amico.
La birra nel solito posto.

Anche se debbo dire che nel corso di quest’anno ho più volte provato una sensazione particolare. Ogni volta che tornavo a casa, dopo uno-due giorni avevo voglia di ripartire. Sento che non ci sia più nulla per me. Avverto una decadenza d’amorosi sensi nei confronti dell’ambiente in cui sono cresciuto.

E pensare che tremavo, al mio arrivo in Ungheria.
Non solo per il freddo. Era terrore.

Sovente, quando mi lancio in qualche iniziativa, mi assalgono pensieri chimelofafareisti. Come se da quell’esperienza potessi non uscirne vivo.

Un appuntamento.
Un colloquio.
Una città nuova.
Un soffitto sconosciuto.

Esempi di attività per me terrorizzanti.

Eppure, sono ben altre le esperienze probanti e rischiose.
Come i/le pranzi/cene natalizi/ie.

Il sonno della ragione genera Bill Cosby

Mi sono svegliato da un sonnellino calcistico, perché credo sia durato intorno ai 90 minuti + recupero. E ho fatto un sogno parecchio contorto, credo sia imputabile a ciò che ho ingerito e non ancora digerito nelle ore precedenti.

Ore 13 e un po’: aperitivo con
– apertass
– bruschetta ricotta, noci, pancetta e spolverata di pistacchio
– bruschetta con mozzarella e peperoni verdi
– salame
– paninetto ripieno di parmigiana di melenzane
– 3 spicchi di cocco che forse eran lì per decorazione ma per sicurezza li ho fatti sparire per far capire che qui nessuno è il cocco di qualcuno

+ bis con

– bruschetta crema di patate e decorazione di prosciutto
– bruschetta provola e melenzane.

Tornato a casa, alle 14 ho anche pranzato perché avevo preparato per Padre che tornava da lavoro e pareva brutto non fargli compagnia, inoltre già che c’ero dopo l’aperitivo viene l’ape-tito.

Poi dopo ho perso la memoria sino a questo momento.

Ricordo di aver fatto un sogno lunghissimo di cui rammento solo l’ultima parte: Bill Cosby che in una stanza d’albergo viene minacciato da una donna al telefono: al che lui corre a prendere una mazza da baseball e minaccia di distruggere il suddetto telefono, con la donna che, spaventata, dice di non farlo. E io vedo il tutto dalla visuale del comodino. Cioè io ero il comodino, forse.

Poi la mia visuale cambia, io sono all’interno di una stanza d’albergo (non la stessa): guardo il telefono, poi rammento di dover prendere la mia tagliola da orsi (non viaggio mai senza!) e di piazzarla all’ingresso della stanza perché non si sa mai chi può presentarsi di notte.

Già, chi si dovrebbe presentare di notte? – mi chiedo mentre la sistemo giusto davanti la porta.
Faccio spallucce e mi dico Oh beh, lo scopriremo stanotte.

Poi rifletto sul fatto che quello sia l’ultimo giorno di vacanza e non mi sono neanche un po’ goduto l’Oriente – già, perché io sono in Oriente!

Sono in Oriente, giusto? – mi domando e mi affaccio alla finestra per sicurezza.

Vedo una strada, fiancheggiata da un prato erboso contornato da alberi e gente che passeggia.

Ah, già: sono in Oriente – mi dico.

E poi mi sveglio.

Dannate fette di cocco, sapevo che mi avrebbero fatto male.

Ciò che più mi inquieta è il significato del sogno: ho paura di Bill Cosby? Io sono Bill Cosby o il suo comodino? E, soprattutto: dove è finita la mia tagliola per orsi?

Sono molto legato ai miei non

Non sono molto portato per lo stare tra le persone, così come nel frequentare la maggior parte degli ambienti che non percepisco come miei. Ho bisogno di nicchie in cui sentirmi a mio agio, come un gatto che si raggomitola in una scatola.

Non mi sento a mio agio col contatto fisico a meno che una persona non sia nella mia “green light zone”, che equivale a dire di avere un lasciapassare speciale. Mi arrecano fastidio coloro che ti parlano standoti troppo vicino e toccandoti.

Non amo le conversazioni formali e i convenevoli, il cosa fai nella vita, cosa combini in questo periodo, ah interessante il tuo lavoro. Le porto avanti senza convinzione e percepisco la noia nel mio interlocutore. È la stessa che provo io.

Non sono bravo a condividere spazi senza rigide separazioni. Un amico ieri mi ha detto: la tua educazione e la tua tranquillità traggono in inganno. Sei pieno di paranoie e vizi.

Non sono molto bravo alla guida, perché sbaglio facilmente strada. Ho così preso l’abitudine di imparare i percorsi guardandoli preventivamente su google map.

Non ho un buon rapporto col telefono. La maggior parte delle volte che suona lo avverto come un disturbo. Sarà per questo che mi chiamano con regolarità solo tre persone: Polacco, Madre, Lulu.

Non riesco a seguire le istruzioni, una cosa riesco a farla solo quando la interpreto a modo mio.

Non riesco a lasciarmi andare a rapporti sessuali se non ho fatto una doccia nelle ore precedenti. Il che non è un problema, essendo io una persona comunemente avvezza alla pulizia. La cosa diventa un ostacolo quando passi un’intera giornata fuori casa.

Nonostante questi evidenti casi di non-nismo cui mi sottopongo, ho una vita che potrei definire normale.  Quindi o i concetti di normalità della vita vanno tarati da capo oppure ho qualcosa che in fondo mi rende bravo.