Non è che devi fare atletica per cogliere il testimone

Mi hanno detto di un prete che durante un funerale stava inciampando nel tappeto. La stessa cosa era avvenuta qualche decennio prima al suo predecessore, che pare però ebbe peggior sorte e inciampò sul serio, rimanendoci. Credo sia il caso di cambiare tappeto o di rimuoverlo.

Mi hanno detto anche di un tipo, che conosco tra l’altro, che ha l’abitudine di portarsi via fogli di carta dalle case altrui. Non è che li rubi, lui chiede della carta e poi se la tiene con sé. Non ho capito cosa ci faccia.

Mi hanno detto infine di un tipo che si presenta con il portabagagli dell’auto pieno di cassette di arance, arriva fuori un negozio dicendo che quelle sono arance che vengono direttamente dalla Sicilia e che lui vuole iniziare la sua attività vendendole e che vuole farsi pubblicità, quindi ne regala una cassetta al negoziante, che può così offrire arance fresche ai clienti. Poi spiega che regala la cassetta in cambio di denaro. Di fronte alle rimostranze dell’esercente (o è un regalo o vuoi vendermela, quale delle due?) quello si riprende la cassetta e se ne va, offeso.

Insomma, volente o nolente il mondo continua a essere strano e stravagante. Va da sé che in periodo di spostamenti limitati non riesco più a essere testimone delle storie e mi tocca affidarmi alla narrazione orale altrui.

Certo c’è da chiedersi se le testimonianze siano corrette. Lo storico Marc Bloch credo sia stato uno dei primi – ma forse ricordo male – a porsi il problema dell’analisi delle fonti.

Supponiamo infatti che abbiamo due testimoni che riportano la stessa versione di un fatto. Ingenuamente ci si potrebbe rallegrare per la concordanza. Ma se invece uno dei due ha semplicemente copiato l’altro, magari giudicando autorevole la sua versione?

Ancora: ci può essere un fatto considerato oggettivo, come la battaglia di Waterloo. Sappiamo tutti come è andata a finire. Ma ci possono essere modi diversi di raccontarla.


Tutti sappiamo infatti che a Waterloo Napoleone fece il suo capolavoro:


E qui sorge un altro problema: le testimonianze non è detto che per forza possono essere o soltanto vere o soltanto false. Una testimonianza vera può contenere dei fatti poco concordi con la verità. Bisogna scomporre i resoconti nelle loro parti e pesarle.

Perché mi pongo il problema delle testimonianze? Perché mi chiedo a volte se il come io ricordo un evento sia lo stesso modo in cui lo ricordano gli altri. Mi capita infatti a volte di non concordare con la versione dei fatti di un’altra persona. Mi fido molto della mia memoria, anche perché, focalizzandosi sulle immagini, essa associa l’accaduto a una fotografia mentale per fissarla nel tempo. Ma la mia presunzione di infallibilità può cozzare con quella di un altro.

Posso fidarmi sempre di ciò che ricordo?
Posso fidarmi di ciò che ricordano le altre persone?

Volevo concludere il post con una chiusura brillante ma non me la ricordo più.

Non poteva fare né il fotografo né il centometrista, non avendo un buono scatto

Avete presente quella puntata natalizia dei Simpson in cui Marge si lamenta che ogni anno la famiglia non riesce ad avere una foto di Natale decente? Per anni ho sofferto di questa sindrome della foto sbagliata, in cui in ogni scatto di gruppo ero impresentabile.

Non c’è una foto di classe delle elementari in cui io abbia gli occhi aperti o un’espressione seria, per esempio.

Anzi, no: una in cui magari ero serio c’è. Però ero voltato.
Accadde perché poco prima dello scatto tirai fuori dalla tasca del grembiule una figurina raffigurante Brenda di Beverly Hills 90210 (a proposito: l’attrice Shannon Doherty ha annunciato ieri di avere un tumore al seno. Le faccio i miei migliori auguri e incoraggiamenti di guarigione) perché volevo che nella nella foto comparisse anche lei.

Mi piaceva. E dire che non avevo mai visto una puntata di BH, perché non mi era permesso. Però ne parlavano tutti e si finisce che anche se non hai visto una serie alla fine la conosci. Un po’ come è successo con Gomorra: mi son ritrovato intorno gente che senza aver mai visto un episodio ripeteva le battute a memoria.


DIDASCALIA SOCIALE
Io ve lo dico: avete rotto le palle. Se avete intenzione di fare lo stesso per la prossima stagione di Gomorra, non avvicinatevi a me.


Un giorno notai una figurina di Brenda accartocciata nel cestino della carta. La raccolsi e la stirai per bene con le mani, poi la misi in mezzo ai libri nello zaino. Divenne una reliquia che per qualche tempo portai sempre con me.

Nella foto di classe tentai la mia sortita estraendola dalla tasca: la maestra alle mie spalle mi notò e mi disse “Gintoki posa quella mano”, io mi girai e -clic- in quel momento partì la foto.

Non essendo in epoca digitale, era buona la prima (che era anche l’ultima).

10400086_73034659264_6741853_nQuesto a sinistra invece è uno scatto risalente alla prima elementare: potrebbe sembrare che mi stia tenendo la pancia per un attacco di colite che mi ha mandato in catalessi, in realtà era voluto. Il mio intento era imitare la posa da capo di stato, un po’ Napoleone (la mano), un po’ Churchill (l’espressione seria e imbronciata), un po’ Andreotti (lo stato catatonico).

Il capello a tetto spiovente era utile in caso di pioggia.

foto015In quest’altra foto (4a elementare), invece, avevo inarcato il busto e irrigidito le spalle schiacciando il mento nel collo. Non ho idea di cosa volessi fare, forse anche qui c’è un qualcosa di andreottiano (che ci si vuol fare, erano gli inizi degli anni ’90), ma la smorfia non so cosa volesse significare. Forse la posa era un tentativo di simboleggiare il mio ergermi dalla massa, difatti dei due tapini di fianco a me si può intuire dall’altezza delle spalle che si trovavano più in basso.

Da notare che dal capello spiovente eravamo passati poi al caschetto da Alberto Ascari, che assicurava ottima tenuta anche in caso di vento forte e strada bagnata.

Non sono invece riuscito a trovare né la foto con Brenda né la figurina in questione che pur ero certo di aver conservato.