Non è devi per forza essere un banchiere per dare credito alle persone

Fidarsi è sempre una questione complessa. Immagino la gestione della fiducia nel prossimo come un mixer con tanti cursori legati a diverse situazioni e individui. Tenere i livelli tutti al massimo non va bene, così come tenerli tutti abbassati neanche. Nel mezzo, ognuno di noi equalizza il proprio orientamento all’altro concedendo più volume a qualcuno e meno a qualcun altro.

Io ad esempio ho delle categorie di persone di cui a pelle sento di diffidare o di dar poco credito.

  • Quelle che si chiamano Valentina e che su fb si registrano come Va Lentina. Non fa ridere più neanche alle scuole elementari.
  • I coach motivazionali.
  • Gli esperti di Risorse Umane che scrivono strategie in 5/10/20 mosse per trovare di sicuro lavoro.
  • I fan dei Dream Theater.
  • Quelli che non ti conoscono e a un tuo problema non esitano a proporti e/o suggerirti rimedi tratti dall’oroscopo, da una dieta olistico-natural-organic, dall’interpretazione del fegato di pecora.
  • Quelli che in ogni frase devono mettere qualche termine inglese, you know?.
  • Quelli che si fanno una foto con gli occhiali da sole al volante.
  • I fan dei Dream Theater.
  • Quelli che non vedono l’ora di cooptare gli altri nella loro associazione/comunità/movimento.
  • Quelli che ti stringono la mano e ti lasciano l’impronta del profumo o del dopobarba nel palmo che poi ti resta per tutto il giorno.
  • Quelli che lasciano il cornicione della pizza. A meno che l’impasto e la cottura non siano fatti così male che a quel punto mangiarlo è difficile.
  • Questo non riguarda persone, ma se una merce da uno scaffale del supermercato viene riposta da qualcuno e a me serve quel prodotto, evito di prendere quella stessa confezione che ho visto posare. Magari è perfettamente integra, magari il cibo non è scaduto, magari non ha nulla che non va ed è semplicemente stata riposta perché il tizio è stato appena chiamato dalla moglie che gli ha detto «Lascia perdere il pacco di cetriolini, mi ha chiamato il mio psico-naturopata olistico e ha detto che devo evitare cibi dalla forma fallica», ma io non mi fido perché se fosse stata posata per qualche motivo grave di cui non mi accorgo?
  • E i fan dei Dream Theater.

Beninteso, alla fine tutto questo elenco è un insieme di generalizzazioni dentro le quali può ricadere chiunque; poi è invece bello vincere i propri meccanismi automatici – ognuno di noi ogni giorno si orienta e compie scelte basate su giudizi e impressioni – e scoprire che si riesce sempre a fare quel passo in più. C’è un’interessante attività scolastica per parlare coi ragazzi di stereotipi e pregiudizi e che consiste nel mostrare loro delle foto e chiedere di immaginare chi siano le persone ritratte, che cosa fanno nella vita, cosa pensano del loro aspetto. Poi se ne parla, rivelando anche la storia delle persone raffigurate (e magari si scopre di scambiare per un clochard un Premio Nobel) un esercizio che tornerebbe utile anche agli adulti, di cui si pensa invece che siano già “educati”.


Non è che se hai tanti complessi allora puoi metter su un festival musicale

Sabato pomeriggio avevo voglia di fuggire da me stesso. Impresa ardua perché alla fine mi raggiungo sempre. Sono salito in auto deciso nel viaggiare senza meta, fin dove mi avrebbe portato il cuore un 10 euro scarso di benzina.

Mi piacerebbe iniziare ora uno di quei racconti dove chi scrive si dà un tono narrando di statali perse nel nulla percorse con i CCR/Tom Waits/I Cugini di Campagna/Cristina d’Avena a palla, con una sigaretta in bocca e un paio di occhiali da sole inforcati che riflettono nelle lenti quel raggio di sole quando volge al desìo nell’angoscia della notte et cetera et cetera.

Purtroppo non ho l’autoradio; appeso al bocchettone dell’aria c’è solo uno smartphone che dimentico sempre di caricare di file, un po’ per pigrizia, un po’ perché l’altoparlante svilisce la qualità già svilita di suo di un mp3 e io non amo svilire la buona musica.

Non fumo sigarette e anche se le fumassi non impuzzolentirei mai l’auto: voglio che continui a puzzare di tappetini di gomma e moquette e deodorante chimico come se fosse uno di quei negozi che vendono accessori e chincaglierie per la casa, dove a poco prezzo puoi portare a casa un Buddha in plastica finto pietra o una candela profumata che t’illudi possa servire per una serata romantica ma in realtà la tirerai fuori soltanto quando andrà via la corrente perché ti sei dimenticato ancora una volta che la batteria delle lampade di emergenza si scarica se non caricata regolarmente.

I miei occhiali da sole hanno una vite che si sgancia sempre che mi costringe a pit stop forzati da ogni ottico che incontro per strada. Ormai mi conoscono ovunque. Cerco sempre di cambiare negozio perché ogni ottico poi mi fa un commento del tipo “Io l’ho sistemato ma di più non si può fare” – tradotto: non torneranno mai a posto. Mi han sempre detto tutti così tranne un ottico di via del Corso a Roma che, osservando la vite nella stanghetta, disse: “Ma chi t’aaaaa messa questa?”*: gonfio di audace sicumera, convinto di poter far meglio del suo predecessore, aggiunse “mò t’aaaaa sistemo”. Purtroppo anche il suo intervento ebbe una longevità breve. Lancio quindi questa tenzone tra ottici: ricchi premi e cotillons per chi riuscirà a sistemare definitivamente i miei occhiali.


* Non ho esagerato, credo di aver contato quattro “a” nella sua inflessione.


Infine, è difficile trovare strade perse nel nulla. Posso scegliere di perdermi nella diossina, costeggiare un inceneritore, fare slalom tra rifiuti ai lati della strada e cartelli bucati dai proiettili. Oppure posso andare in direzione opposta e seguire strade lungo una fila ininterrotta di Comuni: da queste parti siamo un unico agglomerato urbano, non c’è alcuna interruzione tra un’amministrazione e un’altra. È difficile essere tipi fuori dal Comune, da queste parti: qui tutto è Comune, cemento e muratura ed esseri dis-umani.

Esseri come quelli che si affollano ad osservare la scena di un crimine, dove un uomo è morto nel tentativo di sventare una rapina e aiutare una cassiera. Tra i commenti spicca quello di un anziano signore, che, analizzando il fatto inforcando gli occhiali da sole come Horatio Caine in CSI, ha sentenziato: Meglij accussì, a prossima vot s’ facev e’ cazz suoj.


Chi vi scrive ha ritenuto di riportare fedelmente la frase senza tradurla dal dialetto perché trova riesca a conferirle una sfumatura icastica che si perderebbe nel suo corrispettivo italiano.


Uniche alternative di fuga sono costituite da qualche concerto ogni tanto, organizzato da qualche associazione culturale polivalente che non capisco mai come cavolo faccia a campare ma poi me ne rendo conto guardando i prezzi dei beveraggi. Per me vince quella che ha organizzato un evento a luglio, portando i Blonde Redhead a Napoli: una Tennent’s (33cl) 5 euro, sorvoliamo sul mangime. Ma la cosa più divertente era che a fine concerto era precisato sul tariffario che i prezzi sarebbero aumentati.

Ieri sera invece i prezzi erano tutto sommato onesti e ho potuto dissetarmi prima di assistere al concerto dei Jon Spencer Blues Explosion. Un paio di pogate mi han fatto dimenticare i pensieri. Oppure era il sudore lisergico di un tizio completamente sballato a torso nudo che mi è finito addosso ad avermi offuscato la mente.

Una cosa curiosa è che mi sono ritrovato davanti lo stesso tizio pelato con un ridicolo zainetto a sacchetto sulle spalle che avevo davanti qualche mese addietro al concerto invece dei Bud Spencer Blues Explosion. L’ho riconosciuto dal suo modo di ballare: è basculante, come un picchio perpetuo rappresentato nell’immagine qui sotto

Coincidenza? Non credo proprio.

Ho provato a farlo spostare adottando la tecnica che di solito uso in questi casi: do un paio di lievi calcetti dietro le scarpe che inducono la persona che sta davanti a spostarsi. Con lui non ha funzionato né all’epoca né ieri sera. Così ho ceduto e mi son spostato io.

Tornando a casa ho trovato gli occhiali da sole che mi aspettavano sulla scrivania, a ricordarmi che non mi è ancora chiaro il senso della vite.